DOPO LA VISITA DEL PAPA: UN CONFRONTO CORAGGIOSO CON LA MODERNITA’ LIQUIDA, MA RISPOSTE NON SUFFICIENTI

papa03G.jpgIeri avrei fatto un figurone, arrivando alla Basilica della Salute per l’intervento conclusivo del Papa: essendomi trovato fra le mani un accredito sbagliato, infatti, ho dovuto chiedere aiuto all’ufficio stampa (grazie, Maria Laura!) che mi ha fatto salire sulla barca che da San Marco trasportava alla Salute tutti i vescovi e gli alti prelati del Veneto: a parte lei, un fotografo e i marinai, ero l’unico senza abito talare, fascia fucsia e zucchetto. Mi sono sentito anche un po’ inadeguato, per la verità. … Peccato che invece di attraccare sul davanti, l’imbarcazione sia arrivata sul retro della chiesa, dove non mi ha visto nessuno…

Poi comunque, al ritorno verso Mestre con l’autobus, avendo ancora appeso al collo il cartoncino stampa (per quanto sbagliato) mancava poco che una famigliola mi chiedesse l’autografo, dopo essersi debitamente informata su com’era il Papa… da vicino.

Amenità a parte, cosa lascia in eredità questa visita veneziana di Benedetto XVI, almeno alla società civile del Nordest? Risponde almeno in parte alle domande che si sono venute accumulando in questi anni sul senso dell’essere uomini in questo primo scorcio del Terzo Millennio? E le risposte che propone, sono all’altezza della sfida, e riescono a parlare a tutti noi, anche fuori dal recinto cattolico?

 

UNA SFIDA AMBIZIOSA ALLA SOCIETÀ CIVILE

È una sfida molto ambiziosa, quella che il Papa ha lanciato nel suo intervento alla Salute, di fronte a 900 invitati, fra i massimi esponenti della politica, dell’economia, della cultura e delle arti del Veneto. Una sfida che inevitabilmente si estende all’intera società occidentale, di cui Venezia diventa trasparente metafora.
Il Papa ha incentrato il suo discorso su una rilettura di tre parole chiave della storia di Venezia: Acqua, Salute e Serenissima. Acqua uguale “società liquida”, ha detto Papa Ratzingher citando il sociologo Bauman, cioè «fluidità, assenza di stabilità, mutevolezza, inconsistenza». Ma Venezia è anche la città che pur partendo dalla sua “liquidità” ha saputo superare l’effimero per «rinnovare costantemente la sua bellezza attingendo alle sorgenti benefiche dell’arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e i popoli».
Salute: Dio guarisce l’uomo «dalla durezza di cuore, dalla chiusura egocentrica e gli fa gustare la possibilità di trovare veramente se stesso».
Serenissima: un titolo che evoca la capacità «di suscitare non solo memorie di glorie passate, ma anche ideali trainanti nella progettazione dell’oggi e del domani»; perché non si guarda solo alla “Città celeste”, l’unica vera “Serenissima”, bensì alla città terrena, che va migliorata nell’impegno quotidiano, restituendole in primo luogo la speranza che si è esaurita nella crisi delle ideologie, e arricchendola con la pace, il mutuo rispetto, reciproca conoscenza, amicizia, «carità nella verità».

LA DI-SPERAZIONE DELL’UOMO INDIVIDUALIZZATO

In sostanza al Papa è assolutamente chiaro che di fronte alla carenza di senso che attanaglia l’uomo moderno, e che ha svuotato i fondamenti profondi di tutte le grandi narrazioni dei secoli precedenti e in particolare lasciato priva di referenti la sinistra, la Chiesa si trova a sua volta davanti probabilmente alla sfida più insidiosa della sua storia, la sfida di una modernità che non la segue e non la combatte nemmeno più, ma semplicemente ne ha decretato l’insussistenza.

Dietro alla “società liquida” del citato Bauman c’è l’uomo ormai totalmente individualizzato, che rinunciando a percepirsi come parte di una comunità e di una specie (e quindi alle sue proiezioni in orizzontale e verticale, nei rapporti con i suoi contemporanei ma anche con i suoi discendenti) rifiuta anche di consolarsi della sua finitezza. L’uomo, sostiene infatti Bauman, è l’unico essere vivente che sa di dover morire (e ne è intimamente atterrito), ma è anche l’unico a sapere che una parte di se stesso continuerà a vivere, nelle sue opere, nel ricordo dei familiari e degli amici, nella continuità della specie. Ma se rinuncia a tutto questo nel nome del qui e ora, della nuova religione individualistica dell’apparire e del consumare, è chiaro che prima o poi – all’esaurirsi dell’efficienza e della bellezza del corpo, all’assottigliarsi del conto in banca o allo svuotarsi del piacere dell’acquisto – egli tornerà preda della sua disperazione esistenziale, forse il vero lascito della maledizione e della cacciata dal Paradiso Terrestre.

LA PROPOSTA DI RATZINGER: AFFRONTARE IL FUTURO IMPARANDO DAL PASSATO

Di fronte a tutto questo Papa Ratzinger svolge molto diligentemente il suo “lavoro”: non rinuncia a confermare con dedizione e generosità il suo popolo nella fede, non si sottrae ai gesti impegnativi la società (l’abbraccio a Nicoletta Zago, volto e anima della protesta degli operai Vinyls, Zago.jpg il lungo colloquio col presidente della Comunità ebraica Amos Luzzatto, il saluto alla comunità musulmana, il richiamo ripetuto ai doveri della solidarietà e al confronto con le altre culture), e soprattutto affronta con le sue armi intellettuali e culturali la sfida della modernità liquida. Non la nega – e come potrebbe? – ma ricorda che proprio costruendo sull’acqua, ricorrendo alle solide pietre “dell’arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli”, Venezia è diventata quello che è, la Serenissima. Fuor di metafora: egli accetta la sfida del cambiamento, si confronta anche coraggiosamente con la modernità, ma senza dimenticare che i valori e il know how per non essere travolti dalle acque ce li abbiamo già, nelle nostre radici.

In questo senso, dunque, il Papa che ri-parte da Aquileia non è un Papa che guarda al passato, ma che cerca di inoltrarsi nel futuro.

QUELLO CHE MANCA ALLA CHIESA (MA ANCHE A NOI STESSI)

È una risposta all’altezza della sfida? Riesce a risolvere i dilemmi dell’uomo moderno, lacerato fra un disperato desiderio di senso e l’incapacità di riconoscerlo, tra un bisogno feroce di autonomia e un altrettanto forte e contrario bisogno di appartenenza?

A me personalmente, e lo dico con rammarico, sembra di no. Ci vogliono – per la Chiesa ma anche per tutti coloro che pensano ancora a se stessi come parte di una comunità e non come monadi impazzite nel tempo – ulteriori riflessioni, ulteriori strappi, ulteriori scoperte. La Chiesa ha dalla sua la forza millenaria della tradizione, un Papa dalla grande cultura, una struttura organizzativa ancora solida e radicata, ma gli mancano – a mio parere – tre cose fondamentali: l’apporto decisivo dei giovani, l’approccio originale delle donne (solo tre, ieri, fra le ammesse al saluto diretto del Papa) e una visione non eurocentrica del mondo. Qualche piccolo passo è stato compiuto, ma la falcata è quella incerta di un vecchio, che evita gli inciampi ma non porta lontano.


 

DOPO LA VISITA DEL PAPA: UN CONFRONTO CORAGGIOSO CON LA MODERNITA’ LIQUIDA, MA RISPOSTE NON SUFFICIENTIultima modifica: 2011-05-09T11:53:08+02:00da sergiofrigo
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