Mai come in questa fase politica gli interessi particolari dei partiti appaiono in rotta di collisione con quelli generali del paese. Azzardo qualche considerazione su questo, a partire dal fatto che il Governo dopo le ultime defezioni è virtualmente senza maggioranza alla Camera, ma avendo ben presente che la situazione è così fluida che potrei essere smentito nei prossimi dieci minuti.
Cosa vuol dire “senza maggioranza”: che Berlusconi sta preparando le valigie? Fossi in voi non correrei troppo: può cadere in qualsiasi momento, ma potrebbe anche durare ancora per un po’… Ad esempio nel voto dell’8 novembre sul rendiconto, quello su cui è stato rovinosamente battuto qualche settimana fa, probabilmente otterrà ancora la maggioranza, perché i sei dissidenti del Pdl “per senso di responsabilità” non dovrebbero negargliela. Non solo: come sempre in questi casi l’uomo sta promettendo mari e monti a destra e a manca, per strappare qualche uomo alle opposizioni: cosa faranno ad esempio i radicali, da tempo in rotta di collisione col Pd? E non sono gli unici in bilico.
ELEZIONI ANTICIPATE O GOVERNO TECNICO?
Ma ammesso che l’incidente avvenisse? Le strade che si aprirebbero a questo punto sono, notoriamente, due: una molto stretta, di un governo del presidente, che punti ad una maggioranza bipartisan; e una molto più in discesa che porta dritta alle elezioni anticipate. La prima ipotesi sarebbe quella più utile al paese: le forze politiche sarebbero chiamate a condividere con senso di responsabilità le dure decisioni che ci impone l’Europa, e il malumore che certamente monterà nel paese, senza scannarsi in una durissima campagna elettorale alla fine della quale (grazie anche all’attuale legge elettorale) uscirebbe comunque un’Italia sempre più spaccata, e una maggioranza risicata, strutturalmente divisa e poco rappresentativa. Senza considerare gli effetti devastanti di tutto questo sulla nostra già ridottissima capacità di auto-rappresentarci e auto-tutelarci in Europa.
LE CONDIZIONI PER UN GOVERNO DI EMERGENZA
Analizziamo dunque l’ipotesi di questo governo di emergenza, contro cui peraltro già i vertici di Lega e Pdl hanno promesso le barricate. Napolitano potrebbe affidare un mandato esplorativo a Letta, oppure spingersi fino a Monti, che sarebbe l’uomo più adatto per la stima di cui gode in Europa e la risolutezza di cui ha dato prova nel suo mandato da commissario europeo (ricordate la battaglia contro i monopoli e in particolare Microsoft?). Credo che eliminato Berlusconi dalla scena lo spread, ad esempio, si ridurrebbe subito di parecchi punti, ma certo questo non sarebbe sufficiente.
LA ROTTURA DEI DUE BLOCCHI, MAGGIORANZA E OPPOSIZIONE
È chiaro che l’unica possibilità di farcela per un presidente incaricato passerebbe per la frantumazione di entrambi i due blocchi maggioranza-opposizione, se non addirittura degli stessi partiti. Egli potrebbe spingersi infatti fino a presentarsi in Parlamento con un programma su cui chiedere la fiducia, contando sull’appoggio e la persuasione di Napolitano; immaginiamo che nel programma ci sarebbe una patrimoniale (su cui concordano il centro, la sinistra e il 70% degli italiani, perché convinti a torto che a pagare sarebbero solo i super-ricchi), ma anche un ritocco delle pensioni di anzianità, qualcosa sul lavoro e poi dismissioni di patrimonio pubblico, liberalizzazioni, privatizzazioni. A quel punto le parti politiche dovrebbero decidere: è pensabile che Lega e Sel (e cito solo le ali estreme dello schieramento, ma immagino i mal di pancia anche nei due maggiori partiti) potrebbero votare un programma del genere? La Lega in particolare non vede l’ora di smarcarsi da Berlusconi e ricompattarsi sulla difesa corporativa delle pensioni di anzianità, su cui riguadagnare il consenso perduto in questi mesi. Ma accetterebbero le altre forze politiche di imbarcarsi in un’impresa di tagli e risanamenti che avrebbe come effetto un bagno di sangue elettorale? Si consideri che gli affetti veri della manovra europea non si sono ancora fatti sentire nella quotidianità.
ECCO PERCHE’ PER I PARTITI SAREBBE MEGLIO VOTARE
Ecco perché gli interessi delle forse politiche divergono da quelli generali del Paese. Berlusconi non potrebbe accettare di veder risolvere da qualcun altro i problemi che lui non ha risolto, e anzi ha aggravato: sarebbe la fine non solo della sua leadership politica, ma anche del suo sogno di entrare nella storia, e forse anche della sua fortuna economica. Sia il Cavaliere che Bossi, invece, andando alle urne in tempo ravvicinato e con la legge Porcellum sarebbero determinanti nel definire delle liste di candidati fedelissimi, e potrebbero puntare anche ad un rapido tracollo di una probabile futura maggioranza di centro-sinistra. Quanto a Bersani, fa professione di senso di responsabilità, ma credo che buona parte del suo partito non sarebbe tanto contento di correre (un’altra volta) a tamponare i guasti lasciati in eredità dal centrodestra, senza neppure avere davanti un’intera legislatura per provare a capitalizzare i sacrifici.
L’UNICA POSSIBILITA’ DI FARCELA…
C’è un’unica possibilità, che potrebbe aiutare l’ipotesi prospettata: il senso di responsabilità dei singoli parlamentari, se qualcuno ci credesse sul serio; o, meglio, il fatto che se non si arriverà alla fine della legislatura quasi 250 di loro (i novizi) non matureranno il diritto alla pensione…
Una risposta a SE CADE BERLUSCONI: L’INTERESSE DEI PARTITI CONTRO QUELLO DEL PAESE