Oggi finalmente si apre l’attesa mostra padovana sui veneti antichi, “Venetkens” (già anticipata qui ma-noi-veneti-non-siamo-figli-di-troia.html), al Palazzo della Ragione a Padova, fino al 17 novembre.
I RAPPORTI CON IL MONDO ORIENTALE
Ed è proprio su questi scambi che si sofferma la prima parte della mostra, evidenziando nella parte a sud del territorio dei veneti antichi le influenze degli Etruschi e il ruolo di incubatrice di sviluppo giocato dal Delta e dai grandi fiumi, grazie agli incontri e agli scambi qui intrapresi col mondo orientale attraverso non una migrazione-colonizzazione di interi popoli (come vogliono alcune teorie ancora in voga sull’origine anatolica dei veneti), ma rapporti commerciali e culturali con piccoli gruppi di mercanti e viaggiatori, che si stabilirono da queste parti a partire dal XIII-XII secolo, esercitando una profonda influenza sul territorio circostante, sulle attività economiche e sulle manifestazioni artistiche, da ultimo persino sugli assetti sociali, in virtù del maggior avanzamento delle loro conoscenze e della loro civiltà.
Da quel momento decorrono mille anni di storia che abbiamo imparato a leggere correttamente solo negli ultimi decenni, con le più recente scoperte archeologiche, e che adesso vengono finalmente raccontati unitariamente in questa ambiziosa esposizione, voluta fortemente dal Comune (assessore alla cultura Andrea Colasio) e dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici (Vincenzo Tinè), ma sostenuta con ammirevole unità di intenti dagli altri enti locali (Regione e Provincia), dalle categorie economiche, dalla Fondazione Cariparo, dal Museo patavino, da alcuni sponsor che hanno messo insieme un budget di circa 1,2 milioni di euro (comprensivo di molto lavoro gratuito da parte del personale degli enti pubblici coinvolti).
LE CASE-LABORATORIO E I SANTUARI MONTANI
I primi veneti, dopo il consolidamento demografico seguito al periodo neolitico, sono una popolazione autoctona, insiste il soprintendente Vincenzo Tinè, ma aperta agli incontri e alle ibridazioni con i viaggiatori e i mercanti provenienti dall’oriente. «Su questi scambi – spiega Vincenzo Tinè – si basano le teorie che fanno risalire l’origine di questo popolo alla Paflagonia o agli esuli da Troia sconfitta; si tratta però solo di miti fondativi, alimentati da Roma che enfatizzava le comuni origini coi veneti per giustificarne a posteriori la sottomissione».
LA SITULA “EROTICA” DELL’ALPAGO
Il sito di Frattesina, nel Rodigino, ad esempio, poteva essere inizialmente, secondo la stessa scopritrice Anna Maria Bietti Sestieri, un emporio cipriota o fenicio dove si importavano ceramiche decorate dalla Grecia o paste vitree dalle coste mediterrenee e si esportavano metalli di provenienza alpina, sale, legname, l’ambra che arrivava dal Baltico e gli apprezzatissimi cavalli veneti. «Questi stranieri avevano delle competenze sconosciute agli indigeni – spiega ancora Tinè – quindi estesero rapidamente la loro influenza, che investì tanto l’economia che le manifestazioni artistiche che gli assetti sociali: ad esempio al sistema di tribù, con capi scelti in base ai loro meriti, si sostituì un sistema dinastico, che privilegiava l’origine familiare dei capi, che assumevano ruolo regale». A testimoniare questa evoluzione sono le preziose situle in bronzo (vasi cerimoniali), che venivano acquistate in tutta Europa e costituiscono il cuore della mostra: accanto alla famosa Situla Benvenuti (VII secolo, dal Museo Atestino, contenente le spoglie di una bambina di 3 anni) campeggia (ed è una prima assoluta, foto sotto) quella recuperata fortunosamente in una necropoli a Pian de La Gnela, che potrebbe far pensare a un’attitudine decisamente godereccia dei nostri antenati: il suo fregio più in basso rappresenta una serie di amplessi molto espliciti, e si chiude con un parto, che rappresenta la continuità dinastica della famiglia.
IL “CULTO” PER IL CAVALLO
Le ricostruzioni delle case-laboratorio, forse prodromi del “modello veneto”, con fornaci, laboratori tessili, forni per la cottura della ceramica costituiscono un altro degli elementi portanti della mostra. Ma una delle attività più tipiche dei nostri antenati fu l’allevamento del cavallo, vero e proprio animale totemico dei veneti, a cui è dedicato una sezione apposita del Salone, sotto l’imponente copia del cavallo del Gattamelata di Donatello.
L’ARRIVO DEI ROMANI E GLI SCONTRI NELLA PEDEMONTANA
Questa civiltà ebbe un rapido epilogo tra il secondo e il primo secolo con la romanizzazione, che procedette speditamente e senza violenze in pianura e nelle città, ma incontrò invece inaspettate resistenze nella pedemontana (dalla Valpolicella all’Altopiano di Asiago alla zona di Santorso), dove le popolazioni venete si erano da tempo ibridate con i reti e i celti che premevano da nord. Un telaio pronto per iniziare il lavoro, e improvvisamente abbandonato, tracce di legname bruciato, vasi fracassati sono la testimonianza di abbandoni traumatici e fughe precipitose dei loro abitanti.
L’esito finale di questa civiltà che fu ricca, complessa, feconda, è anche simbolicamente nella strada romana che ci accompagna all’uscita, con la frase di Strabone “Pavimentarono vie, incanalarono acque, divisero terre”.
La mostra padovana – curata da Mariolina Gamba, Giovanna Gambacurta, Angela Ruta Serafini e Francesca Veronese – rimarrà aperta fino al 17 novembre, orario 9-19, chiuso il lunedì. Entrata 8 €, ridotto 5 €. Catalogo Marsilio, 45 €.