VENEZIA-PARIGI, LIASON DANGEREUSES. NOTRE-DAME NELLE PAGINE DEI NOSTRI SCRITTORI

Venezia e Parigi, diverse in tutto ma unite da un fitto intreccio di scambi, relazioni, tradimenti, riparazioni, apprezzamento, gelosia, rivalse, suggestioni. L’andirivieni di artisti, scrittori, intellettuali, mercanti, mecenati, fra le due capitali culturali d’Europa è stato costante nei secoli, alimentando la fioritura e la diffusione di idee, valori, movimenti artistici, mode.
Gli esempi sarebbero innumerevoli, ma – anche senza scomodare Casanova e Goldoni – preferisco condividere senza nessuna pretesa di essere esaustivo alcune testimonianze che vedono protagonisti alcuni scrittori veneti più recentinotre-dame-incendio, incentrate in particolare su Notre Dame, 
IMG_3539simbolo ferito di una civiltà e di un immaginario che sono anche profondamente nostri.

La prima si deve a Goffredo Parise, che fu inviato a Parigi, ed è tratta da “Lontano”, un libro che raccoglie racconti e brevi reportage del grande giornalista/scrittore vicentino pubblicati nell’omonima rubrica del Corriere tra l’82 e l’83, tre anni prima di morire.
“Mi dirigevo verso il Jardin des Plantes, il cui nome bastava da solo a rispolverare dalla memoria (allora sembrava lunga ma era corta) il tuffo fatale di Nemecsek ne “I ragazzi della via Pal”, quel tuffo che lo porta morente tra le braccia dell’amico Boka nella battaglia finale.
Ma soprattutto era Matisse e anche Pissarro che nella notte apparivano e sparivano come fosse giorno con i loro colori sfavillanti e puntigliosi tra le piante del Jardin. Finchè, costeggiando il Jardin, non appariva illuminata Notre-Dame. Da cui prendevo un taxi fino a quella rue Washington, quasi all’altro capo della città, dove stava il misero alberguccio scelto al primo arrivo a Parigi e in quel periodo sempre mantenuto. Chi ne sapeva, allora, dell’escalation all’hotel d’Isly o Pont Royal, o Crillon, o Ritz?”

Ed ecco un brano da “Ombra abitata”, romanzo che si dipana proprio all’ombra della cattedrale, del veneziano Alberto Ongaro (scomparso un anno fa), altro giornalista/scrittore molto legato alla Francia. Qui il protagonista, che ha riconosciuto in una foto la ragazza che l’aveva abbandonato brutalmente 27 anni prima, ricostruisce il doloroso momento della rottura.
“Ricominciò a provare un dolore acuto, maligno, incurabile, un senso di perdita dal quale poteva a malapena proteggersi alzandosi dal letto, voltandole le spelle, rivestendosi lentamente, e intanto cercando di pensare ad altro, ai rumori del traffico che arrivavano soffocati fino alla camera, alle campane di Notre-Dame, magari anche al gobbo della cattedrale con il viso di Charles Laughton, là nell’isola in mezzo alla Senna, ai turisti del bateau mouche, a qualsiasi cosa lo aiutasse ad accumulare distanza o a erigere fortilizi fra sé e la straziante consapevolezza di quello che Rose aveva detto (…)
Scesi dalla macchina e mentre Edmond la chiudeva alzai lo sguardo verso gli alti balconi fioriti da dove tante volte, tanti anni prima, senza mai assuefarmi alla sua magnificenza, mi ero soffermato a guardare il paesaggio che c’era davanti, la cattedrale, la piazza l’Hotel-Dieu, il ponte leggero che portava all’adorno irregolare rettangolo dell’Ile Saint-Louis dove i ricchi vivevano…”
Anche in un altro romanzo di Ongaro, “Passaggio segreto”, compare la cattedrale coi suoi dintorni, sfondo su cui si proiettano i destini incrociati di alcun personaggi tra realtà e letteratura, tra Venezia e Parigi.

Ma il legame più stretto fra Venezia e Parigi è sicuramente quello vissuto da un autore vivente, Andrea Molesini, vincitore del Premio Campiello nel 2011, di cui è appena uscito un nuovo libro, “Dove un’ombra sconsolata mi cerca”. Molesini vive alcuni mesi all’anno proprio a Parigi, e in Francia è conosciuto e apprezzato. Nella capitale francese è ambientata qualche pagina de “La solitudine dell’assassino”, del 2016, ma è nel romanzo breve “Presagio”, del 2014, che a fae da sfondo ad uno degli snodi decisivi della trama è proprio Notre-Dame. Il libro si svolge alla vigilia della Grande Guerra all’Hotel Excelsior del Lido di Venezia, creato dal nonno dell’autore, Nicolò Spada, che è anche uno dei protagonisti. L’altra protagonista è un’affascinante e misteriosa giovane nobile italo-austriaca presente al Lido per oscuri motivi, che rimandano proprio a qualcosa avvenuto all’ombra della Cattedrale, ad una duplice relazione da lei intrecciata con un professore della Sorbona, e con il figlio di lui.
“Lo amavo. Lo amavo perchè sapeva prendermi e tenermi stretta e trattarmi bruscamente quando serviva ma io, malgrado la sua… forza… ero certa, sempre, di tenerlo in pugno. Perchè lo facevo sentire potente, unico. Era mio. Non gli dissi mai di quel ragazzo che mi faceva la corte. Non potevo sapere. Credevo fosse orfano. Mi aveva detto così, per rendersi interessanta agli occhi di una donna desiderata n po’ da tutti. Fu a quel ristorante, sulla Senna, proprio davanti a Notre-Dame, Gustav mi ci aveva portato per dichiararmi il suo amore eterno. Io ero imbarazzata, ma…
– Lusingata?
– Si certo, anche lusingata. Fu un colpo quando vidi Victor entrare con due colleghi dell’università.
Non ci vide subito. Ma quando passò accanto al nostro tavolino mi salutò, fingendo di conoscermi appena. Fu allora che Gustav si girò e si mise a balbettare uno stentato “Buonasera, padre” Mi sentii morire dentro”.

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DALLA CRISI DEL POLITICAMENTE CORRETTO ALL’EGEMONIA DEL POPULISMO

Questa è la prefazione che ho scritto al nuovo libro di Nicola Casaburi Casaburi, “Diario italico”, edito da Marsilio, da qualche giorno in libreria.

Fra i mutamenti più eclatanti che caratterizzano l’attuale fase politica c’è il radicale cambiamento di segno nell’interpretazione di alcune tematiche di forte impatto sull’opinione pubblica: quello che all’inizio si presentava come un superamento del “politicamente corretto”, liquidato da studiosi e commentatori come un mero mutamento nei costumi linguistici, si è rivelato essere invece la prima manifestazione di una nuova egemonia culturale, che è alla base dell’attuale dilagare del populismo in tutto il mondo occidentale. Eastwood

Non siamo di fronte, in altre parole, al semplice imporsi di un nuovo paradigma linguistico, che sdogana le parolacce e privilegia nei discorsi la genuinità “popolana” alla comunicazione più ricercata delle classi colte e progressiste, connotata da scelte lessicali rispettose delle minoranze e dei gruppi più deboli: le parole forti e i toni aggressivi e irridenti, se non decisamente offensivi, che si sono imposti negli ultimi anni nel discorso pubblico, sia nei comizi dei nuovi leader che nei post dei loro seguaci sui social, rivelano in realtà un vero e proprio rovesciamento valoriale, che liquida come buonismo i valori dell’altruismo, della solidarietà e dell’accoglienza, che riscrive come invasione ostile la fuga di milioni di persone dalla fame e dalla miseria, che declina l’universalismo liberale, di sinistra o cattolico come dittatura del pensiero unico neo-liberista e mercantilista, che circoscrive le manifestazioni di solidarietà alla ristretta comunità dei simili, che irride le acquisizioni della scienza e liquida la cultura e i suoi esponenti come retaggi del passato. Bozzetto

Tutto questo ha colto drammaticamente di sorpresa l’intellighentia progressista, da sempre confidente nelle “magnifiche sorti” dell’umanità, lasciandola muta e annichilita, incapace di articolare un discorso alternativo in grado di “bucare” l’indifferenza ostile delle nuove maggioranze. Eppure le avvisaglie di questo mutamento di umori c’erano tutte, come dimostrano le pagine che seguono, in cui Nicola Casaburi analizza circa 200 episodi di cronaca risalenti agli anni tra il 2013 e il 2015, rileggendoli alla luce dei nuovi valori emersi dalla modernità. Se nessuno, o quasi, se n’è accorto per tempo, è probabilmente perchè gli intellettuali, assorbiti dalle speculazioni sui grandi temi, tendono a ignorare la cronaca spicciola, mentre i giornalisti sono troppo assorbiti dal “coprire” notizie che il giorno dopo scivolano inevitabilmente nell’oblio, per rendersi conto della loro portata epocale e costruirci sopra dei sistemi teorici.

Casaburi si è cimentato dunque nell’impresa di raccogliere e classificare alcuni fatti che hanno colpito e diviso l’opinione pubblica, riunendoli per grandi temi e confrontandoli con una griglia interpretativa basata sulla triade valoriale della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, fra loro sempre in relazione fortemente dinamica; il tutto però analizzato alla luce di un altro elemento, che trascende naturalmente la modernità: la “riserva personale di virtù” degli individui, cioè la dotazione di saggezza, giustizia, temperanza, fortezza di cui ognuno di noi può disporre. Ed è ragionando su questo schema che egli ha visto emergere nei protagonisti della cronaca i tratti tipici delle attitudini politico-culturali citate all’inizio, che oggi segnano in profondità il discorso pubblico. politicamente

Si tratti di bullismo o di immigrazione, di omofobia o di povertà dilagante, di femminicidi o di uteri in affitto, di eutanasia o di violenze sui docenti, sono continui e ripetuti gli “attentati” alla triade valoriale citata prima, motivati sostanzialmente da quello che Casaburi definisce “il rattrappirsi delle coscienze sui rami secchi dell’individualismo”: un atteggiamento caratterizzato da scarsa solidarietà nei confronti di chi soffre, intolleranza verso i diversi, propensione al soddisfacimento del proprio piacere o al perseguimento del proprio interesse anche a scapito degli altri, e non ultimo un sistematico cedimento alle pulsioni dell’Es, non più temperate dai diktat del Super-Io o stigmatizzate dalla riprovazione etica o sociale, ormai spazzata via assieme alle grandi narrazioni ideali (a cui si accennava sopra) dalle quali essa derivava.

L’autore attribuisce gran parte delle colpe di questa deriva al disincanto generale per la caduta delle aspettative di felicità alimentate nel passato dalle ideologie e dalla politica; ma proprio ai politici – coadiuvati dai media e dal sistema formativo – egli affida il compito di trovare dei rimedi, tornando a fare – bene – il proprio mestiere: proporre dei valori e dei progetti condivisi e ricercare il consenso per promuoverli nella società, tenendo sempre presenti i dettami della nostra Costituzione, anche per conto di quei cittadini esemplari – pure presenti nelle cronache – che ad essa continuano a richiamarsi. Sapranno essere, i politici, all’altezza di una sfida così difficile? I margini di ottimismo, ahimè, non sono enormi, ma sappiamo che se si perde questa sfida dietro l’angolo c’è il collasso della convivenza civile come l’abbiamo fino ad ora concepita.

Sergio Frigo

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TINA MERLIN E GIOVANNA ZANGRANDI, DONNE, SCRITTRICI E PARTIGIANE

Donne partigianeOggi, in un clima politico che sembra voler rimuovere la memoria di quello che è stato e confondere i torti e le ragioni, ricordiamo (più che festeggiare) la Liberazione, anche se per buona parte del Nord Italia il 25 aprile fu solo l’inizio della fine. A Padova ad esempio, dopo aspri combattimenti, la resa delle forze tedesche fu firmata solo il 28 aprile, e Venezia dovette attendere un giorno di più. Liberazione Padova

LUIGI MENEGHELLO

Luigi Meneghello racconta ne “I piccoli maestri” di essere stato lui il primo ad accogliere le truppe inglesi al Bassanello, presentandosi giocosamente come un “fucking bandit” e cantando loro qualcosa assieme all’amica Simonetta. “Ecco dunque come finisce una guerra – annota lo scrittore – Prima parte un esercito, poi ne arriva un altro; ma questa non è veramente la fine. La guerra finisce negli animi della gente”.

TINA MERLIN

Ma in alcune zone montane si combattè e si morì per quasi un’altra settimana: “Non era finita. Gli ultimi presidi tedeschi non volevano arrendersi”, scrive ne “La casa sulla Marteniga” (pubblicato postumo solo per l’intervento di Mario Rigoni Stern) Tina Merlin, tina_merlin1“quella del Vajont”, che il 26 aprile sulle alture sopra Trichiana perse l’amatissimo fratello Toni, comandante partigiano. Molto toccante la descrizione del loro ultimo incontro: “Tornano dal comando di Brigata l’incntrai, un giorno, sullo stradone per Bellun. Era verso il tramonto, i raggi del sole vibravano ancora nell’aria tiepida e lo investivan in viso. Mi guardò con grande tenerezza, socchiudendo gli occhi, dal sole: – Sei stata brava, – disse – quando sarà finita ce la racconteremo. Salutami la mamma. Mi venne una gran voglia di abbracciarlo e anche a lui, mi sembrò. Ma non eravamo mai stati abituati a esternre in quel modo i nostri sentimenti. Ci lasciammo con un sorriso di complicità totale, pedalando ognuno in senso contrario. Ero molto felice”.

GIOVANNA ZANGRANDI

Il primo maggio si combatteva ancora a Belluno, e il 2 in Cadore: “L’Italia “sotto di noi” è libera; a noi, qui, resta da pelare la coda, una ispida e tenace coda”, scrive la scrittrice bellunese di adozione Giovanna Zangrandi zangrandi3ne “I giorni veri”, che racconta la sua dura esperienza partigiana. Proprio quel giorno, a Pieve, viene ucciso da una colonna di militari tedeschi irriducibili il quindicenne Diana “il più giovane dei nostri”. Solo a mezzogiorno era tutto finito, e Giovanna entra nel campanile per suonare le campane. Ma non è una fine allegra, come quella raccontata da Meneghello: troppo bruciante è il ricordo dei propri morti, ma anche la pena per quelli che si è dovuto uccidere. E mentre nelle strade si riversano – addobbati con fasce e coccarde tricolori – coloro che fino a quel momento si erano nascosti, la protagonista se ne va con un compagno “via dalla piazza, estranei, con uno stomaco che deve ingoiar qualcosa e un barlume di pensiero che domani si tenterà di orientarsi “in questo casino”, per continuare a fare quel che volevano i morti”.

Ho voluto riproporre i ricordi di queste due scrittrici (e ne parleremo diffusamente oggi alle 18 nel corso della festa al Parco Buzzaccarini di Monselice) locandina 25 aprile 2018per celebrare le migliaia di donne combattenti, spesso utilizzate dai loro comandanti per i compiti più umili e faticosi (portaordini, staffetta, addette alla sussistenza), ma che con il loro coraggio e la loro abnegazione hanno costituito il tessuto più solido e tenace della Resistenza.

I capitoli dedicati a Tina Merlin e Giovanna Zangrandi nel mio libro “I luoghi degli scrittori veneti” sono opera della giovane ricercatrice bellunese Sara Luchetta.

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DAL VENETO AGLI USA, I POPULISTI CONTRO I POVERI

TrumpZaiaIl populismo è lo strumento con cui gli esclusi dal palcoscenico della politica e dal banchetto dell’economia danno sfogo al proprio rancore sociale. Un rancore che trova origine nella disuguaglianza che dilaga nella nostra epoca, in cui chi ha molto vuole sempre di più, chi ha qualcosa se lo tiene ben stretto, e agli altri non resta che covare frustrazione e rabbia. L’altra faccia dell’attuale ripresa economica (ma durante la crisi non è stato molto diverso) è infatti un impoverimento sempre più diffuso, o almeno un aumento delle disparità, come testimoniano le file (reali) dei poveri davanti ai cassonetti delle immondizie e quelle (metaforiche) dei benestanti davanti ai ristoranti di lusso e ai negozi dai marchi più costosi.

Il paradosso è che il populismo non ha nessun interesse, e quindi nessuna intenzione, di risolvere concretamente i problemi degli esclusi, preferendo aizzare i poveri contro i più poveri (gli immigrati) e le élites istruite, piuttosto che affrontare seriamente la questione delle crescenti disparità sociali, obbligando i ricchi a contribuire a ridurle.

LA BOCCIATURA DELLE TASSE SUI RICCHI

Due episodi recenti – uno vicino a noi e uno lontano, protagonisti i populisti nostrani e quelli d’Oltreoceano – mostrano plasticamente tutto questo: mi riferisco alla bocciatura in Regione da parte della Lega e del centro-destra della proposta delle sinistre di introdurre un’addizionale sui redditi superiori ai 75mila euro (da destinare ad aiuti ad anziani, disabili, famiglie e studenti poveri), e ai massicci tagli fiscali per le imprese decisi dall’amministrazione Trump, che a detta di molti commentatori hanno l’effetto di togliere ai poveri per dare ai ricchi.

LA SCOMMESSA AZZARDATA DELLA FLAT TAX

Ora, io non vedo altri sistemi, per ridurre le disuguaglianze, che chiedere soldi a chi ne ha di più (cioè una tassazione ad aliquote crescenti) per darne a chi ne ha di meno, ovviamente senza intascarseli o dispederli nella macchina politico-amministrativa, oppure pagare di più il lavoro: visto che la seconda strada è preclusa dal fatto che penalizzerebbe la competitività delle nostre imprese nel mercato globale (che continuerà ad esistere anche se a qualcuno non piace), si dovrebbe giocoforza tornare alla prima; ma qui subentra la scommessa azzardata che ispira le decisioni citate: meglio lasciare i soldi nelle tasche dei ricchi, che li fanno fruttare meglio, tanto poi i benefici ricadranno anche sui poveri (è la logica che informa, in buona sostanza, anche la flat tax di Salvini e Berlusconi). L’esperienza dei paesi (soprattutto dell’Est europeo) che l’hanno introdotta dimostra il contrario (è cresciuto il deficit), ma a vincere sui fatti è, in questa fase, l’ideologia. E nella fase successiva a pagare il conto (col taglio del welfare, come accaduto in quei paesi) saranno ancora una volta i più poveri. Tanto poi daranno la colpa agli immigrati…

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PADOVA, PERCHE’ ABBIAMO VINTO. E COSA FARE ADESSO

PdVittoriaAnche se in… clausura per impegni inderogabili e di lungo corso, non posso esimermi dall’esprimere brevemente e schematicamente qualche considerazione sulla straordinaria vittoria che abbiamo conseguito a Padova (e uso l’aggettivo non a caso: le condizioni erano proibitive) e sulle scadenze che ci aspettano. Oltre a ringraziare di cuore, naturalmente, gli elettori padovani.

Dopo la parentesi da candidato riprendo dunque la mia funzione di osservatore (interessato e naturalmente coinvolto) mettendo nel conto che non tutti i miei eccezionali compagni di viaggio condivideranno per intero ciò che scriverò…

1 – Il risultato di domenica è stata innanzitutto la risposta della città al referendum che Bitonci aveva indetto su di sè: la paura che ha agitato per tutta la campagna elettorale, e anche la feroce determinazione a tornare per vendicarsi, hanno finito per rivoltarsi contro la sua persona. Il nostro miglior alleato è stato proprio lui.

2 – Noi (e parlo in primis delle liste di Arturo Lorenzoni) siamo stati bravi ad intercettare la paura di Bitonci che serpeggiava in città, e a trasformarla in una proposta positiva, partecipata, emotivamente coinvolgente, che ha riportato in tanti alle urne. Ma fare della nostra esperienza un caso emblematico, da “clonare” su scala nazionale rischia di essere fuorviante.

3 – Non va sottovalutato l’apporto di tutta la compagine che ha sostenuto Sergio Giordani, anche di settori del centro-destra, anche dei vituperati Zanonato, Destro, Giaretta, Degani, Gottardo (persino Bordin) che SENZA RITORNI DIRETTI (per quanto ne so) hanno speso la loro residua influenza per scongiurare ciò che sapevano essere il peggio per Padova: una città non agibile politicamente per gli avversari dell’ex sindaco.

4 – L’eterogeneità della nostra compagine, qualche sfasatura nei programmi, le aspettative più o meno legittime (personali e/o politiche) di chi si sente vincitore non renderanno facile amministrare la città. Ma proprio perché abbiamo ottenuto dalla città un’occasione irripetibile, dobbiamo essere all’altezza della sfida: perderla avrebbe effetti devastanti, in tempi brevi e di lungo termine.

5 – Quello che ci vuole adesso è grande, reciproca generosità: individuare subito i punti che uniscono tutta la compagine (sociale e periferie, innanzitutto), mettere a punto risposte rapide, concrete e visibili, ridurre al minimo i veti reciproci e contenere le rivendicazioni di bandiera che mettono in difficoltà gli alleati: su quelle sarà il caso di mettere in conto mediazioni di lungo respiro. Sindaco e vice-sindaco dovranno essere i garanti della collegialità della giunta, e gli assessori gli interpreti presso le rispettive parti… Ma qui mi fermo, i padovani non hanno mica eletto me!

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ELEZIONI A PADOVA, LA VERA POSTA IN GIOCO E’ BITONCI

Bitonci-giordaniAl di là dei programmi e delle idee che ci stanno a monte, su cui abbiamo cercato in questi mesi di attirare l’attenzione, quello di domenica sarà anche nostro malgrado un referendum su Massimo Bitonci, sulla sua idea di città e su quanto libera e ospitale essa sarebbe, soprattutto per i cittadini che non la pensano come lui.

IL PROFILO DELL’EX SINDACO

Personalmente non lo conosco, anche se ne seguo le gesta da prima ancora che diventasse sindaco di Padova. Ma per evitare di essere giudicato fazioso, vi propongo un brano su di lui tratto dall’editoriale con cui il Gazzettino (giornale non certo ostile all’ex sindaco) commentò la sua caduta il 13 novembre scorso: “Nutre poca fiducia in chi lo circonda, si sente assediato da rematori contrari, confonde amici per nemici, e accentra di conseguenza ogni decisione su di sé”. E ancora: “ama sentirsi approvare gli errori”, ha fatto scelte (l’ubicazione del nuovo ospedale, l’uso della stadio Plebiscito) “senza alcuna concertazione, a volte in senso diverso rispetto a quello indicato nel programma sottoscritto a suo tempo”, a cui il giornale aggiunge la propensione a circondarsi nelle stanze dei bottoni di amici cittadellesi, e il fumus persecutionis. Per non parlare della feroce determinazione a vendicarsi di chi l’ha disarcionato e della volontà di fare piazza pulita di qualsiasi decisione dei predecessori (giudicata pessima a prescindere), anche a costo di smantellare o ostacolare (si vedano la seconda linea del tram o la Fiera delle Parole)  le cose che funzionavano: ed è questo, al di là di qualche parcheggio in più o in meno e della localizzazione dell’ospedale su cui ha cambiato idea quattro o cinque volte, il suo vero programma: punire i nemici e tenersi le mani libere su tutto nella gestione della città.

LE PROMESSE MANCATE

Certo è un ottimo conoscitore dei meccanismi amministrativi, è dotato di grande fiuto politico, personalmente sarà anche un’ottima persona, ma come possiamo fidarci ora delle promesse di chi il giorno dell’elezione, nel 2014, si è dichiarato “sindaco di tutti” e poi ha sistematicamente attaccato tutti coloro che non la pensavano come lui, dai rappresentanti delle istituzioni a privati cittadini, come testimoniato anche dalle riprese filmate in consiglio comunale? Di chi ora si propone come angelo custode di suor Lia delle Cucine Popolari dopo averne ostacolato in tutti i modi l’attività? Di chi rilancia ora la promessa del 2014 (mai realizzata) di dare all’opposizione l’assessorato alla trasparenza? Di chi da giorni e giorni sta riversando false accuse sui neo consiglieri di Coalizione Civica, e attribuisce sistematicamente a Giordani e Lorenzoni proposte che non si sono mai sognati di avanzare (un hub al Plebiscito per gli immigrati, il via all’occupazione delle case ecc)?

UN AMMINISTRATORE IDEOLOGICO

Potrei continuare a lungo, ma mi limito a citare ancora due casi, emblematici del suo modo tutto ideologico di amministrare: l’eliminazione dei mediatori culturali che dovevano assicurare l’inserimento dei piccoli immigrati nelle scuole (con grande disagio per le maestre) e la pubblica denuncia (a favor di telecamere) contro una signora che – legittimamente e senza creare alcun problema – aveva osato ospitare in un suo alloggio alcuni immigrati (eccolo nella foto, col suo fedelissimo Boron). bitonci-boronA parte bastonare indifferentemente immigrati buoni e cattivi infatti, su questa questione non è riuscito o non ha voluto combinare nulla di concreto: perché nella sua ottica un immigrato che si integra nella nostra società è un problema, gli toglie l’argomento principe della sua azione politica, l’insicurezza.

UNA CITTÀ MENO LIBERA

Detto questo non credo che per Giordani-Lorenzoni e la nostra coalizione sarà una passeggiata amministrare la città, ma ritengo che la Padova targata Bitonci sarebbe meno libera e più autoritaria, una città in cui sarebbe più problematico esprimersi liberamente per chi dissente, e questo mi preoccupa più del restauro del Plebiscito, o del via libera a qualche nuovo centro commerciale.

E osservo che non dev’essere un caso se esponenti tanto diversi (e spesso avversari) della vita pubblica padovana – alcuni dei quali hanno collaborato con lui negli anni scorsi – si ritrovano ora tutti uniti a sostenere il suo avversario, senza alcuna contropartita ma solo a partire da un’analisi preoccupata del futuro della città in caso di suo ritorno al potere.

Ora siamo al dunque: sapremo domenica sera se ha avrà vinto la determinazione di un uomo solo a vincere e comandare, oppure quella diffusa di una città di impedirglielo per riprendere in mano il proprio destino.

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OGGI PADOVA AL VOTO: ECCO COSA HO IMPARATO IN CAMPAGNA ELETTORALE

IMG_3701Dunque ci siamo. Mentre votate, ecco qualche flash rigorosamente personale sulla campagna elettorale appena conclusa (attenzione: potrebbe contenere pubblicità subliminale :-).

Innanzitutto, mi sono reso conto finalmente (dopo anni che praticamente ci venivo solo a dormire) di quanto sia grande la nostra Padova, di quante disparità sociali (da emendare) la caratterizzino, ma anche delle sue tante diversità positive, da valorizzare e rendere l’un l’altra compatibili e dialoganti. Compito non facile, perché molti cittadini, quando incontrano i candidati, avanzano richieste concrete ma molto specifiche, a volte impossibili da conciliare fra loro: rivitalizzare la piazzetta ma mandare a dormire con le galline i ragazzi che la popolano; limitare l’inquinamento e il traffico ma eliminare il tram, o ridurre le piste per le biciclette, che “restringono la carreggiata”; e potrei continuare a lungo.

Fra le persone incontrate, ho avvertito una forte sintonia con i giovani genitori, che girano per le strade dei quartieri e tendenzialmente vivono una dimensione di relazioni; i più ostili sono risultati invece i maschi più anziani e benestanti, che si fanno gli affari loro e diffidano (a meno che non ne abbiano bisogno) di coloro che si danno da fare per il bene comune: non dev’essere facile averli come vicini; fra tutti, poi, mi hanno decisamente impressionato i bitonciani: impermeabili a tutto, rifiutano persino di prendere in mano un volantino, perché le loro certezze non prevedono confronto; nella loro idea di società chi incarna ideali diversi dai loro non ha diritto di cittadinanza.

Inutile dire (ma lo dico lo stesso) che nella nostra lista e dintorni ho incontrato molti compagni e compagne simpatici e interessanti, e una persona che ho visto giorno dopo giorno crescere come un vero leader: comunque vada Arturo Lorenzoni sarà una risorsa importante per la Padova futura, peccato per chi non l’ha ancora capito.

In questi due mesi ho fatto cose che mai avrei pensato di fare: suonare ai campanelli, IMG_3701IMG_3605fermare la gente per strada, disturbare le persone ai tavoli dei ristoranti, cercare al telefono o via mail amici persi da anni, persino improvvisare un mini-comizio all’Arcella: ne hanno risentito il mio orto e i miei impegni lavorativi, ho perso un paio di chili e varie ore di sonno, guadagnato un bel colorito ma anche un herpes fastidioso (per la politica bisogna avere la vocazione, altrimenti risulta soprattutto stressante, ed essere disposti a metterci la faccia in prima persona, anche quando non è né comodo né vantaggioso).

Fra le altre cose ricordo con riconoscenza una signora che fuori da un supermercato mi ha regalato un cestino di ciliege, e con disagio una novantaduenne nostalgica che mi ha trascinato in una serrata discussione sui pregi del Ventennio…

Comunque vada (e lo sapremo fra poche ore) ne valeva la pena, almeno non dovrò rimproverarmi per non aver fatto la mia parte per far vincere l’idea di città che ho nel cuore.

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PRIMA I VENETI… E LE NOSTRE SCUOLE SI SVUOTANO

bambini-stranieriChi pensa che gli immigrati dovrebbero andarsene tutti dal Veneto, avrà da gioire: per la prima volta cala il numero degli iscritti nelle scuole (meno 4662 in tutta la regione, meno 439 a Padova), e si tratta soprattutto di figli di famiglie straniere. Sono gli effetti della denatalità, che ormai coinvolge anche le coppie di immigrati, ma anche del perdurare della crisi economica, che ha spinto molti cittadini stranieri ad andarsene altrove, oppure a rimandare le proprie famiglie nei paesi d’origine. Ma questi sono anche gli esiti della penalizzazione sistematica di cui sono oggetto – all’insegna del “Prima i veneti” – gli stranieri, anche regolari, o i cittadini di altre zone d’Italia che abbiano scelto di lavorare e vivere nella nostra regione.

Non si tratta di una buona notizia, perché denota una chiusura della nostra società e il venir meno delle condizioni per l’inserimento di forze nuove nel tessuto sociale e di stabilizzazione demografica di cui c’è estremo bisogno: stando agli studiosi padovani Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna con l’attuale andamento demografico per mantenere costante la popolazione in età lavorativa (20-64 anni) nei prossimi 20 anni dovrebbero entrare in Italia ogni anno 325mila potenziali lavoratori, altrimenti nel 2037 la forza lavoro sarà calata da 36 a 29 milioni, a mano a mano che i baby boomers nati negli anni 1955-1975 andranno in pensione; senza contare che la riduzione degli iscritti – per il momento soprattutto alle materne ed elementari – avrà come conseguenza, nei prossimi anni, anche la riduzione del numero di insegnanti.

Con tutto questo – per motivi meramente ideologici – la Regione e i comuni leghisti continuano a sfornare norme che per arginare un’immaginaria invasione straniera eliminano le iniziative di inserimento (come i mediatori culturali a Padova) e bloccano l’accesso ai non veneti a ogni tipo di welfare, come quella che per l’iscrizione alle scuole materne ormai vuote prevede la precedenza ai bambini di famiglie residenti e occupate nella nostra regione da almeno 15 anni.

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BIENNALE, TRIONFO TEDESCO

Trionfo tedesco alla 57. Biennale: la Giuria internazionale ha infatti premiato sia il padiglione della Germania che l’artista Franz Erhard Walther.

Ecco le motivazioni:

Leone d’oro per la migliore Partecipazione Nazionale alla Germania IMG_3450(padiglione letteralmente preso d’assalto dal pubblico fin dalle prime ore della pre-apertura, con i suoi doberman e le performance degli attori e della stessa artista Anne Imhof, 38enne) “per un’installazione potente e inquietante che pone domande urgenti sul nostro tempo e spinge lo spettatore a uno stato di ansia consapevole. Risposta originale all’architettura del padiglione, il lavoro di Imhof è caratterizzato da una scelta rigorosa di oggetti, corpi, immagini e suoni”.

Menzione speciale come Partecipazione Nazionale al Brasile “per un’installazione che crea uno spazio enigmatico e instabile in cui non ci si può sentire sicuri. Sia la struttura dell’installazione che il video di Cinthia Marcelle realizzato in collaborazione con il cineasta Tiago Mata Machado affrontano le problematiche della società brasiliana contemporanea”.

Leone d’oro per il miglior Artista della 57. Esposizione Internazionale Viva Arte Viva a IMG_3304Franz Erhard Walther per un lavoro (esposto alle Corderie dell’Arsenale) che “mette insieme forme, colore, tessuti, scultura, performance e che stimola e attiva lo spettatore in un modo coinvolgente. Per la natura radicale e complessa della sua opera che attraversa il nostro tempo e suggerisce la mutazione contemporanea di una vita in transito”.

Leone d’argento come giovane artista promettente a Hassan Kahn “per la relazione speciale e intima che quest’opera crea con lo spettatore, a cui suggerisce una connessione tra voce, suono e orizzonte. La sua Composition for a Public Park crea un’esperienza coinvolgente che intreccia in modo splendido politica e poetica”.

Due sono le menzioni speciali attribuite quest’anno agli artisti:
Charles Atlas, per due video “di grande splendore visivo e sofisticato montaggio in cui le immagini della bellezza naturale e dell’artifizio artificiale sono accompagnate da un racconto che affronta i problemi di indigenza, frustrazione, sessualità e classe”.

Petrit Halilaj, per degli interventi che “evidenziano il legame tra gli spazi architettonici dell’Arsenale e del Padiglione Centrale e l’opera, in una relazione tra la storia del Kosovo, i suoi ricordi d’infanzia e la creazione”.

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LA MIA… “DISCESA IN CAMPO”

Padova è la città che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore… Ops, scusate, nell’annunciare la mia personale “discesa in campo” mi sono fatto un po’ prendere la mano :-).

Riprendiamo, e seriamente stavolta.

Nonostante tutto il male che si dice (spesso giustamente) dei politici, io continuo ad ammirare chi decide di sacrificare il suo tempo, le sue passioni, le relazioni familiari e amicali per rendere un servizio alla comunità. Certo, molti sono animati solo da narcisismo, voglia di rivalsa e di autoaffermazione, sete di potere e fame di soldi, ma ci sono anche coloro che lo fanno perché ritengono di aver accumulato delle competenze e delle esperienze che possono contribuire al bene comune. Lorenzoni

Se a sessant’anni, dopo essermi interessato molto di politica ma sempre tenendomene alla larga, ho deciso di forzare le mie attitudini e di accettare di mettermi in lista con Arturo Lorenzoni, è per due motivi: primo, perché sento il dovere di contribuire ad evitare il ritorno di un’amministrazione che ha diviso i padovani e rinnegato le tradizioni di apertura e solidarietà proprie di questa città, e di un sindaco che ha fatto promesse a vuoto e litigato con le altre istituzioni e con chiunque non la pensasse come lui;secondo, perché credo di aver individuato in Arturo Lorenzoni una di quelle persone animate soprattutto dal genuino desiderio di migliorare il contesto in cui si trovano a vivere e operare, e convinte che la politica (intesa come scelta di servizio più che come professione) sia uno dei possibili mezzi per farlo.

ListaLo stesso spirito anima la lista in cui mi trovo inserito, che si è coagulata attorno alla sua persona e al suo programma, condiviso anche con Coalizione Civica. Siamo tutte persone che studiando e lavorando hanno maturato delle competenze – insegnanti a cui si danno in consegna i propri figli, medici a cui si affida la propria salute, volontari che si curano delle persone più fragili, piccoli imprenditori dello sviluppo sostenibile – e che hanno il piacere di metterle a disposizione dei loro concittadini, per aiutarli a vivere meglio, chiedendo in cambio solo la loro fiducia.

Condividiamo il sogno di una “città inclusiva”, capace di mobilitare tutta l’enorme ricchezza umana, culturale, associativa, produttiva che possiede, e di assicurare ascolto, tutela e opportunità a tutte le categorie sociali, a partire dai giovani, dagli anziani e dalle categorie più deboli. E riteniamo che Arturo Lorenzoni, per la sua storia personale e le sue competenze sia la persona giusta per ricompattare i padovani, garantendo insieme la sicurezza, che nasce dalle relazioni personali e non dall’enfatizzazione della paura, e l’apertura al futuro.

Mi piacerebbe coinvolgere un po’ di amici in questa avventura, convincervi che vale la pena di provare. Se poi decidete anche di votarmi, grazie, sono in ticket con l’amica Elena Andretta, medico e altopianese come me, di cui trovate il profilo al link sottostante, sulla pagina della lista.

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