I TAGLI ALLA CULTURA, EMBLEMA DI UNA SOCIETÀ IMPOVERITA CHE RINUNCIA A UNA FETTA DI LIBERTÀ

Tremonti1.jpegRiflettendo in questi giorni sui drastici tagli alla cultura decretati dal governo (fondi praticamente dimezzati alla Biennale) ho capito quanto si è impoverito il Paese, e che cosa ci stiamo perdendo: qualcosa di molto più importante della pure importantissima istituzione veneziana, della sua Mostra del cinema, delle altre fondazioni a rischio di scomparsa. Ci stiamo perdendo un pezzo della nostra libertà, e in particolare la possibilità di fare cultura, ricerca, spettacolo, musica, senza essere asserviti a un padrone. Stiamo regredendo, in altre parole, a prima dell’Ottocento, quando tutte queste attività potevano essere svolte solo sotto la protezione di un principe o di un mecenate.

 

SEGUE:

QUANDO ARTE E CULTURA SONO DIVENTATE AUTONOME

LE DIFFERENZE CON I PAESI STRANIERI

ECCO GLI EFFETTI DEI TAGLI

ARTISTI E INTELLETTUALI COSTRETTI AI COMPROMESSI

LA CULTURA ARRICCHISCE: MA CHI?

LA PROTESTA DI RICCARDO MUTI
UN COMMENTO DI MICHELE SERRA

QUANDO ARTE E CULTURA SONO DIVENTATE AUTONOME

Non ci pensiamo mai, infatti, ma è solo un’acquisizione recente la possibilità per gli artisti e gli intellettuali di sviluppare la propria attività al di fuori delle protezioni eccellenti e anche delle regole di mercato, di sperimentare Biennalenuda.jpgfregandosene della committenza o della commercializzazione, di esprimersi al di fuori delle convenzioni, che è forse la funzione più nobile dell’arte e della cultura. Tutto questo è potuto avvenire con l’imporsi sulla scena pubblica della borghesia liberale e quindi dello Stato democratico, che grazie allo sviluppo economico ha potuto mettere a disposizione della cultura e dell’arte le risorse necessarie per svilupparsi autonomamente, senza dover ricorrere come nel passato al mecenatismo spesso interessato, oppure sopravvivere in miseria. Certo, dall’Ottocento in poi si è anche sviluppato un mercato per queste attività, ma è assodato che il mercato segue le mode, non incoraggia la sperimentazione, e raramente individua e premia il genio: gli innovatori ribelli, senza i quali il mondo probabilmente non avrebbe ancora neppure inventato la ruota, all’inizio sono accolti dal pubblico dall’indifferenza se non addirittura dall’ostilità generale.

Biennale1.jpgOra dunque siamo al punto in cui, a causa dell’assottigliarsi delle risorse dello Stato, vengono ridotti drasticamente i finanziamenti pubblici a tutte le istituzioni (fondazioni, istituti di cultura, teatri lirici, ma anche enti locali) che finora hanno assicurato agli artisti incarichi, commesse, scritture, premi (e palcoscenici) con i quali portare avanti la propria attività: penso al teatro, ad esempio, alle arti figurative, alla musica non commerciale, alla danza, al cinema e alla letteratura non di consumo.

LE DIFFERENZE CON I PAESI STRANIERI

Il problema è soprattutto del nostro paese, perché ad esempio la florida Germania non ha di questi problemi, la Francia mantiene i finanziamenti pubblici perché considera queste attività parte integrante dell’affermazione della propria identità nazionale, e il mondo anglosassone ha preso invece da tempo la strada del mecenatismo pubblico: “In quei paesi, a differenza che da noi – dice l’economista della Bocconi Giorgio Brunetti – per ragioni storiche e ispirazione religiosa chi ottiene successo e ricchezza nella vita professionale si sente in obbligo di restituire alla collettività una parte di quello che ha ricevuto, e quindi finanzia oltre che il welfare, grandi fondazioni o grandi musei, i quali promuovono l’arte e la cultura al di fuori da ogni vincolo”.

In Italia, ovviamente, non è così: chi ha fatto i soldi se li tiene, o pensa al modo migliore per passarli, esentasse, ai propri figli; e se investe nell’arte, pensa bene di farsi la propria collezione privata, oppure si fa costruire un mausoleo, come Berlusconi ha fatto con Pietro Cascella.

ECCO GLI EFFETTI DEI TAGLI

Gli effetti di tutto questo sono (e ancor più lo saranno nei prossimi mesi) sotto gli occhi di tutti: è già diminuita drasticamente l’offerta culturale, anche nelle nostre città. Meno concerti, meno cicli di dibattiti, meno rappresentazioni teatrali, meno corsi e master universitari, meno mostre e più “povere”, più artisti e intellettuali a spasso, costretti a rientrare in famiglia, se sono giovani, o a cercare affannosamente fonti di reddito al di fuori della propria attività. Ma questo è il meno, salvo ovviamente che per i diretti interessati. Biennale.jpg

ARTISTI E INTELLETTUALI COSTRETTI AI COMPROMESSI

La cosa più seria è che per continuare a lavorare essi devono sempre più spesso adattarsi a dei compromessi che mettono a repentaglio la loro libertà artistica, e di conseguenza privano noi, il pubblico, del guizzo dell’innovazione che scaturisce solo dall’autonomia della ricerca, e privano la società di quei gesti di rottura che rompono gli schemi consolidati e preparano nuovi parametri artistici, letterari, di costume. Oggi chi fa arte o cultura professionalmente deve sempre più spesso fare i conti con questa alternativa: o entra nel circuito della politica, accettando determinate commesse e non altre, proponendo determinati repertori e non altri (ad esempio la musica o il teatro veneti, oppure i grandi classici della lirica senza nessuna sperimentazione), oppure si adatta a lavorare dentro progetti sponsorizzati dalle aziende, che però non si limitano più come un tempo a versare soldi in cambio della presenza discreta del loro marchio, ma chiedono di essere parte attiva nella definizione dei programmi, che devono essere finalizzati in maniera diretta alla valorizzazione del prodotto (lo stesso discorso vale, ovviamente, per l’attività scientifica attorno alle università).

LA CULTURA ARRICCHISCE: MA CHI?

Il mantra, rilanciato da tutti, dico tutti, gli esperti e addetti ai lavori, è che l’arte arricchisce – non spiritualmente ma economicamente – il territorio e le sue imprese, è un valore aggiunto che si spende benissimo all’estero, dove il marchio Italia, con tutto quello che significa in termini di storia e tradizione, ha ancora un suo appeal e traina bene i nostri prodotti sui mercati; e i più coraggiosi si spingono addirittura a rovesciare la famosa frase di Tremonti, sostenendo che “con la cultura si mangia”: e di questi tempi rischiano di apparire dei rivoluzionari.

1. continua (è una minaccia…)

(Nelle immagini alcune opere presentate alla Biennale, e nel video sotto la protesta di Riccardo Muti alla prima romana del Nabucco. Segue un commento di Michele Serra, su Repubblica dell’11 marzo)

 

adon.pl?act=doc&doc=379

I TAGLI ALLA CULTURA, EMBLEMA DI UNA SOCIETÀ IMPOVERITA CHE RINUNCIA A UNA FETTA DI LIBERTÀultima modifica: 2011-03-13T11:53:00+01:00da sergiofrigo
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