DIMISSIONI DOPO LA LEGGE DI STABILITA’, LA SUA CARTA MIGLIORE
Io non credo che a questo punto Berlusconi possa più comprare nessuno, per restare a galla altri mesi, ma la mossa (peraltro prevedibile) di chiedere di votare la legge di stabilità prima di dimettersi è indubbiamente la carta migliore che lui si poteva giocare, e anche quella più difficile da neutralizzare. Chi se la sentirà infatti di bocciare le misure richieste con urgenza dall’Europa? E chi avrà la forza in Parlamento di far passare proposte alternative? Fino a prova contraria Berlusconi dispone di 308 voti come minimo: riuscirebbero le opposizioni a metterne insieme di più per far passare – ad esempio – una patrimoniale? Per non parlare di qualche intervento sulle pensioni di anzianità!
E DOPO BERLUSCONI? LUI QUALCHE IDEA CE L’HA
E dopo?
Dopo si dimette, ha promesso. A quel punto, nella sua testa, si aprono due strade: a) nomina al suo posto Alfano (o Letta), con Maroni vice, e lui è a posto e continua a comandare nell’ombra, oppure b) si va al voto. D’altro canto, potrebbe un governo tecnico sostenuto dalle opposizioni e magari guidato da un Mario Monti, gestire le misure economiche varate da Berlusconi? E con Pdl e Lega all’opposizione, a gridare ogni giorno al ribaltone e alla macelleria sociale? Suvvia!
Dunque, al voto! Ma perché Berlusconi vuole votare, sapendo che i sondaggi non gli attribuiscono mediamente più del 25-26%? Qui ci sono alcune sotto-varianti. Io credo che lui punti a ripristinare le condizioni per tornare al punto a), perché convinto che con i due “volti nuovi” Alfano e Maroni (seppure garantiti da lui e Bossi) e le liste elettorali perfezionate col Porcellum (attenzione, Maroni non romperà col Senatur) anche i malumori della base leghista in parte rientrerebbero: e lui è un mago nel rovesciare le campagne elettorali, soprattutto se potrà agitare lo spettro di un governo egemonizzato da ex comunisti come Bersani e Vendola, e minato dai contrasti sui programmi economici.
L’altra subordinata è ovviamente la sconfitta elettorale, che avrebbe però un vantaggio di non poco conto: a gestire le lacrime e sangue decise da lui sarebbero gli avversari. E lui è convinto che una coalizione di sinistra dai numeri troppo risicati, oppure di centro-sinistra allargata a Casini, finirebbe per schiantarsi per i contrasti interni nel giro di un anno (Prodi 2 docet), aprendo la strada ad un ritorno trionfale, suo o dei suoi.
E INTANTO I MERCATI BANCHETTANO SULLE NOSTRE SPOGLIE
Se le cose stanno così, quello che si è aperto ieri sera non è un futuro radioso (sciocco sperarci, di questi tempi) ma un percorso minato, nel quale Bersani, Vendola, Casini, Di Pietro sembrano avventurarsi in ordine sparso e senza avere le mappe. E nel frattempo i mercati non stanno a guardare, e neppure Francia e Germania, che sulle nostre disgrazie politiche costruiscono le loro fortune economiche (si vedano i provvedimenti europei sulle banche).
Mai avrei pensato che dopo i tunisini (vedi post del 24 ottobre) avrei finito quasi per invidiare anche i greci, che in queste ore stanno mettendo a punto – a tempo di record – un nuovo governo di unità nazionale, con un programma condiviso dal grosso delle forse politiche. Ma anche questo mefitico epilogo è un regalo di cui dovremmo ringraziare il Cavaliere, ma anche noi stessi che in tutti questi anni non siamo riusciti a fermarlo.
Avranno le opposizioni la determinazione, la lungimiranza e la generosità reciproca per evitare questo epilogo? Sapranno rovesciare il tavolo da gioco e inventarsi una partita diversa, in grado di appassionare il paese? E gli italiani troveranno la pazienza e l’acume per distinguere le medicine anche amare dai veleni?