CAMPAGNA ELETTORALE CON TROPPI LEADER MA SENZA I PARTITI

Leaderpolitici.jpgMa dove sono finiti i partiti? Questa non sembra una campagna elettorale, ma una serie di “one show man”. Vale per Berlusconi, ovviamente, ma anche per tutte le altre coalizioni: si vedono i leader e praticamente nessun altro. Anche sul territorio: dove sono finiti i candidati locali?

Persino il Pd, tradizionalmente un contenitore dalle molte (fin troppe) voci, stavolta fa fatica a far uscire altre facce e altre proposte a parte quella di Bersani, che pure è l’unico a non avere il nome a caratteri cubitali sul simbolo elettorale. Si tratta di una semplificazione massiccia che è certo funzionale alla televisione, ma non fa sicuramente bene alla politica, che si frammenta in piccoli slogan parziali e senza profondità né durata e si banalizza nella capacità di tenere la scena dei vari leader.

Il confronto inoltre, più che fra idee e programmi messi a punto da esperti e politici, sembra ridursi al conflitto muscolare fra leader, alle uscite dei populisti di varia natura, alle ricette calate dall’alto da élites finanziarie e burocrazie europea rapaci o lontane.

 

PARTITI SCREDITATI, MA NON SONO TUTTI UGUALI

Ci sono due elementi a concorrere a questo risultato: da un lato la spettacolarizzazione spinta di ogni manifestazione della vita, pubblica e persino personale, dall’altro la pessima fama che si sono guadagnati i partiti in decenni di malversazioni. E – non proprio ovviamente – alla fine è facile fare di ogni erba un fascio: sentivo l’altro giorno Oliviero Toscani riconoscere in tv, a Piazza Pulita, che Bersani è un’ottima persona, peccato che abbia dietro un partito come il Pd: ma perché mai? A me pare che alcuni partiti presentino un tasso di corruzione patologico, e altri un tasso fisiologico; e mi pare soprattutto che a fare la differenza sia come i diversi partiti intervengono sui loro militanti che si mettono nei guai: alcuni continuando ad assicurare loro posizioni di comando, altri costringendoli a dimettersi e mettendoli fuori dal partito.

MA SENZA PARTITI C’È DEMOCRAZIA?

Il risultato è che a livello nazionale ben il 44% degli elettori (dati di Demos pubblicati ieri sul Gazzettino) è convinto che la democrazia possa funzionare senza i partiti, una percentuale che schizza al 51% nel Nordest. È particolarmente significativo che la quota maggiore degli antipartito (tra il 67 e il 68%) si registri fra gli elettori del Pdl e del Movimento 5 Stelle, e la quota minore nel Pd (26.2%). Evidentemente nei primi due casi prevale il richiamo del leader (si chiami Berlusconi o Grillo) e l’individuazione di luoghi diversi in cui far evolvere la proposta politica: la televisione e la Rete. Io ritengo al contrario che la prima rischi di essere – come ho già detto – la tomba della buona politica, che ha bisogno di ragionamenti più che di spot; e che la seconda sia una specie di suk in cui si trova di tutto (anche splendide opportunità) ma con scarse possibilità di distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è, e in cui la possibilità di manipolazione è fortissima.

Sulla crescente disaffezione ai partiti si registrano varie voci: il sociologo Aldo Bonomi, sul Gazzettino, commenta i dati del sondaggio come una evoluzione delle modalità di impegno della gente sul versante pubblico, enfatizzando l’afflato partecipativo che sta dietro la nascita di un comitato, di un movimento o di una lista civica. Un altro sociologo e storico, Marco Revelli, Revelli.jpgnel libro appena uscito “Finale di partito” (Einaudi) mette in relazione la crisi delle forme tradizionali di rappresentanza politica col superamento del fordismo come si sta realizzando nell’economia a livello globale. Ecco un estratto del suo libro.

978880621554PCA.pdf

I PARTITI E LE NUOVE FORME DELLA POLITICA DEVONO CONVIVERE

Io credo che si debba oggi concepire una realtà in cui i partiti e le altre forme di produzione di dibattito e organizzazione del consenso (blog, social network, movimenti, liste civiche, comitati) coesistono e interagiscono, confrontandosi e facendosi anche concorrenza: ma credo anche che al momento spetti ancora al partito il compito di “tirare le somme”, perché si tratta ancora dell’unica struttura in grado di coniugare le diverse spinte che provengono dalla società plurale dentro un quadro di riferimento complessivo che faccia sintesi di tutte, confrontandole soprattutto con le istanze più generali, sia di carattere storico-ideologico che geo-politico ed economico. Altrimenti tanto varrebbe chiudersi nelle nostre piccole patrie – reali o virtuali – in cui si prendono decisioni fondate solo su conoscenze limitate e interessi particolari, incuranti del bene generale e comune.

PD: PROMUOVERE RENZI MA ANCHE I CANDIDATI DEL TERRITORIO

Renzi.jpgE per scendere nel concreto: fossi il leader del Pd valorizzerei al massimo, a livello nazionale, la figura di Matteo Renzi, che è abilissimo a duellare con Berlusconi e Grillo nei rispettivi terreni; ma a livello locale promuoverei il massimo degli incontri pubblici anche con i candidati del territorio, che sono quelli che poi la gente vota. Altrimenti tanto valeva, per Bersani, mettere il proprio nome nel simbolo, come gli avversari, e cominciare a battere a tappeto gli studi televisivi.

CAMPAGNA ELETTORALE CON TROPPI LEADER MA SENZA I PARTITIultima modifica: 2013-02-06T15:03:00+01:00da sergiofrigo
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