Sergio Frigo

DALLA THATCHER A RENZI. L’ITALIA E LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO MANCATO

Margaret Thatcher, Luigi De Magistris, Matteo Renzi: cosa li lega?

Si possono leggere tutte queste figure alla luce del cambiamento, effettivo o mancato.

Qualcuno, alla morte della Lady di ferro, ha detto che gli inglesi sono dei rivoluzionari mascherati da conservatori. Volevano il cambiamento, dopo anni di statalismo associativo, e lei gliel’ha dato, anche a costo di spaccare in due il paese. Al contrario noi italiani saremmo dei conservatori mascherati da rivoluzionari, che il cambiamento lo vogliamo solo a parole, oppure per gli altri.

 

DE MAGISTRIS, DALLE STELLE ALLE STALLE

La parabola di De Magistris alla guida del Comune di Napoli sembra confermare questa analisi: in due anni ha esaurito il consenso che nel 2011 lo aveva portato trionfalmente alla guida della città, e adesso sembra essere diventato – come si è visto dalle recenti violente manifestazioni – uno dei sindaci più invisi di sempre. Diciamo che De Magistris si era profuso, in campagna elettorale, in promesse decisamente azzardate, e adesso paga la frustrazione di chi lo aveva preso in parola, ma i motivi scatenanti dell’ultima protesta sono stati i suoi tentativi di riorganizzazione della convulsa circolazione napoletana, con l’introduzione della Ztl. Certo il sindaco di Napoli è il classico esempio di rincorsa ad un nuovo che rivela la sua inconsistenza di fronte alle ferree leggi dell’amministrazione, dell’economia e della politica, di cui il grillismo è solo l’ultima manifestazione italiana.

VOGLIA DI NUOVO E RESISTENZA AI MUTAMENTI

Ma chiunque nel nostro paese abbia cercato sul serio di cambiare le cose, ai più diversi livelli, ha dovuto fare rapidamente i conti con un’ostilità crescente, e fare rapidamente marcia indietro: basta vedere che fine hanno fatto i proclami riformisti della prima fase del governo Monti, o come sono state ridotte dal governo Berlusconi le prime lenzuolate di Bersani che intaccavano finalmente interessi e privilegi consolidati.

A dispetto del nuovismo a oltranza in Italia negli ultimi vent’anni di veri cambiamenti non ce ne sono stati, come ha scritto ieri Beppe Severgnini sul Corriere: “Berlusconi è stato il cambiamento mancato. Prodi il cambiamento tradito. D’Alema il cambiamento negato. Grillo il cambiamento velleitario e gridato”.

Anche Bersani dice di volere un governo di cambiamento, anche se per gli italiani lui è ormai inevitabilmente l’uomo dell’usato sicuro, e alle spalle ha un apparato e una cultura che appaiono (anche loro malgrado) più ancorati a una solida tradizione che proiettati nel futuro.

RENZI: CAMBIARE L’ITALIA (E IL PD) SENZA CAMBIARE GLI ITALIANI

E Renzi? Criticando la sinistra ha detto che essa vuole cambiare gli italiani, mentre lui vuole cambiare l’Italia. A me sembra che per cominciare egli voglia cambiare soprattutto i democratici. Qui non entro nel merito, ma osservo solo che se presa seriamente la parola d’ordine del cambiamento in Italia è molto rischiosa, produce consenso immediato, ma dissenso profondo non appena si comincia ad applicare. “I dirigenti italiani – scrive ancora Severgnini – non dirigono, ma seguono. Non provano a cambiarci perché sanno che noi non vogliamo assolutamente cambiare, e ci accontentiamo di un declino languido”.

Meglio ancora, direi che quelli che funzionano meglio e durano più a lungo sono quelli che il cambiamento lo annunciano continuamente, ma senza farlo. Berlusconi non sono vent’anni che annuncia una rivoluzione liberale?

DALLA THATCHER A RENZI. L’ITALIA E LA SFIDA DEL CAMBIAMENTO MANCATOultima modifica: 2013-04-13T12:27:00+02:00da
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