La questione che voglio affrontare prende le mosse dalla vicenda dei recuperanti, di cui ho scritto sul Gazzettino e nel post di ieri, ma va molto più oltre. Si potrebbe riassumere in una semplice domanda: di chi è la montagna? E di conseguenza chi è legittimato a gestirla e a “sfruttarla”? Solo la “gente del posto”, come vorrebbe… la gente del posto (questo termine si rifà alla filosofia delle regole, secondo cui non è lo Stato, ma sono le famiglie locali le proprietarie dei terreni pubblici, in primis i boschi); oppure la montagna è di tutti, e chi vuole ci va, parcheggia qua e là, cammina, fa il suo bravo pic nic, magari raccoglie funghi, fiori, reperti bellici, e poi ritorna in pianura ritemprato?
LA MONTAGNA È DI TUTTI, MA NON È GRATIS
A rigor di logica la questione riguarderebbe tutti i territori turistici, o meglio tutti i territori che prestano un servizio specifico alla collettività, ma in montagna ha una sua pregnanza maggiore per due motivi: la situazione di minorità in cui versano questi territori per buona parte dell’anno (viverci è più scomodo, costa di più e politicamente gli abitanti non contano niente) e la maggior coesione (forse dovuta all’isolamento storico) e l’orgoglio delle comunità locali, che tendono ad autodifendersi dall’esterno ed eventualmente a monetizzare i propri servigi; perché di questo si tratta: l’aria pura, il verde, le stradine che si addentrano nel bosco sono servizi resi da questi territori a tutta la collettività; ma c’è di più: come ricordava Mario Rigoni Stern parlando di dissesto idrogeologico, “la montagna comanda sulla pianura”, nel senso che se non si vogliono alluvioni in basso (e non sono passati ancora dieci mesi dall’ultima drammatica inondazione nel Veneto), bisogna tutelare e “organizzare” idrogeologicamente il territorio in alto.
LA POLITICA VENETA (A DIFFERENZA DEL TRENTINO) IGNORA I MONTANARI
Tutto questo ha dei costi, e non si può pretendere che a farsene carico siano solo i montanari, che già sopportano disagi e costi maggiori degli altri cittadini per il lavoro, il riscaldamento, l’accesso alla sanità e agli uffici pubblici. Purtroppo la collettività – e la sua longa manus, la politica – tende a fregarsene, soprattutto perché la montagna non ha masse di voti da buttare sulla bilancia del consenso, e quindi non riesce a incidere sulla distribuzione delle risorse regionali e statali, ma neppure sulle piccole e grandi scelte che la riguardano direttamente: come la gestione del recupero di reperti bellici, la caccia, eccetera. Molto più semplice – anche per una forza come la Lega – riempirsi la bocca di federalismo, sussidiarietà, autogoverno dei territori, e poi imporre ai montanari leggi sgradite.
Venezia insomma è molto lontana da Asiago (magari un po’ più vicina… a Cortina); molto più lontana di Trento, che essendo il capoluogo di una regione montana su queste tematiche ha un approccio completamente diverso: ecco anche il motivo (accanto alla maggior disponibilità di fondi pubblici) dell’adesione dei montanari del Veneto alle istanze separatiste…
MA ANCHE I MONTANARI HANNO LE LORO COLPE
Poi i montanari ci mettono del loro a rendersi sgradevoli: