LA SCONFITTA DI OBAMA E QUELLE DELLA SINISTRA OCCIDENTALE

Obama.jpgÈ davvero tutta colpa sua, come ha detto Obama commentando la pesante sconfitta dei democratici alle elezioni (fornendo tra l’altro una limpida dimostrazione – a cui dalle nostre parti non siamo affatto abituati – di cosa significhi essere un leader)? Poteva davvero andare diversamente, se lui avesse agito “meglio”, oppure la sconfitta era in qualche modo inevitabile?

 

Segnalo a questo proposito un interessante articolo di Romano Prodi apparso nei giorni scorsi sul Gazzettino e sul Messaggero.

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PERCHÉ GLI INTELLETTUALI PERDONO E VINCONO I POPULISTI

Ma c’è un altro aspetto che vorrei analizzare a questo proposito, che spiega alcune cose e ci riporta anche ad alcune analogie con le vicende di casa nostra, in particolare al confronto impari sul versante politico, fra intellettuali (tendenzialmente progressisti) e populisti che sta anche dietro ai successi della Lega.

 

Io non conosco approfonditamente il fenomeno dei Tea Party, ma mi pare che a caratterizzarli siano alcuni elementi che ritroviamo tradizionalmente in tutte le formazioni populiste, come il rifiuto delle tasse e dell’intervento pubblico (salvo rivendicarlo quando poi se ne ha la necessità), la tentazione dell’omologazione culturale ai valori e stili di vita della maggioranza, l’enfasi sulla semplificazione e il rigetto della complessità, il rifiuto della delega e un vivace protagonismo sulla scena pubblica da parte del singolo individuo o della piccola comunità con le sue istanze basilari. Tutto il contrario, in altre parole, di ciò che generalmente caratterizza l’approccio delle élites intellettuali alla cosa pubblica.

Chi ha letto il mio libro “Caro Zaia vorrei essere leghista ma proprio non ci riesco” sa che su questo punto è incentrata buona parte della riflessione: “riconoscere il valore e la necessità delle élites significherebbe frenare il narcisismo individuale e autoritario del Capo (che sa ciò che è bene e decide in splendida solitudine), ma anche contestare implicitamente la demagogica riluttanza del popolo ad ammettere che possa esistere qualcuno che per doti intellettuali e per applicazione allo studio sa fare le cose meglio degli altri. Ma anche solo per capire che le situazioni sono complesse e che necessitano di una gestione all’altezza, servono consapevolezza e cultura, laddove (…) trionfa piuttosto l’applicazione della legge di Murphy, secondo cui i problemi complicati hanno sempre delle soluzioni semplici. E sbagliate…”

DOVE SBAGLIANO LE ELITES

Le élites sono formate da persone che sanno far funzionare le situazioni complesse, che hanno chiara in mente l’estrema articolazione del quadro geo-politico globale, che cercano di conciliare le aspettative individuali della gente con le compatibilità economiche generali. E non c’è dubbio che Obama sia il primo, vero intellettuale ad occupare la carica di presidente degli Stati Uniti, e forse l’unico leader con queste caratteristiche a livello planetario, almeno in questa fase storica.

Il problema è che l’intellettuale-politico, quando decide, proprio per le sue doti appena citate tende a farlo col cervello, invece che con la pancia e col cuore: quello che invece si aspettano da lui la maggior parte di coloro che l’hanno votato. Egli guarda avanti, in altre parole, ma ha qualche problema a vedere vicino; tiene conto degli effetti che le sue decisioni avranno sulla collettività e nei confronti delle generazioni future, quando invece i suoi elettori – soprattutto in una fase di crisi economica – si aspettano decisioni che migliorino le loro condizioni personali nell’immediato: e pazienza per la collettività e per i posteri.

Non c’è dubbio che le decisioni assunte da un politico di questo genere siano (in genere) più ragionevoli e lungimiranti, ma al tempo stesso rischiano di apparire fredde e inefficaci. Ed egli stesso appare lontano dalla sua gente, chiuso nella sua torre d’avorio di intelligenza e benessere, tanto quanto appare vicina una Sarah Palin qualsiasi, con le sue argomentazioni da casalinga arrabbiata la cui pancia condivide i sordi brontolii di tante altre pance qualsiasi. E oggi, nell’era del predominio televisivo, della spettacolarizzazione, del qui e ora, del protagonismo narcisistico di cui scrivevo ieri, non c’è dubbio su cosa attragga di più la gente.

IMPAZIENZA, CATTIVA CONSIGLIERA

L’impazienza, in politica, è una pessima consigliera: fa si che i ceti poveri, che avrebbero tutto da guadagnare dalle riforme di Obama, non vadano a votare per difenderle perché non ne hanno ancora visto gli effetti positivi; e gli elettori più progressisti non vadano a votare lo stesso, perché giudicano tali misure troppo morbide. Il risultato è che avranno una politica più spostata a destra e in favore dei ricchi.

Ora a Obama si presenta una difficile scelta, con cui fa i conti da qualche tempo anche la sinistra europea: adeguarsi alle aspettative immediate degli elettori, cambiando in profondità il suo approccio e magari anche i suoi contenuti, annacquando il suo riformismo per riacciuffare il consenso perduto, oppure tenere duro nella convinzione che il tempo gli darà ragione, magari anche a rischio di non essere rieletto fra due anni? Obama ha detto che preferisce essere un buon presidente di un solo mandato piuttosto che un mediocre presidente di due mandati: è certo però a questo punto che del secondo mandato avrà assolutamente bisogno per consolidare le sue riforme ed evitare che un eventuale presidente repubblicano le spazzi via nel giro di qualche mese e prima ancora che esse dimostrino la loro validità.

IL DECLINO DELL’AMERICA E IL PRIMATO DELLA CINA

Hu Jintao.jpgC’è un’ultima considerazione, che è al centro dell’ultimo libro di Federico Rampini “Occidente estremo” (Ed. Mondadori) e che ha fatto dire a qualcuno – fin dall’inizio del suo mandato – che Obama è una figura tragica per il contesto in cui si trova ad operare: essere il presidente che si è trovato sulle spalle il gravoso peso di una crisi economica prodotta da altri (e che quindi non può esercitare in positivo il suo talento politico) e soprattutto essere colui che gestisce il declino del primato americano (e occidentale), spazzato via dell’emergere impetuoso della Cina (si veda la recente incoronazione del cinese Hu Jintao come uomo più importante del mondo da parte di Forbes).

Per tutti questi motivi dire, come ha fatto Omaba, che è tutta colpa sua, è quanto meno improprio, se non un vero e proprio peccato di orgoglio intellettuale.

 

LA SCONFITTA DI OBAMA E QUELLE DELLA SINISTRA OCCIDENTALEultima modifica: 2010-11-06T12:03:00+01:00da sergiofrigo
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