IMMIGRAZIONE. LA MERKEL: CONTRO LA XENOFOBIA NO AL MULTICULTURALISMO

Ferve in Europa, dopo i recenti risultati elettorali che hanno premiato un po’ ovunque i partiti xenofobi, il dibattito su come accogliere gli immigrati e come favorire la loro integrazione.

Segnalo sulla Stampa di ieri questo articolo di Alessandro Alviani, che racconta come la Germania affronta al questione, e un’intervista sullo stesso argomento di Khaled Fuad Allam.

Segnalo in particolare il dato secondo cui il 60% dei tedeschi vorrebbe limitare l’esercizio della libertà religiosa ai musulmani, e la risposta della Merkel: “L’Islam è una parte integrante della Germania”. Evidentemente è possibile, anche dal centro-destra, una risposta non complice alla xenofobia dilagante.

“Merkel: Il multiculturalismo è fallito”

di Alessandro Alviani

I conservatori tedeschi seppelliscono l’idea del multiculturalismo. E a officiare la cerimonia è la cancelliera in persona. «L’approccio multiculturale è fallito, completamente fallito», ha detto ieri Angela Merkel, abbandonando per un attimo la sua tradizionale cautela verbale. In passato abbiamo chiesto agli immigrati troppo poco, è giusto pretendere che imparino il tedesco, ha scandito a Potsdam davanti i giovani della Cdu/Csu. L’Islam, comunque, è una parte integrante della Germania, ha corretto il tiro Frau Merkel, ripetendo una discussa frase del presidente federale Christian Wulff. «Il multiculturalismo è morto», aveva detto venerdì sera Horst Seehofer, leader della Csu (il partito bavarese gemello della Cdu). «Noi ci schieriamo a favore della cultura predominante tedesca e contro il multiculturalismo», aveva aggiunto, ripescando un termine – Leitkultur, cultura predominante – apparso nel dibattito politico tedesco dieci anni fa.

La Germania discute animatamente di integrazione da fine agosto, da quando, cioè, è uscito un provocatorio libro scritto dall’ex banchiere della Bundesbank Thilo Sarrazin. A ravvivare il dibattito ci hanno pensato nei giorni scorsi prima le frasi di Seehofer, che ha chiesto di sospendere l’arrivo di nuovi immigrati dalla Turchia e dal mondo arabo, poi i risultati di due studi: per il primo quasi il 60% dei tedeschi vorrebbe limitare l’esercizio della libertà di religione dei musulmani; per il secondo circa il 41% dei giovani turchi auspica di dividere il pianerottolo con un tedesco, mentre meno del 10% dei giovani tedeschi vorrebbe un vicino turco.

La folta comunità turca in Germania teme che la situazione possa sfuggire di mano: «Ho paura, da settimane mi minacciano dicendomi che sono uno straniero di merda, sebbene io sia un cittadino tedesco – ha raccontato alla «Welt» Kenan Kolat, presidente della comunità turca in Germania – È come all’inizio degli Anni 90 col dibattito sul diritto d’asilo, poco dopo ci furono degli incendi». Qualcosa, in realtà, nel frattempo è cambiato: la Germania non è più un Paese di immigrazione, ma di emigrazione. Nel 2009 hanno lasciato la Repubblica federale 734.000 persone, mentre 721.000 vi sono emigrate; i turchi che hanno abbandonato la Germania sono stati 10.000 in più rispetto a quelli che vi sono arrivati. Il che sembra paradossale, visti i toni dell’attuale dibattito, che si spiega anche con ragioni politiche. La Cdu, ma soprattutto la Csu di Seehofer, tentano di recuperare l’elettorato conservatore, deluso dal rinnovamento imposto da un’Angela Merkel su cui si moltiplicano le indiscrezioni: da giorni girano voci secondo cui, se a marzo la Cdu dovesse crollare alle regionali in Baden-Württemberg, Merkel potrebbe farsi da parte e lasciare la cancelleria al ministro della Difesa, Karl-Theodor zu Guttenberg, che parla però di idea «bizzarra».

Il presidente turco Abdullah Gül ha provato ad abbassare i toni, invitando i suoi connazionali in Germania a imparare il tedesco «correntemente e senza accento». Il dibattito, però, prosegue. «La Germania non è un Paese d’immigrazione» e bisogna evitare che la carenza di personale altamente qualificato diventi un pretesto per «un’immigrazione incontrollata», ha rilanciato Seehofer in un piano in sette punti sull’integrazione. Le sue parole suonano tutt’altro che nuove. «L’integrazione è possibile solo se il numero degli stranieri che vivono da noi non continuerà a crescere; bisogna evitare un’immigrazione illimitata e incontrollata». Parola di Helmut Kohl, alla sua prima dichiarazione da cancelliere al Bundestag. Era il 1982.

Ed ecco il commento di Khaked Fouad Allam, già parlamentare del Pd e ora dirigente del Partito Radicale Transnazionale, in un’intervista sul Giornale.

 

 

Fouad Allam: “Basta con gli autogol. Con la tolleranza si favorisce la xenofobia”

 

 

di Manila Alfano

Il multiculturalismo ha fallito. L’allarme lo lancia Angela Merkel. Gli immigrati fanno paura, e oggi l’Europa è confusa e trema di fronte al peso dei cambiamenti. La destra xenofoba le chiama invasioni. Khaled Fouad Allam, sociologo e politico di origine algerina, naturalizzato italiano, scuote la testa. «L’Europa ha peccato di ingenuità. Ha smesso di interrogarsi sulla domanda fondamentale. Che cosa vuole essere? Solo da qui si può partire per decidere cosa si vuole fare».

Dove ha sbagliato l’Europa?

«Per troppo tempo l’Europa ha trattato il fenomeno dell’immigrazione con ingenuità, senza conoscere la complessità della situazione. E non ha considerato la crisi che sta attraversando il mondo islamico, tra chi vuole la sharia e chi l’aggiornamento dell’Islam».

Che differenza c’è tra multiculturalismo e integrazione?

«Per usare una metafora, il multiculturalismo è la carrozzeria, l’integrazione è il motore. Senza la spinta, senza questo motore che fa andare avanti, la carrozzeria serve a poco».

Cosa deve fare ora l’Europa?

«Non si deve accettare tutto di tutte le culture. Il buonismo è un atteggiamento che non premia».

Vietare il burqa è giusto?

«Il burqa ha un effetto devastante. Io sono sempre stato a favore di una legge che lo vieti. Il burqa lede uno dei principi fondamentali del trattato di Lisbona: spezza l’uguaglianza tra uomo e donna, nega la coesione sociale. Un meccanismo pericolosissimo, che potrebbe accendere tensioni».

Perché i partiti di estrema destra stanno avendo così successo in Europa?

«Troppo silenzio».

Cosa c’entra il silenzio con la politica?

«Si torna al tema principale: l’Europa ha smesso di interrogarsi sul proprio destino. Cosa vuole essere? Non c’è stato dibattito, agli intellettuali è stato consegnato un ruolo inutile. È all’interno di questo vuoto che si inseriscono queste risposte xenofobe. Reazioni preoccupanti e pericolose. La colpa però in questo caso non è solo della politica, ma della società civile che ha mantenuto il silenzio».

È giusto costruire moschee in Italia e in Europa?

«Il problema non sono le moschee, ma chi mettiamo dentro. Gli imam devono essere persone competenti, formati in Occidente dove c’è la democrazia e dove i suoi principi sono la base da cui partire. Nella nostra cultura il tema della libertà religiosa viaggia di pari passo con i principi dell’uguaglianza, dell’integrazione. E poi devono far parte di una Consulta».

Le regole di casa nostra vanno modificate?

«Assolutamente no. Le nostre regole sono un patrimonio che va difeso. La storia ci ha insegnato che la mescolanza è sempre esistita. Ma questo non significa anarchia. Quello che piuttosto va cambiato è l’approccio. Far sentire all’altro che il cambiamento è possibile, è qui che la politica deve essere affiancata da un’educazione nuova».

Pensare a un tetto come ha fatto la Gelmini per le classi miste va in questa direzione?

«Mescolare funziona, le classi ghetto sono pericolose. Creano diffidenza, scatenano rabbia. La sociologia insegna che mescolare crea una spinta in avanti verso l’integrazione».

 

Eppure Hina e Sanaa sono state uccise proprio perché volevano vivere all’occidentale.

«Sì, ma paradossalmente nel male c’è stato un segno positivo, Hina e Sanaa sono il segno che tra le nuove generazioni c’è domanda e non repulsione. C’è voglia di partecipare. La grande sfida dell’Europa è far capire a queste generazioni che il cambiamento è possibile».

Perché in America il multiculturalismo funziona?

«Negli Stati Uniti c’è una forte identità. L’Europa dovrebbe prendere quel modello ad esempio. Ma per capire basterebbe guardare più vicino, spostare lo sguardo verso il Veneto, alle relazioni con il mondo ottomano. Nel ’500 c’erano matrimoni misti. Era un modello che funzionava. Venezia ha saputo filtrare, ha creato un unicum. Lo stesso deve fare l’Europa».

IMMIGRAZIONE. LA MERKEL: CONTRO LA XENOFOBIA NO AL MULTICULTURALISMOultima modifica: 2010-10-19T03:05:00+02:00da sergiofrigo
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