Sulle pensioni si sta rischiando un conflitto tra padri e figli, una vera e propria guerra fra poveri. Solo il fatto che i “contendenti” a livello individuale siano legati da vincoli d’affetto, rinforzati dal ricatto economico dei più anziani nei confronti dei più giovani, impedisce che essa si manifesti in tutta la sua durezza, ma essa è là, in agguato. Basta che si riducano ulteriormente le risorse disponibili per farla deflagrare. L’ultimo Osservatorio di Demos, pubblicato il 6 dicembre dal Gazzettino e che allego sotto, è drammaticamente illuminante in tal senso: in poco più di dieci anni è raddoppiata la percentuale (dal 22.3 al 41.2%) di coloro che ritengono ingiusto che i giovani paghino i contributi per sostenere le pensioni e l’assistenza per gli anziani.
I GIOVANI NON ESULTANO PER L’INNALZAMENTO DELL’INDICIZZAZIONE
Prendiamo la questione dell’indicizzazione delle pensioni, che doveva essere limitata a 960 euro al mese: una misura definita da Oscar Giannino, che non è propriamente un pasdaran sindacale, “una carognata”. La notizia del giorno è che grazie alla pressione del Pd e del sindacato il limite sarà portato a 1400 euro, cercando i soldi da qualche altra parte. Tutto bene quel che finisce bene, insomma!
La notizia non viene accolta però con lo stesso entusiasmo da un trentenne laureato – magari con moglie e figli – che la cifra di un migliaio di euro fa fatica a metterla insieme con due o tre lavori precari: egli si sente infatti defraudato per l’ennesima volta in favore di questi anziani, che vivendo spesso in casa di proprietà e coi figli sistemati potevano essere chiamati a contribuire con qualche decina di euro al risanamento delle finanze pubbliche: “Grazie all’aumento della durata della vita – pensa – loro stanno percependo più soldi di quelli che hanno versato di contributi. E a pagarglieli, direttamente o indirettamente, sono chiamato anch’io, ad esempio con l’aumento generalizzato dell’Iva”.
Il refrain ricorrente in questa classe di cittadini è: “Noi non la vedremo mai la pensione, ma paghiamo la loro”. Con una postilla: ritengono, e non a torto, che questa sia una priorità della sinistra e del sindacato, perché i loro iscritti o simpatizzanti sono in gran parte anziani, e che questo influenzi in profondità le loro scelte politiche. A scapito dei giovani, naturalmente.
COME DISINNESCARE LA GUERRA FRA POVERI
Il punto di vista può essere considerato parziale, come sempre avviene nelle guerre fra i poveri, che riescono a vedere i piccoli vantaggi dei vicini, ma non i grandi privilegi dei ricchi.
E però credo che impostando questa battaglia la sinistra e il sindacato dovrebbero porsi il problema e cercare risposte più convincenti che “le risorse per i giovani si devono trovare, ma da altre parti”. In questo modo, infatti, abdicano a quella visione universalistica che – almeno a livello ideale – è sempre stata la ricchezza del sindacato italiano. E non basta neppure ribattere, come ha fatto Susanna Camusso, che i soldi tolti ai pensionati dalla manovra non vengono affatto destinati ai giovani: pretendete che abbiano questa destinazione, semmai!
UN SINDACATO DEI GIOVANI?
Stando così la situazione, mi chiedo cosa accadrebbe se qualcuno si mettesse in mente seriamente di creare un sindacato (o un partito) dei giovani, per portare avanti rivendicazioni di parte… Va tenuto presente che la percentuale di coloro che ritengono ingiusto “mantenere” gli anziani, nel citato sondaggio di Demos, sale praticamente al 50% nella classe di età fra i 25 e i 34 anni: uno su due, cioè, la pensa in questo modo. E attribuire la rottura del patto generazionale all’insensibilità dei più giovani non serve a niente, se siamo noi adulti per primi a non mollare una briciola di quello che abbiamo.
DAL GAZZETTINO DEL 6 DICEMBRE
Nordest sempre più stanco
di “mantenere i pensionati”
di Natascia Porcellato
Patto generazionale sempre più a rischio, secondo i cittadini di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e della provincia di Trento. L’Osservatorio sul Nord Est, curato da Demos per Il Gazzettino, oggi punta l’attenzione verso il tacito accordo che ha tenuto insieme il sistema pensionistico e assistenziale italiano. “Non è giusto che i giovani paghino i contributi per sostenere le pensioni e l’assistenza delle persone anziane, visto che in futuro rischiano di ricevere pensioni e assistenza molto più basse”: oltre il 41% dei nordestini si è dichiarato (moltissimo o molto) d’accordo con questa affermazione – volutamente provocatoria. La crescita del consenso intorno a questa opinione è di circa 6 punti percentuali rispetto allo scorso anno, ma guardando al 1998 l’aumento sfiora i 19 punti percentuali. Il governo Monti ha presentato le misure che intende adottare per arginare la crisi e mettere le basi per un nuovo patto sociale. La riforma delle pensioni è uno dei cardini del provvedimento, ma un capitolo non sembra sia stato ancora affrontato esplicitamente: quello relativo ai “contributi silenti” versati alla gestione separata dell’Inps. Qui, infatti, confluiscono le persone che hanno una carriera lavorativa puntellata da impieghi intermittenti, atipici, ma sono coinvolti anche liberi professionisti non iscritti agli ordini, titolari di partita Iva e parasubordinati. Secondo i dati riportati da Mario Staderini (nell’ambito della mobilitazione promossa dai Radicali e dall’Associazione Nazionale Consulenti Tributari nei mesi scorsi), sono circa 2 milioni gli iscritti alla gestione separata e l’età media è 41 anni per gli uomini e 36 per le donne. Pagano un’aliquota alta, intorno al 27% della retribuzione, ma difficilmente riescono a raggiungere le soglie necessarie all’erogazione della pensione. Attualmente, la gestione separata incassa ogni anno circa 8 miliardi di euro di contributi mentre ne eroga 300 milioni: uno squilibrio tanto forte da rendere urgente un radicale ripensamento del sistema. L’opinione pubblica del Nord Est, seppur in modo indiretto, sembra indicare la stessa strada: il 41% dei nordestini intervistati, infatti, ritiene ingiusto che i giovani paghino i contributi per sostenere l’attuale sistema visto che in futuro non riceveranno un trattamento equivalente. Nel corso del tempo, inoltre, questo orientamento è cresciuto e si è consolidato: nel 1998 era il 22% ad essere in questa posizione, mentre cinque anni dopo la quota era aumentata fino a sfiorare il 28%. Nel 2010, era più di un nordestino su tre a sostenere l’ingiustizia di questo sistema e quest’anno, infine, abbiamo rilevato un ulteriore incremento: oltre il 41% dei rispondenti si è espresso in questo senso. Colpisce, inoltre, osservare come sia soprattutto tra coloro che hanno tra i 25 e i 34 anni ad essere più presente questo orientamento: in questa fascia d’età, infatti, un giovane su due ritiene ingiusto sostenere l’assistenza oggi dato che in futuro godrà di trattamenti molto ridotti. Al contrario, è tra coloro che hanno tra i 55 e i 64 anni che l’affermazione proposta raccoglie il consenso più basso (34%).Infine, guardando alla condizione socio-professionale, vediamo come siano soprattutto operai (45%), disoccupati (46%) e casalinghe (49%) a giudicare un’ingiustizia il pagamento dei contributi da parte dei più giovani a fronte di un probabile futuro di pensioni basse e servizi ridotti. Tra quelli meno sensibili a questa posizione, invece, segnaliamo i liberi professionisti e gli impiegati (intorno al 37-38%) oltre che, comprensibilmente, i pensionati (36%). © riproduzione riservata
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Una risposta a SULLE PENSIONI RISCHIA DI SCOPPIARE UN CONFLITTO GENERAZIONALE