MARIO RIGONI STERN, IL RICORDO IN PAROLE E MUSICA DI BEPI DE MARZI

RigonisternNella chiesa di San Rocco, ad Asiago, a ricordare il 16 giugno del 2008. Il Sergente nella neve se ne andava in silenzio nell’Infinito dei poeti. E quasi in silenzio, la Schola Cantorum del duomo di San Matteo, lo ricorderà questa sera, con inizio alle ore 21 precise, nell’incontro che ha per titolo “Sessanta minuti con Mario Rigoni Stern” . Pochi canti, ma quelli che piacevano a lui. E brevi letture dai suoi libri proposte da Bepi De Marzi  demarziche accompagnerà al piccolo organo il coro diretto da Andrea Pinaroli.

Era nell’aria da qualche tempo, questo ricordo che vuole essere il delicato omaggio di Asiago e dell’Altipiano. Due giovani clarinettisti di Lusiana, Paolo Corradin e Riccardo Marolla, eseguiranno una canto ucraino che Mariostern amava intonare, citato anche negli ultimi pensieri del suo primo e celebre lungo racconto. Il tema è stato elaborato, con brevi variazioni, proprio da Bepi De Marzi, e al recente “Premio Mario Rigoni Stern” assegnato a Mauro Corona a Riva del Garda, è stato eseguito appassionatamente dai clarinettisti del Conservatorio di Trento.

La Schola Cantorum proporrà anche “Gasegt an Stearn”, la strofa che rammenta il Natale nella Storia di Tönle. Il ricordo del Lager, dove Mariostern ha sofferto per quasi due anni, verrà sottolineato dal canto del Salmo 136 nella elaborazione poetica di David Turoldo. Sessanta minuti mentre viene l’estate. E Mario aveva scritto nell’ultimo libro, Stagioni, “La primavera, non l’autunno, è la stagione per morire. Ha un odore preciso, definito, umido, fresco, vitale. Quel profumo ti promette che la vita continua anche se te ne vai: e questo è meraviglioso”.

Ecco un’esecuzione di “Lungo i fiumi” (Salmo 136).

http://youtu.be/vc8f8C5eezE

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INDIPENDENZA DEL VENETO, UN REFERENDUM FASULLO

VenetistiDispiace (detto senza ironia) per gli indipendentisti che oggi esultano perchè il Consiglio Regionale del Veneto ha dato il via al referendum sull’indipendenza della Regione. Si tratta di un bluff politico, di una bolla di sapone destinata a scoppiare in tempi rapidissimi, di una mano di poker giocata con cinismo dalla classe politica, che rischia di lasciare dietro dei pesanti danni politici e anche una scia di frustrazione e risentimento.

Vediamo perchè: la Lega non ci crede davvero, consapevole dei problemi giuridico-amministrativi che questo percorso comporta (su questo tornerò dopo), però le faceva comodo poter dire di averci provato, meglio se in beata solitudine. Gli alleati del centro-destra però non potevano lasciare al Carroccio l’esclusiva dell’iniziativa referendaria, e quindi prima hanno provato a convincere la Lega a far mancare alcuni voti per bocciare l’idea, e alla sua risposta negativa hanno deciso di votare a favore anch’essi.

Questo non significa però che il referendum si farà. Cosa accadrà infatti adesso? Ci sono due ipotesi: una più radicale sostiene che – data la palese incostituzionalità di un referendum che mette in discussione l’unità nazionale sancita dalla Costituzione – il Presidente della Repubblica potrebbe sciogliere immediatamente il Consiglio Regionale che l’ha votato; la seconda, più soft, dice invece che Napolitano si limiterà ad impugnare la delibera davanti alla Corte Costituzionale, che a sua volta la boccerà, impedendo comunque lo svolgimento del referendum.

In entrambi i casi è palese la perdita di tempo e le ricadute negative che questo voto comporta.

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ELEZIONI A PADOVA. IVO ROSSI LO CONOSCO BENE…

RossiOggi alle amministrative di Padova voterò Ivo Rossi con grande convinzione.

Innanzitutto lo conosco da una vita, e certo questo denuncia subito la sua principale debolezza: non è sicuramente “nuovo”; ma se c’è una cosa che non sopporto della politica odierna è il dover rinnovare a tutti i costi, anche laddove le cose funzionano. E a mio parere Padova, tutto sommato, funziona. Certo ci sono zone difficili, ma in misura fisiologica rispetto a città dalle dimensioni e dalla complessità analoghe, e chi in questi mesi ha paragonato Padova al Bronx, fa torto alla propria intelligenza e alla propria buona fede.

Non solo: il centro-sinistra padovano in questi anni – e di questi tempi è un’eccezione da apprezzare – non è stato neppure sfiorato da un’inchiesta, e quanto a Rossi metterei la mano sul fuoco sulla sua onestà personale.

Rossi si è trovato nelle condizioni di raccogliere l’impegnative eredità di Zanonato, e a mio parere lo ha fatto dimostrando insieme continuità e autonomia, evidenziando anche una duttilità (si veda sul tema dell’Auditorium) che il suo predecessore raramente aveva. Solitamente (nessuno è perfetto) l’ho visto in grado di cogliere i cambiamenti, e di adeguarvisi senza tradire i suoi ideali: questo anche per replicare a chi gli ha imputato troppi cambi di casacca in questi anni. Una dote che lo rende capace di comprendere e in qualche modo interpretare (con un pragmatismo a mio parere persino eccessivo) anche le ragioni di chi gli è culturalmente lontano, caratteristica molto valida per un sindaco che debba fare i conti con una città inquieta, complicata, divisa com’è Padova.

E qui sta anche la principale differenza col suo antagonista, portatore di una visione profondamente ideologica dell’azione politica, che non può che dividere il campo e mortificare gli avversari: ricordiamo che Bitonci ha guadagnato notorietà nazionale proponendosi, nel suo paese, come il sindaco anti-poveri, riversando in toto sui ceti più deboli le responsabilità dei problemi (insicurezza, degrado, crisi identitaria) che affliggono la società contemporanea: ecco, se c’è una cosa di cui Padova non avrà bisogno nei prossimi anni è di un’amministrazione che richiuda le sue ricchezze intellettuali e le sue diverse anime depositate nel tempo dentro anguste mura identitarie da Piccola Patria, e che ne faccia parlare a libello nazionale per l’ingiustizia dei suoi azzardi sociali.

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QUESTA VE LA DEVO RACCONTARE…

trenoStazione di Padova, ore 13.30. No, tranquilli, non parliamo di degrado, sicurezza, elezioni, eccetera.

Famigliola (numerosa) con padre e madre, giovani, e quattro figli a scalare, i più piccoli sui tre-4 anni. Tutti vestiti dignitosamente, ma vistosamente da grandi magazzini. Niente fronzoli, niente griffe, una sobrietà vissuta serenamente.

Il papà compra una bottiglietta di yogurt alla macchinetta che c’è al binario, e la dà al bambino più piccolo; un sorso e questo la passa al più grande e questo al terzo e via andare. Alla fine lo assaggia anche il papà, la mamma no, si sacrifica. E poi si ricomincia il giro: con una sola bottiglietta da 200 ml!

Intenerito dalla scenetta, mi domando se non sia il caso di farmi avanti e offrirgliene un’altra, poi penso che il papà potrebbe offendersi, e mentre sono lì che mi interrogo arriva il treno, diretto a Torino. Toh, mi dico: viaggiano con la Freccia Rossa. Quando il treno è fermo cercano la loro carrozza… e salgono in prima classe!

Forse possono permettersi il biglietto perchè risparmiano sullo yogurt, mi dico per consolarmi…

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IL FATTORE RENZI, LA RIVOLUZIONE DEL VOTO E LE ASPETTATIVE DEL PAESE

RenziPdLo spostamento dei voti stavolta c’è stato, e massiccio.

La destra complessivamente ha perso molto, in tutte le sue componenti esclusa la Lega, e obbiettivamente sarebbe stato ben strano il contrario (che linea politica interpreta, su Europa, riforme, economia? E su quale base, e con quale leader, potrà riaggregarsi in futuro?).

Il Pd di Renzi ha pescato voti da loro, ma soprattutto dal centro, e probabilmente ha riassorbito anche qualche grillino dell’ultima ora. Non ha invece cannibalizzato troppo la sinistra, che con Tsipras si riaffaccia alla politica dopo i naufragi del passato.

In estrema sintesi con questo slittamente il Pd presidia ora saldamente anche il centro, a differenza dal passato, senza per il momento pagare pegno a sinistra.

LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO IN EUROPA E IN ITALIA

L’ondata di consensi darà vigore all’azione del governo, e aiuterà Renzi a trattare con più forza in Europa, anche se la pericolosa affermazione continentale delle destre e degli anti-europeisti limiterà la libertà d’azione della politica, costringendo popolari e social-democratici a continui compromessi.

Con questi risultati diventa irrilevante se il Pd di Renzi sia più o meno di sinistra, ma se riuscirà a rispondere alla domanda di cambiamento che fin qui ha cavalcato, fatta di equità e pari opportunità, alleggerimento degli apparati politici, risposte rapide dalle istituzioni sui problemi quotidiani della gente, lavoro in primis. E’ questa, adesso, una politica di sinistra.

Solo allora, non dopo un’elezione vincente come questa, potrà dire “missione compiuta”. Una sfida non solo politica, perchè le aspettative suscitate sono tante, forse troppe, e una vittoria di questa portata si aspetta risultati altrettanto importanti. Che potranno essere conseguiti, farebbe bene Renzi a ribadirlo ogni momento, solo se accanto alla politica si mobiliterà l’intera società.

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UNA “GELATA” FIGLIA DEL… RISCALDAMENTO GLOBALE. OVVERO L’INGANNO DEL PIL

carrelloMa allora, siamo in ripresa o ancora sprofondati in pieno nella crisi? Il calo del Pil, rivelato nei giorni scorsi dai dati dell’Istat, farebbe propendere per la seconda ipotesi, con buona pace dei proclami ottimistici del governo, tanto da far dubitare della validità delle ricette fin qui propinate dal governo (e dall’Europa) e da farci domandare se non si debbano imboccare strade radicalmente diverse per far riprendere economia e (soprattutto) occupazione.

Lasciando inesplorato, per il momento, questo peraltro cruciale sviluppo del discorso, segnalo sulle ragioni del calo del Pil un’analisi dell’economista Mauro Deaglio (poi ripresa da altri) secondo cui la “gelata” attuale sarebbe figlia del… riscaldamento globale, nella fattispecie di un inverno molto mite, che ha ridotto del 9.3% rispetto al primo trimestre del 2013 il fatturato del comparto energetico: in sostanza il Pil sarebbe calato perché abbiamo speso meno per riscaldarci, utilizzando i risparmi per (almeno in parte) rilanciare i consumi. E infatti a confermare che una mini-ripresa sarebbe in atto (anche se purtroppo non ancora sul versante occupazionale) ci sarebbe la dinamica delle spese degli italiani, come raccontrata nel seguente articolo della Stampa.

http://www.selpressmm.com/units/esr_visualizza.asp?chkIm=52

Da tempo si parla dell’inadeguatezza del Pil a descrivere la effettiva qualità della vita delle comunità, che sono fatte anche di cose del tutto diverse dal mero sviluppo economico. Ma in questo caso il parametro economico per eccellenza scelto per indicare lo stato di salute dell’economia non si limiterebbe ad essere inadeguato, ma direbbe piuttosti il contrario del vero.  Dimostrando una volta di più la necessità di ripensare a fondo – a fronte degli sconvolgimenti avvenuti negli ultimi anni – le basi stesse di questa disciplina, e da ultimo del nostro modlelo di sviluppo.

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SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TORINO: I MIEI ACQUISTI…

Ho la casa strapiena di libri, ma al Salone di Torino non ho resistito e ho acquistato questi tre volumi… Sono l’ideale per chi ha poco tempo ma deve far sapere in società che legge molti libri.

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Scherzi a parte: pare che le vendite fino a questo momento (oggi è l’ultimo giorno) stiano andando benissimo, ci sono editori (Sperling&Kupfer e Piemem) che dichiarano incrementi fino al 50% rispetto al 2013, Rizzoli parla di un più 35%, Mondadori di più 12. Vista da qui l’Italia sembra un paese di lettori, ma probabilmente la gran parte di loro sono qui…

Ah, la Mondadori presenta anche i nuovi Flicback, i libri capovolti, che si leggono in verticale, la risposta cartacea agli e-reader: staremo a vedere se prenderanno piede, per il momento si va su titoli collaudati come le Cinquanta sfumature e Inferno di Dan Brown, ma c’è anche Guccini col suo Dizionario completo delle cose perdute.libricapovolti

Bene anche gli editori del Nordest (il Veneto è la regione ospite); una singolarità: sia la Marsilio che la Biblioteca dell’Immagine hanno presentato al Salone due volumi dedicati rispettivamente alla Storia del Salone (di Roberto Moisio) e alla Storia di Torino (di Gianni Oliva), ed entrambi stanno andando a ruba.

E fra gli autori del Nordest, personaggi come Massimo Cacciari (col suo “Labirinto filosofico”, Adelphi) e Claudio Magris (protagonista del carteggio con Biagio Marin “Ti devo tanto di ciò che sono”, curato da Renzo Sanson per Garzanti) hanno riempito le sale maggiori.

Lo stand della Regione Veneto è dedicato soprattutto alle iniziative per il prossimo centenario della Grande Guerra (ne parlerò a parte), ma sono intervenuti a parlare del “loro” Veneto anche gli scrittori Andrea Molesini, Tiziano Scarpa, Ferdinanzo Camon e Silvino Gonzato, mentre Cesare De Michelis e Antonio D’Orrico hanno parlato di Giuseppe Berto e delle celebrazioni programmate, a un secolo dalla nascita, e Philippe Daverio ha presentato la collana “La pittura nel Veneto”.

Coinvolti anche i Conservatori musicali della regione, con la presenta di quattro giovani interpreti per un paio di concerti al giorno. Nella foto sotto mia figlia Martina Frigo col flautista Niccolò Valerio, del Conservatorio di Padova, gli altri esecutori sono Alberto Tecchiati (violoncello) e Raffaele Impagnatiello (pianoforte) del Conservatorio di Adria.

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NEGOZI APERTI A PASQUA: IL CONFLITTO CITTADINO-CONSUMATORE

apertureMi ha molto colpito la spiegazione ipocrita con cui Billa ha giustificato la decisione di tenere aperti i suoi supermercati anche a Pasqua: il nostro è un servizio ai cittadini, hanno detto. Mentre altre catene hanno spiegato, più correttamente, che aprire o meno è solo una questione di business e di fatturato, la frase di Billa confonde volutamente due categorie umane totalmente distinte fra loro (anche se coincidenti negli individui): i cittadini e i consumatori.

Voglio dirlo con tutta la nettezza possibile, a costo di apparire provocatorio: il consumatore è un cittadino regredito, oppure ancora involuto, che tende a muoversi sulla base di pulsioni elementari – un bisogno da soddisfare, il desiderio di possesso, l’interesse economico – ed è strutturalmente incapace di sviluppare dentro di sé la spinta alla mediazione culturale, sociale e politica che fa di un uomo un cittadino e di un gruppo umano una comunità.

NELL’ATTO DEL CONSUMARE PREVALGONO LE PULSIONI PIU’ ELEMENTARI

Il sedicente “consumatore consapevole” che sonnecchia dentro di noi insorgerà risentito a queste parole, ignorando di essere un ossimoro vivente: perché nell’atto di spendere per acquistare, le nostre pulsioni prioritarie tendono ad essere tutto meno che consapevoli, come ben sanno i venditori professionali, che sono perennemente alla ricerca del nostro punto debole, della breccia nella nostra corazza razionale, per insinuare il cuneo vincente dell’emozione da soddisfare, della presunta convenienza economica (lo sconto), del bisogno impellente a cui dare corso. Supermercato

Ecco perché sono sempre fallite le campagne politico-culturali lanciate in passato anche da nomi illustri come Umberto Eco per costringere le aziende – tramite il boicottaggio dei consumatori – a vendere o non vendere un determinato prodotto politicamente scorretto, a non fare pubblicità sulle reti Mediaset per combattere Berlusconi, a comperare determinati articoli per salvare un’impresa o a non comperarne altri per impedire una delocalizzazione. Alla prova dei fatti il consumatore dimentica i buoni propositi (ammesso che il messaggio politico ad essi correlato gli sia arrivato) e acquista quello che capita, seguendo inconsciamente il principio di piacere oppure consapevolmente il suo interesse immediato.

L’UNICA FINALITA’ DEL MERCATO E’ ALIMENTARE SE STESSO

E poco importa se questo pone il consumatore in rotta di collisione con altre categorie di cittadini, come i lavoratori dipendenti del commercio, costretti loro malgrado a lavorare a Pasqua o nelle altre festività, o addirittura se alla lunga finirà per danneggiare lui stesso e i suoi discendenti. Il mercato, che è l’ambiente naturale in cui si muove il consumatore, non accetta nessun vincolo e non ha altra finalità che alimentare se stesso, colonizzando lo spazio e il tempo, e consumando risorse per trasformarle in merci, indipendentemente dagli effetti che questo può avere sull’ambiente, sulle relazioni umane, sullo stesso futuro.

COSA PERDIAMO CANCELLANDO LE FESTE

Cancellare le feste, col loro patrimonio di riti, simboli e valori culturali e religiosi e la loro enorme valenza sociale, per trasformarle in meri appuntamenti commerciali, significa impoverire la vita dell’uomo, ridurla a mero scambio economico, alla lunga privare noi e i nostri figli di quegli spazi di sospensione delle leggi dell’economia che rendono la vita degna di essere vissuta.

Tutto questo agli strateghi di Billa potrà non interessare, ma dovrebbe interessare invece i clienti ignari che anche a Pasqua e Pasquetta hanno affollato giulivi i negozi proditoriamente aperti.

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SE IL GIUDICE LOW COST SI DICHIARA CORRUTTIBILE

GiustiziaÈ una brutta scivolata dei giudici collegare l’ammontare della loro retribuzione all’indipendenza nello svolgimento della loro funzione: sarebbe come dire che al di sotto di un certo livello di stipendio essi sarebbero – legittimamente – corruttibili.

Se le cose stanno così, non si capisce come essi possano condannare i politici corrotti, se guadagnano meno di loro, oppure i ladri o i truffatori più o meno indigenti.

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“PICCOLA PATRIA”: “L’ACQUA ZE MORTA” E NEMMENO IO MI SENTO MOLTO BENE

PiccolapatriaDa tempo non provavo un’emozione così lancinante come all’inizio del film di Alessandro Rossetto “Piccola patria”, quando le immagini dall’alto dello sfacelo della nostra terra incontrano la canzone di Bepi De Marzi “L’acqua ze morta” eseguita dai suoi Crodaioli. Folgorante, un vero pugno nello stomaco, vedere le riprese a perpendicolo, esatte come su una carta geografica, di capannoni, strade, concimaie, alberghi di lusso, mentre le voci prima invitano “Vàrdete intorno, vàrdete intorno…” e poi colpiscono dolorosamente: “Le strade no gà più l’ombrìa/ le piazze ze posti de pena/ nei prà no se trova più fiori/ i boschi gà perso la pace”, per poi battere e ribattere: “E l’acqua? e l’acqua? e l’acqua?…/ l’acqua zé morta, zé morta zé morta stamattina/ tuti lo saveva, ma l’acqua, ma l’acqua, l’acqua zé morta disperà…”

L’acqua ze morta

Il film non manca di difetti: tra l’altro è sbrigativamente ideologico nel trattare i temi della religiosità e dell’immigrazione; ma è forte, duro, coinvolgente, nel denunciare il degrado del paesaggio che diventa anche degrado dell’anima, e implacabile nel metterci di fronte alla gabbia caotica e asfissiante che ci siamo costruiti intorno, disperante nel documentare il colpevole svuotamento di tutti i valori, a cui tutti stiamo indefessamente contribuendo; profetico addirittura nel registrare con mesi di anticipo lo smottamento secessionista come illusoria via di scampo alla Babele (anche linguistica) che ci sommerge: lo sfondo è il Veneto, certo, ma potrebbe essere uno qualsiasi delle migliaia di “non luoghi” italiani. Una cosa emerge chiara, però, dalle vicissitudini di queste due giovanissime Thelma e Louise di periferia, dalle loro relazioni mercificate con il sesso, dall’eclissi degli affetti, dalla catastrofe delle loro famiglie, dalla sparizione di ogni orizzonte culturale e di senso: non è stato nessun altro, siamo stati noi a costruirci intorno questo inferno e a calarcici dentro. E siamo noi a non sapere, anzi a non voler sapere, come uscirne.

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