MARIO RIGONI STERN, TRE ANNI DOPO. UN RICORDO CONDIVISO, GRAZIE ALLA MUSICA DI BEPI DE MARZI

Rigonistern.jpegCapita a volte di avvertire nitidamente che si vorrebbe – meglio, si dovrebbe – stare in due posti diversi, contemporaneamente. A me è capitato l’altra sera: il nostro coro – “Il bell’humore” – era a cantare a Monselice, in un concerto di solidarietà con il Giappone, assieme al Coro San Martino, e alla nostra amica soprano Takako Okazaki. Una bellissima serata: bello il clima, la musica, le esecuzioni, gli incontri.

 Eppure una parte di me avrebbe voluto fortemente essere altrove: negli stessi momenti infatti si svolgeva ad Asiago la cerimonia di consegna del Premio intitolato a Mario Rigoni Stern, intitolato allo scrittore asiaghese, di cui giovedì ricorreva il terzo anno della morte. Al Millepini c’erano la moglie Anna, i figli, gli amici, coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato, e magari percorso un tratto di vita più o meno grande assieme a lui.

Il ricordo di Mario è però emerso prepotente anche a Monselice, grazie ad alcune coincidenze: le canzoni di Bepi De Marzi eseguite dal Coro San Martino, in particolare; e poi la scoperta che proprio De Marzi –CoroSanMartino.jpeg che naturalmente sabato sera era ad Asiago, assieme a Ilvo Diamanti, Marco Paolini, Carlo Mazzacurati, Mario Isnenghi e molti altri – aveva ricordato l’amico scrittore in una serata memorabile, lo scorso Natale, in quella stessa chiesa, assieme allo stesso coro. E così, condividendo questi ricordi e queste note, mi sono sentito un po’ più vicino all’altopiano…

Per ricordare il mio grande conterraneo pubblico l’articolo che ho scritto sul Gazzettino tre anni fa, il giorno della sua morte.

 

 

Il cantore della natura e della pace di Sergio Frigo

 

Voleva a tutti i costi ascoltare, un’ultima volta, il canto del cuculo, che quassù in Altopiano segnala l’arrivo della primavera. Voleva, prima di arrendersi al male che l’aveva aggredito nello scorso autunno, vedere di nuovo il verde pallido della stagione gentile spandersi sui campi del suo pianoro. Voleva annusare ancora il profumo del bosco che si risveglia, sentirne i rumori familiari, a due passi dalla sua casa. Forse per questo la bella stagione, quest’anno, si è fatta attendere tanto. Come se sapesse che il suo arrivo avrebbe strappato a questa terra Mario Rigoni Stern, il Sergente nella neve, il cantore della natura e dell’umanità in guerra contro i suoi orrori.

Ora la bella stagione è arrivata, e Mario non c’è più. Per l’Altopiano nulla sarà più come prima, senza il Grande Vecchio a vegliare, dalla sua casa al limitare del bosco, sui piccoli e grandi mutamenti delle stagioni, sull’armonioso volo degli uccelli o l’inutile arrovellarsi degli uomini. Mario non c’è più, e a noi viene a mancare – più ancora dello scrittore e dell’uomo di cultura, più dell’interprete autorevole del rapporto fra uomo e natura – l’anima stessa della nostra montagna, l’immagine più profonda ed autentica di queste terre di confine.

Ci sono uomini che sono una benedizione per la loro piccola patria, perché ne definiscono il contorno, ne consolidano il significato, ne impreziosiscono il volto, ma allo stesso momento la rendono “grande”, la aprono a tutti coloro – tantissimi – che si sentono, idealmente, compaesani. Mario era uno di loro. Una terra senza qualcuno che la racconti, rimane nell’anonimato. É come una poesia non recitata, un brano teatrale non interpretato. Non si può dire che non sia bella, interessante, ricca, ma è come un film proiettato in una sala vuota. Tutti amano la propria terra, magari di un amore rabbioso, e tutti ne cantano qualche volta, le lodi o le invettive. Mario Rigoni Stern però ha fatto qualcosa di più: grazie alla sua profondità, che sgorgava dalla semplicità e da una umanità profonda, egli ha saputo far scaturire dalle zolle e dai sassi di queste montagne e dalla scorza ruvida dei suoi abitanti, sentimenti di appartenenza alla comunità e alla sua storia, rispetto per la natura e le persone, capacità di accoglienza. Il suo piccolo-grande monumento di carta è così diventato negli anni non solo un paesaggio letterario, ma anche l’indistruttibile simbolo di un’identità che è fiera di se stessa, ma al tempo stesso non discrimina né esclude gli estranei: anzi, proprio nel libero e fecondo confronto con essi ritrova la sua ragion d’essere, esalta la propria specificità.

 Questo è il messaggio che Mario Rigoni Stern ha saputo donare non solo a tutti i montanari del mondo, ma anche a tutti coloro che abitano dimensioni marginali, ai provinciali della nostra modernità concitata che rischiano di essere risucchiati nelle secche di un localismo meschino, e ai quali egli ha invece riconsegnato una dignità che è diventata blasone universale, emblema di una nobiltà accessibile a tutti coloro che hanno cuore puro, amore per l’uomo e rispetto per la natura. È per questo che molti lettori, ormai da decenni, si recavano nella terra di Mario Rigoni Stern come ad un pellegrinaggio insieme mistico e laico: quasi a cercare di fare proprio e poi portare con sé un respiro di aria pulita, un’appartenenza a un mondo più genuino, una consonanza profonda con sentimenti nobili di amicizia e condivisione.

Tutto questo Rigoni Stern sapeva farlo sgorgare spontaneamente dal suo cuore, prima ancora che dalle sue pagine. C’era in lui la capacità di raggiungere grandi altezze senza staccarsi dalla terra, di scavare nel profondo senza trafiggere, di conquistare la complessità aggirando la complicazione. Il suo calore umano riscaldava le intelligenze senza alimentarsi di astrazioni, ma la sua concretezza era così essenziale da diventare universale.

Sapeva farsi amare, Mario, ma non al costo di annacquare la nettezza delle sue posizioni: come la sua storica vicinanza alla sinistra, ad esempio, in una terra tradizionalmente moderata, oppure la sua lunga battaglia per la tutela dell’ambiente, contro la speculazione edilizia, o ancora, di recente, la sua ostilità contro le tentazioni secessioniste dell’Altopiano. Per tutto questo a volte, nella sua vita e proprio fra i suoi compaesani, ha raccolto qualche critica e qualche freddezza: si sono fermati in pochi ad esempio – nella Rogazione del maggio 2007 svoltasi a ridosso del referendum filo-trentino – al banchetto col vino e il caffè che Mario con la sua famiglia allestiva ogni anno davanti a casa, per ristorare i pellegrini. Lui un po’ si adombrava, un po’ giustificava: come un padre che vede il figlio prendere una cattiva strada, ma non per questo rinuncia ad amarlo.

Ora che il sergente è “tornato a baita”, la nostra casa è vuota. Consola che se ne sia andato senza, forse, patire gli insulti più dolorosi del male, l’unica cosa che davvero temeva. Consola averlo conosciuto, e sapere che il suo esempio e le parole che ci ha lasciato, attraverso i suoi libri ci parleranno per sempre.

MARIO RIGONI STERN, TRE ANNI DOPO. UN RICORDO CONDIVISO, GRAZIE ALLA MUSICA DI BEPI DE MARZIultima modifica: 2011-06-20T03:01:38+02:00da sergiofrigo
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