L’ultimo Monti, invece, (e con lui alcuni suoi ministri) rischia di cadere nella trappola dell’esibizione della sua forza e dei suoi successi: al di là del merito della battaglia sull’articolo 18, distribuire pagelle (come ha fatto lui con la Spagna, come tende a fare spesso la Fornero), sottolineare gli apprezzamenti altrui (in Europa come, oggi, in Cina) soprattutto mettere i partiti che lo appoggiano (e il Paese intero) di fronte a degli aut-aut (“o così o me ne vado”), non aiuta infatti a raccogliere consensi, e contribuisce ad alzare barricate davanti al proprio percorso.
Com’era facilmente prevedibile la riforma del lavoro, unita a questo atteggiamento che rivela una certa arroganza intellettuale, ha cominciato per la prima volta a erodere il consenso popolare di cui finora il premier ha goduto, come mostrano i sondaggi de La 7 (meno 5% in una settimana) e di Mannheimer (che parla addirittura di un calo del 15%).
IL RISCHIO DEI TECNICI “IMPOLITICI”: STRAPPARE IL TESSUTO DEMOCRATICO
È il rischio in cui incorrono dopo un po’ tutti coloro che comandano, e in particolare i tecnocrati o gli imprenditori che si trovano a fare politica senza avere il know how dei politici, che consiste nel conservare il consenso indorando le pillole che ci fanno ingoiare. Tecnocrati o imprenditori – abituati a decisioni rapide e indiscutibili nella loro tecnicalità – dopo un po’ scalpitano di insofferenza per i riti della politica, che costringono a rinvii infiniti per cercare di costruire il consenso intorno a una decisione: ma riti e minuetti sono l’abito della democrazia, e a volte anche la forma è sostanza.
In tempi come questi, in cui ci vogliono decisioni rapide ma non servono rotture, ci si aspetta che Monti impari a tirare la corda senza strapparla.