Ma questa è anche un’esposizione-racconto che ricostruisce una grande svolta culturale in tutte le sue sfaccettature, come spiega nel bel catalogo edito da Marsilio Howard Burns, presidente del Consiglio scientifico. Una svolta che Bembo perseguì lucidamente muovendo da una riscoperta appassionata e rigorosa dei classici, e a una loro riproposizione finalmente fuori dalle ristrette cerchie di addetti ai lavori ma rimessi nelle disponibilità dei lettori, ad esempio attraverso i nuovi libri “tascabili” sfornati da Aldo Manuzio, uno dei quali è immortalato in un celebre quadro del Giorgione.
LA STORIA DI UN GENIO CHE TRADÌ LA FAMIGLIA E LA PATRIA PER NON TRADIRE SE STESSO
Ma l’esposizione racconta anche di un uomo che oggi sappiano essere stato un genio, un grande innovatore nel campo della lingua, della letteratura, dell’arte, della musica, ma che a suo tempo, e soprattutto per la sua famiglia, doveva essere un fallito, e sicuramente un traditore. Egli tradì infatti le aspettative di suo padre, e tradì pure la sua patria, Venezia (presentandosi in patria come ambasciatore della Chiesa “nemica”), per non tradire se stesso e il proprio sogno, che egli raccontò nel libro omonimo, pubblicato nel 1492, quando aveva 22 anni: spendere la vita al servizio dell’arte. Non esattamente il massimo per un padre, Bernardo, che era sì un umanista, proprietario della più grande biblioteca privata di Venezia, ma era soprattutto un politico e diplomatico assai in vista, che dalla politica ricavava molti dei suoi cespiti e che alla politica aveva immaginato di avviare suo figlio. Finché proprio l’adesione del figlio alla politica papale non lo costrinse ad abbandonare la scena pubblica, per di più gravato dai debiti.
UNA VITA AL SERVIZIO DELL’ARTE E DELLA CULTURA
Il giovane Pietro provò, per la verità, anche se con molta minor convinzione di quanto Bernardo avrebbe voluto, a candidarsi a diverse cariche pubbliche, ma senza mai riuscire ad essere eletto. Questo fino al 1506, quando disse basta e prese il largo dalla famiglia e da Venezia, per essere ospitato come poeta dai duchi di Urbino: a quel tempo era già un letterato famoso, aveva già amato appassionatamente Lucrezia Borgia, aveva pubblicato un libro di dialoghi sull’amore (gli Asolani) a lei dedicato, che era diventato un best seller grazie al modo esplicito con cui per la prima volta si parlava dei sentimenti.
Da allora in poi la poesia, l’arte, la cultura sarebbero state la sua vita, senza per questo rinunciare però alla visibilità e al potere: nel 1512 infatti è a Roma, intellettuale fra i più in vista alla corte di Papa Leone X (figlio di Lorenzo de’ Medici), di cui diventa segretario con aspirazioni (frustrate) da cardinale, fino alla morte del pontefice nel 1521: quando lascia Roma per stabilirsi a Padova, dove realizza, in via Altinate, una splendida casa-museo che diventa anche un centro di cultura di livello internazionale, grazie alle sue prestigiose amicizie con artisti (Michelangelo e Raffaello su tutti), intellettuali, letterati.
LE OPERE D’ARTE DELLA SUA CASA MUSEO TORNANO INSIEME DOPO CINQUE SECOLI
La mostra padovana promossa dalla Fondazione Cariparo ricostruisce in particolare questa sua notissima collezione, di cui facevano parte reperti recuperati dal Bembo nei suoi numerosi viaggi, ma anche opere degli amici
OGGETTI CHE DIALOGANO FRA LORO IN PARETI-TEATRO
Tutto questo, e molto di più (perché Bembo visse oltre 76 anni e… numerose altre vite, compreso il ritorno a Roma, la porpora cardinalizia, una svolta spirituale) non è accostato però ordinatamente (e noiosamente) come in un museo, ma organizzato in “pareti-teatro” dove quadri e oggetti interagiscono fra loro, ricostruendo la rete di relazioni culturali che stava dietro ad essi, restituendo dunque un clima culturale estremamente effervescente di cui Bembo fu fautore e fulcro, e Padova uno dei maggiori palcoscenici”.
A rendere possibile questo approccio alle opere d’arte e agli oggetti è l’attento allestimento di Aldo Cibic e Mauro Zocchetta, che organizza le sale con messaggi gerarchicamente molto strutturati: un grande titolo molto evocativo, alcuni brani introduttivi in italiano e in inglese, e poi, per chi vuole approfondire, delle puntuali didascalie per ogni singola opera, nelle quali viene essa messa in relazione alle altre posizionate vicino: vale per la copia del Cortegiano, con cui Baldassare Castiglione ricostruisce l’irripetibile stagione urbinate vissuta col Bembo, oppure per le innumerevoli monete di Valerio Belli verso le quali il futuro cardinale nutriva una passione quasi sensuale. E vale per gli innumerevoli altri oggetti che tornano insieme per ricostruire in una mostra quello che fu il primo museo della storia, una mostra a cui si dovrà dedicare parecchio tempo, per apprezzarne appieno i continui rimandi interni: e bene ha fatto la Fondazione a mettere a disposizione gratuitamente col prezzo del biglietto (8 euro l’intero, numerose le agevolazioni) anche l’audioguida, con 50 minuti di testo.
UN UOMO AMBIZIOSISSIMO CHE SCHIACCIÒ MARIN SANUDO
E poi c’è la figura di Bembo, qui raffigurato dal Tiziano avvolto nella porpora cardinalizia, ma impegnato in una discussione intellettuale, due aspetti della sua vita a cui egli teneva molto. L’arte e la cultura in lui non erano affatto disgiunti dall’esercizio del potere, come ricorda la docente di Ca’ Foscari Angela Caracciolo Ariicò in un numero appena uscito della rivista “Studi veneziani” e nella nuova edizione del libro “Marin Sanudo giovane. La città di Venezia 1493-1530”, ed. Cicogna. Il serrato confronto fra Sanudo e Bembo si risolse in qualcosa di drammatico, per il cronista di Venezia, molto meno potente del suo avversario. «Bembo era un uomo divorato dall’ambizione – spiega la studiosa – e riuscì a ottenere dal Senato veneziano un incarico a cui Sanudo teneva enormemente, quello di storico ufficiale della Serenissima, per scriverne la storia in latino, che allora era considerato un must dagli stati. Il problema è che lui di storia ne sapeva ben poco, e così convinse il Senato a costringere Sanudo a fargli leggere i suoi diari, per aiutarsi nella compilazione. La sua storia risultò però pizzosissima lo stesso, perché non aveva la tempra dello storico, tanto che la Repubblica tornò sui suoi passi, e lo invitò a tradurla in volgare. Sanudo però non si godette il fallimento del nemico, perché era già morto, pieno di amarezza».
Questo per ricordare che spesso i grandi uomini, proprio per essere grandi, scelgono di essere spietati.