La mia arrabbiatura investe non tanto il merito dell’iniziativa politica di Renzi, che seguo anzi con sostanziale favore, ma nasce dalla gestione dei rapporti interni da parte del neo-segretario e dei suoi: un metodo che rischia di sfasciare il partito e di vanificare quanto di buono sta mostrando di poter realizzare.
IL VINCITORE NON DEVE UMILIARE GLI SCONFITTI
Mi riferisco naturalmente ai casi Fassina e Cuperlo, ma anche alla richiesta di dimissioni del ministro Zanonato avanzata dalla governatrice del Friuli Debora Serracchiani. Di nuovo il partito, che grazie a Renzi ha guadagnato nei sondaggi consensi consistenti, paradossalmente proprio a causa di Renzi e compagni è diventato di nuovo, dopo una brevissima luna di miele col nuovo vertice, la solita gabbia di polli rissosi. Certo conta il fatto che il vecchio nucleo dirigente di matrice post-comunista si ritrova per la prima volta in minoranza nel partito, come ha osservato Paolo Giaretta, e forse reagisce con troppo nervosismo alle sparate del leader: ma non c’è dubbio che a terremotare il partito è proprio il vincitore, a cui spetterebbe il compito di sanare le cicatrici e che invece continua a riaprire le ferite e a spargervi sale; che dovrebbe essere il segretario di tutti, e invece sembra infierire sugli avversari sconfitti.
E LA SERRACCHIANI NON POTEVA TELEFONARE A ZANONATO?
UN POPOLO E UNA COMUNITÀ MESSI A RISCHIO
Personalmente mi interessa poco del destino individuale dei vari Fassina, Cuperlo e Zanonato, né mi ritengo organico all’area post-comunista a cui fa riferimento Giaretta.
Capisco che la nuova gestione con piglio decisionista e modi dissacratori cerchi di conquistare nuovi consensi anche in aree estranee alla tradizione del Pd, non vorrei però che per far questo il nuovo segretario si perda per strada il suo popolo.