UN INSULTO, NON UNA BATTUTA
Nella sua risposta alle dimissioni del viceministro Stefano Fassina il segretario del Pd Matteo Renzi mette in evidenza quel lato debole della sua personalità (una disinvoltura comunicativa che sconfina nella superficialità e nel bullismo) che magari piacerà alla “ggente” ma che, come purtroppo si temeva, rischia di erodere la fiducia quanto meno della base dei militanti, che avevano fin qui seguito con soddisfazione le sue prime mosse da segretario.
Renzi, senza assolutamente scusarsi, a proposito della sua “battuta” la iscrive all’area dello scherzo, del sorriso, della leggerezza. Sbaglia due volte, e lo dico con rammarico: “Fassina chi?” è un insulto vero e proprio, non una battuta: sottintende che l’avversario non è nessuno. Altro che leggerezza! In questo senso si fa fatica a considerare accettabile una frase del genere anche nei confronti di un nemico politico. Tanto meno lo è – ed è il secondo errore – se viene scagliata dal segretario nei confronti di un suo “compagno” di partito, non importa se vice-ministro o semplice iscritto: si tratta di una delegittimazione totale e assoluta, e bene ha fatto Fassina a presentare le dimissioni: altro che “problemi autoreferenziali dei gruppi dirigenti” come scrive Renzi.
Se questo è il “nuovo” che cambierà il “verso” della politica, grazie, preferisco il vecchio.
IL COMPITO (E L’INTERESSE) DI UN SEGRETARIO DI PARTITO
Fassina, anche se può risultare antipatico e supponente, non ha messo in discussione, nell’intervista all’origine della polemica, la legittimità di Renzi nel governare il partito, tutt’altro. Renzi invece – e lo dico, ripeto, con rammarico perchè finora mi pareva che si fosse mosso molto bene – con questo atteggiamento non fa che confermare i dubbi di coloro che non lo ritenevano adatto a fare il segretario. Per il suo stesso interesse egli dovrebbe ricordare che nella sua posizione rappresenta tutti, anche coloro che lo osteggiano, e dunque evitare iniziative divisive o di parte. E invece qui siamo al paradosso che è il vincitore che sembra voler proseguire una lotta che doveva essersi chiusa con l’esito delle primarie. Nella sua dichiarazione inoltre fa riferimento ad una divisione fra maggioranza e minoranza che nelle dichiarazioni post vittoria aveva promesso di rimuovere.
Non vorrei che nella foga di conquistare nuovi sostenitori dimenticasse di tenersi stretti i vecchi, che già lo guardavano con sospetto.
Infine una parola per Fassina: forse piuttosto che dimettersi (e non è la prima volta) doveva mettere il suo mandato a disposizione del segretario. In ogni caso finchè è al governo risponde a Letta prima che a Renzi.