MARIAPIA VELADIANO E LA SCUOLA: QUANDO LE ISTITUZIONI CI CREDONO

Se tornassi bambino mi piacerebbe frequentare una scuola come quella raccontata dalla scrittrice Mariapia Veladiano, diventata preside dopo oltre vent’anni di insegnamento nel Vicentino. Fortunatamente ci sono ancora istituzioni, luoghi e persone che credono nella scuola, nei professori e persino nei ragazzi. A volte, come in questo caso, avviene un “magico incontro”: purtroppo in una regione (il Trentino Alto Adige) che per certi versi non sembra neppure Italia.

“Io, da docente a preside
per valorizzare i talenti dei ragazzi”

 

Mariapia Veladiano,  prima di sfondare con la letteratura ha insegnato in Veneto

Mariapia Veladiano, prima di sfondare con la letteratura ha insegnato in Veneto

La scrittrice Veladiano: coltivo la fiducia nel futuro

MARIO BAUDINO
 

Mariapia Veladiano è preside da 12 giorni. La scrittrice vicentina di La vita accanto (Einaudi), esordio letterario accolto con molto favore e approdato nella cinquina del premio Strega, affronta dopo anni di insegnamento la nuova sfida nella scuola dei tagli, al tempo della crisi.

Per un docente è un passo decisivo. Si cambia ruolo, si cambia marcia. Emozionata?
«Nei primi giorni, forse nelle prime settimane anche, si tratta soprattutto di stare in ascolto di un mondo di iniziative che già c’è, che esiste. Si vive una specie di sospensione di sé, per accogliere e mettersi in relazione. Quasi non c’è spazio per emozioni proprie».

Quella del preside è una figura altamente simbolica, un organizzatore del sapere ma anche della logistica, un manager che non può scordare di essere un educatore. Per lei, che significato ha questo ruolo?
«Significa innanzi tutto credere nella scuola e nella possibilità di che sia un’esperienza in cui i ragazzi possono stare bene e valorizzare i loro talenti. Studiare è anche fatica e disciplina. Solo l’interesse e la passione possono rendere leggera la fatica. Quindi bisogna credere che c’è la possibilità che la scuola sia "bella", appassionante. Significa anche far di tutto per vedere uno ad uno i ragazzi, per quanto possibile, "inseguendo" strenuamente chi è in difficoltà, perché non rinunci, e creando lo spazio ai talenti speciali. Quanto sappiamo riconoscere talenti speciali nelle nostre scuole? Significa lavorare perché la scuola sia un vero laboratorio di integrazione. Questo lo fanno gli insegnanti. Perciò credo che il preside abbia il compito, tutto sommato nascosto, di favorire il loro lavoro, semplicemente. E un po’ oggi serve anche che abbia una certa capacità di resistere alle difficoltà oggettive – poche risorse, molte attese – mantenendo lucidità e fiducia negli insegnanti e nei ragazzi».

Quanto pesa la scarsità di risorse?
«La scuola è la nostra vera risorsa di fronte alla incertezza sul futuro. Tito Boeri all’inizio di questa crisi economica scrisse che in tempi di crisi il vero investimento è sulla cultura e l’istruzione. Credo che sia verissimo».

Perché una docente decide di misurarsi col ruolo di preside?
«Ho fatto il concorso nel Trentino perché c’è una legislazione scolastica per alcuni aspetti straordinaria. Il Trentino crede nella scuola, vive di un preciso di patto con il territorio, nelle vallate le scuole sono centri di promozione culturale. A Trento c’è uno splendido istituto di ricerca sulla didattica, l’Iprase, che sostiene il lavoro degli insegnanti. Da anni ci sono iniziative sulle lingue, sulla scrittura creativa nelle scuole. Visitare il sito è fare un bel viaggio in una scuola che ha un progetto».

Lei che cosa si aspetta, adesso? O meglio, che cosa ritiene ragionevole aspettarsi?
«E’ ragionevole creare alleanze con chi crede nella scuola. Soprattutto con i genitori. Poi con le amministrazioni, i musei, le biblioteche. E anche con i privati, perché averne paura? Nella scuola in cui ho insegnato più di vent’anni, nel Veneto, abbiamo avuto esperienze meravigliose di collaborazioni con aziende che hanno finanziato nostri progetti. Un bel progetto di educazione stradale, ad esempio, che mai avremmo potuto fare con le nostre risorse».

Qual è invece il sogno, l’utopia di cui si nutre questo lavoro?
«Conosco il mio sogno. È una scuola culturalmente preparata e che dà e chiede molto ai ragazzi. Che coltiva l’equità, ovvero che è il luogo delle opportunità per tutti. Che in nessun caso fa da moltiplicatore della disuguaglianza. Che crea un ambiente di forte appartenenza, per i ragazzi e anche per gli insegnanti. E’ facile lavorare per il successo di qualcosa che si sente proprio. E’ una scuola che rispetta la varietà degli stili di insegnamento e delle pratiche perché nella varietà i ragazzi possono trovare la voce giusta che li appassiona alla cultura. E’ anche una scuola che coltiva la fiducia nel futuro e che crede nei ragazzi e li ascolta davvero: se lasciamo loro lo spazio e diamo loro gli strumenti, possono costruire un mondo migliore di quello in cui noi li stiamo facendo vivere».

* La Stampa, 12 settembre

MARIAPIA VELADIANO E LA SCUOLA: QUANDO LE ISTITUZIONI CI CREDONOultima modifica: 2011-09-12T16:28:00+02:00da sergiofrigo
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