Se poi allarghiamo la visione a cerchi geografici e temporali più vasti, la valutazione vira inesorabilmente verso il negativo: sul processo di integrazione europea, ad esempio, la sua azione fu deleteria, e ne risentiamo pesantemente gli effetti ancor oggi nelle eccezioni riconosciute all’Inghilterra nelle politiche di bilancio; per non dire del suo atteggiamento sistematicamente complice nei confronti dell’apartheid e delle dittature di destra.
Per dirla in estrema sintesi, non credo che il retrobottega di un pizzicagnolo (quale fu suo padre) sia l’unico luogo possibile da cui guardare il mondo e trarne ispirazioni per una filosofia di vita e per un’azione di governo della politica globale. E se è vero che in quegli anni la sua ricetta funzionò, contribuendo a liberare energie individuali e rimediando ai guasti dello statalismo spinto del passato, è altrettanto vero che sul lungo periodo essa ha dimostrato tutte le sue carenze, contribuendo a instaurare un darwinismo sociale che minò nel profondo le reti di relazioni e di compensazioni che univano le comunità ed esaltò le disuguaglianze sociali.
Non si tratta di semplici danni collaterali, perché se in misura contenuta le disuguaglianze producono competizione e spirito di emulazione, una volta lasciate libere di espandersi fuori da ogni controllo collettivo esse determinano situazioni di monopolio e privilegio (e al contrario senso di estraneità fra gli esclusi) che producono gli effetti deleteri sull’economia, la politica, la società e anche le singole famiglie a cui assistiamo negli ultimi anni.