Ma noi veneti non siamo… figli di Troia

Venetkens.jpgInsomma, non siamo figli di Troia (T maiuscola, mi raccomando) e nemmeno degli alleati Meoni e Paflagoni, come abbiamo a lungo creduto: gli antichi veneti non venivano dall’Asia Minore, ma siamo sempre stati qui, almeno dal Neolitico, e il buon Antenore, mitico fondatore di Padova, non sarebbe stato un condottiero alla guida di una migrazione di massa di fuggiaschi dalla città dell’Iliade, ma piuttosto uno dei tanti viaggiatori (mercanti, ex soldati, nobili in disarmo) che attorno al 1200-1100 a. C. approdarono dal mondo greco orientale alle coste italiane, al Delta del Po e alla Padania di allora, amalgamandosi con la popolazione esistente ma trasferendovi le proprie conoscenze geografiche, scientifiche, umanistiche, e contribuendo così alla creazione di una identità specifica e unitaria nelle sparse tribù che fino a quel momento non ne avevano coscienza. Venetken.jpgSe le fonti letterarie successive accreditarono le origini greco-orientali delle nostre popolazioni fu probabilmente in ossequio ad un mito fondativo che faceva comodo tramandare visto il prestigio che assicurava sia ai (presunti) conquistatori che ai conquistati.

 

VENETKENS”, UNA MOSTRA SULLE NOSTRE RADICI CON GLI ULTIMI RITROVAMENTI

Tutto questo emergerà dalla grande mostra (grande per le ambizioni, ma non per la spesa, visto che costerà solo 600mila euro) dal titolo “Venetkens – Viaggio nella terra dei veneti antichi”, in programma al Palazzo della Ragione di Padova dal 6 aprile al 17 novembre 2013, per iniziativa del Comune e della Soprintendenza archeologica, ma con la collaborazione della Regione che ne vuole fare un «progetto europeo», e delle categorie economiche padovane.


perla.jpgSarà la prima mostra (dopo quella di 35 anni fa sulla Padova preromana) a raccogliere e presentare, organizzandoli entro un quadro complessivo, i nuovi ritrovamenti degli ultimi decenni in vari siti archeologici del Veneto e del Friuli: i quasi 2000 oggetti esposti saranno inseriti in un percorso geografico-cronologico che partirà dal Delta del Po (10. secolo) e quindi dalla pianura e dai suoi fiumi generatori di insediamenti («Strabone aveva definito i Veneti il popolo delle 50 città – ha ricordato l’assessore padovano Andrea Colasio – ed erano in gran parte città-isole») per poi occuparsi del Sacro (con la ricostruzione di un santuario ideale) e del Mondo dei morti (5. secolo); una parte del percorso sarà dedicato al vero e proprio “culto” deii nostri antenati per i cavalli (a questi animali erano riservati anche spazi appositi nelle necropoli), quindi si approderà alla civilizzazione della pedemontana e ai Santuari alpini (3. secolo), per chiudersi infine con la romanizzazione, nel 2. secolo.

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«Accanto agli oggetti – ha detto Tinè – la mostra baserà il suo fascino anche su molte ricostruzioni virtuali capaci di catturare il visitatore in un’esperienza sensoriale che dovrà restituire il clima emotivo di quei tempi».

UNA CIVILTA’ APERTA, DA SEMPRE CROCEVIA DI TUTTI GLI SCAMBI

Quanto alle caratteristiche di quella civiltà, sono sostanzialmente le stesse che l’hanno fatta crescere e apprezzare nei secoli successivi, su su fino ad oggi: «la forte consapevolezza della propria identità, e insieme la vocazione a proporsi come luogo di scambio e crocevia di due direttrici decisive: quella mediterranea e quella verso il centro-nord europa, lungo la via dell’Ambra».

Resta da dire di quel titolo “ Venetkens”, francamente poco accattivante: ma quel termine, recuperato da una stele del 4. secolo rinvenuta casualmente a Isola Vicentina qualche anno fa, rappresenta la prima testimonianza in assoluto dell’utilizzo del concetto di Veneto in forma scritta nell’antico alfabeto dei nostri progenitori, simile all’etrusco e redatto in forma bustrofelica (con righe scritte da destra a sinistra e ritorno).


Ma noi veneti non siamo… figli di Troiaultima modifica: 2012-12-20T12:46:45+01:00da sergiofrigo
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