Due domande: cosa spinge un giornalista famoso (Mucchetti, Mineo, Sechi), un magistrato importante (Ingroia o Grasso), un imprenditore di grande peso (Bombassei), uno sportivo (la Vezzali, forse Maldini) a lasciare il proprio prestigioso palcoscenico per diventare un peone in Parlamento? Seconda domanda, ben più sostanziale: riusciranno a fare, nel loro nuovo impegno, di più e meglio per il paese di quello che smettono di fare?
LA MOLLA DELL’AMBIZIONE, MA ANCHE BENEFIT ANCORA NOTEVOLI
Alla prima domanda la risposta è, tendenzialmente, abbastanza semplice: i diretti interessati vi diranno che lo fanno per servire il paese, ma in realtà in genere uno lascia il lavoro che fa perchè ne è stufo, oppure per ambizione o per interesse. Tutte motivazioni legittime, sia chiaro, purchè siano chiare prima di tutto ai protagonisti, e purchè non interferiscano troppo con quela che dovrebbe essere la motivazione nobile che tutti accampano, cioè – APPUNTO – contribuire al bene comune.
Va detto che la politica – nonostante qualche sfrondatura a cui è stata costretta e il discredito di cui è circondata – assolve ancora egregiamente alle aspettative materiali e individuali che abbiamo elencato: è una botta di vita per chi è stufo dei suo solito tran tran professionale, assicura ai vip una visibilità ancora maggiore, e in genere compensa (in potere concreto sicuramente, quando non anche in solido) alle rinunce economiche che qualcuno di loro deve accollarsi per scendere in campo. Non a caso anche coloro che hanno tratto dall’esperienza politica bilanci deludenti si sono ben guardati dal dimettersi e lasciare anzitempo lo scranno parlamentare con i cospicui emolumenti e benefit che esso garantisce (si citi per uttti l’on. pluri-transfuga Massimo Calearo). E anzi, la maggior parte delle volte sono lì pronti a sollecitare a destra e a manca un secondo mandato (Santo Versace).
“OFELE’ FA EL TO MESTIE'”
Dobrebbe essere chiaro a tutti che la politica è un’attività seria, che richiede vocazione ed esperienza: e invece troppi in Italia pensano che saprebbero farla meglio dei suoi protagonisti, un po’ come tutti ci sentiamo più bravi dell’allenatore della Nazionale, chiunque esso sia. E se non si capisce questo, e non si ha l’umiltà necessaria per mettersi a imparare, sarebbe mille volte meglio rimanere a fare quello che si sa fare.
Solo a queste condizioni le new entry in politica lasceranno un segno positivo e non si ridurranno a quel ruolo di “nani e ballerine” che abbiamo visto svolgdre in passato a tanti loro predecessori.