C’È LA RIVOLUZIONE: IL SILENZIO DEGLI INTELLETTUALI

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I risultati elettorali sono stati ben di più che un semplice travaso di voti da un partito all’altro: i mal di pancia nel Pdl e nel Pd,images-4.jpeg le prime prese di posizione dei governatori leghisti sulla pillola del giorno dopo, la sfida lanciata dalla Lega alle regioni rosse (“Conquisteremo Bologna”), soprattutto quello che si prepara sul terreno del federalismo fiscale (da registrate la litigata tra Tosi e la Polverini da Vespa l’altra sera sugli ospedali da chiudere per pareggiare i conti della sanità nel Lazio) ci dicono che è in atto un processo destinato a rivoluzionare in breve il modo di stare insieme nella società italiana, mettendo pesantemente in discussione la coesione nazionale.

 

 

I LIBRI SULLA SOCIETÀ INCATTIVITA

Luca Ricolfi nel libro “Il sacco del Nord” racconta che sono oltre 50 miliardi di euro ogni anno i fondi che alcune regioni virtuose (soprattutto Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) versano allo Stato, che a sua volta li destina alle altre regioni, soprattutto del Sud (ma non solo, anche quelle autonome, oppure la Liguria). La Lega prospera in queste regioni (ecco perchè sta sfondando anche in Emilia) sulla base della parola d’ordine “teniamoci i nostri soldi”. Nel mio libro (“Caro Zaia vorrei essere leghista ma proprio non ci riesco”) descrivo una società veneta incattivita, profondamente cambiata rispetto al passato democristiano, con gli ammistratori leghisti abilissimi a cavalcare l’incazzatura diffusa, e a rivendicare risorse e competenze arrivando al limite della secessione – sostanzialmente, non nella forma istituzionale – se non avranno risposte concrete. Gian Mario Villalta in “Paroni a casa nostra” ha registrato infine l’antipatia che questo atteggiamento sta suscitando verso il Nordest nel resto d’Italia.

IL SILENZIO DEGLI INTELLETTUALI

Tutto questo richiederebbe un confronto serio a tutti i livelli: analisi, riflessioni, dibattiti su quale tipo di società intende costruire la Lega, che in questo momento è il dominus della politica italiana, e su quali sono – se ci sono – i modelli alternativi. Invece di questo non si discute proprio in questi giorni, e nei giornali, nei blog, su Facebook non si fa che parlare dei flussi elettorali, del futuro ministero di Galan, della contestazione a Bersani, dell’exploit dei grillini. E mentre sono chiamati a dire la loro politologi e analisti, imprenditori e preti, mentre imperversano le interviste ai politici, gli unici a non essere interpellati sono gli uomini di cultura, gli artisti e gli intellettuali, cioè coloro che sarebbero deputati a interpretare la società nel profondo, liberi dalla schiavitù delle appartenenze e dagli schemi preconcetti. Quelli meglio attrezzati, in altre parole, a coniugare la lettura del passato con la visione del futuro, a dirci da dove veniamo e dove stiamo andando. Avete letto, in questi giorni, qualcosa del genere, avete sentito qualche voce sollevarsi alta e limpida nello sgradevole cicaleccio che ci circonda, a mettere in guardia dalla deriva culturale e politica, o a indicare una strada migliore? Chi sa cosa ne pensano di queste elezioni, e di ciò che esse hanno portato alla luce della società settentrionale, i grandi vecchi come Zanzotto e Bepi De Marzi, e poi i Magris e i Camon, o i giovani leoni come Paolini, Villalta, Scarpa, Trevisan?

QUALCHE PARERE INEDITO

images-5.jpegHo parlato in questi giorni con qualcuno di loro. Bepi De Marzi, ad esempio, è angosciato, e mi ha mandato la poesia di donimages-6.jpeg Milani che allego sotto; il maestro dei Crodaioli e di “Signore delle cime” ha addirittura lasciato Arzignano (in favore di Vicenza) per non ritrovarsi governato da un’amministrazione di centro-destra. Marco Paolini non interviene con commenti diretti, ma parlerà attraverso il suo nuovo spettacolo, incentrato proprio su questi temi: anche se ammette di aver avvertito ultimamente anche fra i suoi spettatori una stanchezza diffusa, una inedita difficoltà ad indignarsi: e questo indica quello che la società attuale chiede agli artisti e agli uomini di cultura: che facciano divertire ed emozionare, ma che non pretendano di criticare lo status quo o di mettere in discussione certezze ormai sempre più radicate e diffuse; Gian Mario Villalta nota invece uno “strapotere della politica, che invade i campi non suoi: mi aspetto da un giorno all’alto – aggiunge – di sentire che qualcuno dei non eletti ha voluto eseguire un intervento chirurgico, o progettare un ponte”; l’ex rettore dell’Università di Padova Vincenzo Milanesi, in un certo momento candidato in pectore del Pd, denuncia sul Mattino l’assenza di identità del partito a fronte della decisa identità della Lega; si registra infine un bel commento nel sito di Ferdinando Camon sul voto alla Lega come partito del fare da soli (www.ferdinandocamon.it): ma che tutto questo configuri davvero un dibattito serrato e approfondito sul nostro presente e il nostro futuro, è tutto da dimostrare.

UN PERCORSO OSCURO

E dunque? Si procede a tentoni, guidati da una forza per definizione anti-intellettuale, che è passata dai riti pagani alla stretta osservanza vaticana senza neppure notare la contraddizione. Dove ci porterà? Per il momento pare diritti nel passato, ad una società omologata stile anni ’50, tradizionalista e devota, chiusa alla modernità e al confronto. Qualcuno parlerà ancora, a quel punto?

 

DON MILANI (tramite Bepi De Marzi):

 

Se voi però avete diritto

di dividere il mondo in italiani e stranieri

allora vi dirò che, nel vostro senso,

io non ho patria

e reclamo il diritto di dividere il mondo

in diseredati e oppressi da un lato,

privilegiati e oppressori dall’altro.

Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.

 

C’È LA RIVOLUZIONE: IL SILENZIO DEGLI INTELLETTUALIultima modifica: 2010-04-03T03:04:00+02:00da sergiofrigo
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