Ci sono due motivi per appoggiare l’azione internazionale contro Gheddafi, ma uno si può dire e l’altro no. Il primo, anzi, serve a imbellettare il secondo: il primo (si chiama “ingerenza umanitaria”), è che intervenendo impediamo all’esercito e all’aviazione del Colonnello di massacrare i ribelli di Bengasi (qualcuno pensa probabilmente anche alla rimozione di Gheddafi dal potere); il secondo motivo è che con la nostra adesione alle operazioni militari difendiamo i nostri interessi nel paese: petrolio, gas, future commesse, pattugliamenti contro l’immigrazione… messi a rischio dall’attivismo di Francia e Inghilterra.
Potevamo stare a guardare? Io credo di no, e lo dico con la sofferenza di chi a vent’anni era obiettore di coscienza e a trenta ha partecipato alle marce pacifiste. È la dura lezione anche per Obama (e per chi gli ha assegnato il Nobel per la pace): se fai politica – e in particolare politica estera – non puoi essere pacifista, prima o poi devi confrontarti con i rapporti di forza che regolano le relazioni fra gli stati, e con la difesa degli interessi della tua comunità di riferimento; e per fare questo con efficacia devi essere disposto a usare TUTTI i mezzi che hai a disposizione (e che hanno a disposizione gli altri), anche la forza militare. Altrimenti non tuteli fino in fondo le persone che ti hanno eletto, e queste ti mettono da parte.
Il pacifismo – e, ripeto, lo dico con amarezza –
LA LEGA SENZA POLITICA ESTERA
Come ho scritto nel mio libro “Caro Zaia vorrei essere leghista ma proprio non ci riesco”, rivolgendomi ai vertici del Carroccio: “L’esaltazione del “locale” vi fa perdere di vista l’importanza del globale. Lo si evince chiaramente dalla vostre resistenze al coinvolgimento delle forse armate italiane nelle missioni internazionali di peace-keeping. La vostra linea del Piave è la mobilitazione contro la moschea sotto casa, la guerra ai nomadi accampati sotto il vicino cavalcavia, la mobilitazione costante contro l’irruzione del globale nel locale. Quello che accade nella ex Jugoslavia, in Libano, in Afghanistan non sembra riguardarvi, quasi non producesse effetti capaci di incidere pesantemente sul nostro territorio, in particolare nella forma di potenziali, consistenti nuovi flussi migratori. Non è che vi siate convertiti al pacifismo militante, o alle parole d’ordine della sinistra radicale contro le missioni militari sotto l’egida della Nato. No, è che l’essere partito di lotta e di governo, gridare “tutti a casa” quando qualcuno dei nostri soldati lascia la pelle in situazioni che assomigliano sempre più a una guerra guerreggiata, vi assicura un consenso a buon mercato in un paese come il nostro assai poco bellicoso e dagli orizzonti strategici disegnati dall’interesse individuale e immediato.”