Quello che vorrei segnalare, a proposito della fioritura del genere, e di cui intendo ragionare in uno degli incontri del festival padovano, sabato alle 17.30 al Centro San Gaetano, con Massimo Carlotto e Luigi Bernardi, è come il noir sia diventato il principale, se non quasi l’esclusivo, strumento con cui raccontare l’attualità italiana (e nordestina in particolare): ma questo approccio, ovviamente, tende a fornire di questa realtà un’immagine a senso unico, come se essa fosse connotata solo dal malaffare e dalla violenza: che sappiamo aver assunto un ruolo sempre più importante nella nostra vita, ma fortunatamente non l’unico.
Ne ho parlato con Roberto Costantini e Matteo Strukul, due dei protagonisti del festival padovano, il primo in testa alle graduatorie di vendita con “Tu sei il male” (Ed. Marsilio), il secondo neo-autore de “La ballata di Mila” (ed. e/o).
ROBERTO COSTANTINI
Nel libro – attraverso le indagini di un commissario di Polizia arrogante e svogliato sull’omicidio di una giovane impiegata del Vaticano, la sera della vittoria italiana ai Mondiali dell’82 – emergono non solo una lunga scia di delitti di un serial killer, ma anche gli intrecci del male nei gangli vitali della società italiana. «Ma attenzione – precisa Costantini – io credo che il male non sia concentrato in una sola persona, ma che alberghi dentro ognuno di noi, e che fortunatamente emerga solo in qualcuno, e in situazioni determinate dal contesto sociale o familiare. E devo dire che oggi il contesto in cui sono tenuti i giovani, ad esempio, è favorevole agli sviluppi negativi».
Non è che il noir le enfatizza, però, queste negatività, a scapito magari di romanzi di altro genere che potrebbero favorire un ragionamento più articolato sulla realtà?
“Il noir attira il pubblico medio, e lo scrittore sa che se mette nella sua storia un serial killer avrà inevitabilmente più lettori. Il problema effettivamente è che in questo modo il pubblico tende davvero a indugiare su questi aspetti di maggiore impatto, finendo per smettere di guardarsi effettivamente allo specchio per come è, e trascurando gli approfondimenti sul proprio presente e sul proprio futuro, che con le attuali tensioni sociali si presentano più problematici e meno accattivanti”.
Come mai un debutto a 60 anni?
«Prima non ho avuto il tempo per dedicarmi alla scrittura, come avrei voluto. Pensi che a 18 anni mi pubblicarono sul Corriere dello Sport due reportage sulla Libia, dove vivevo allora con la famiglia… Però i miei ritenevano che sarebbe stata più sicura per me una carriera da ingegnere. Poi però, viaggiando molto e non riuscendo a dormire in aereo, immaginavo trame e prendevo appunti, e quattro anni fa, a causa di un’insonnia persistente, ho cominciato a riordinarli e a svilupparli. E così è nato il romanzo».
Anzi, ne sono nati tre…
Si, tre libri autosufficienti ma fra loro legati. E questa è l’unica analogia con Larsson…»
MATTEO STRUKUL
«Accanto a Mila, con cui volevo rompere le geometrie narrative che relegano le donne a ruoli comprimari – spiega Strukul – il nostro territorio è l’altro protagonista del libro: un territorio dotato di un respiro epico, a cui io rendo omaggio. Sì, sono stufo di autori veneti che non parlano del Veneto».
Ma non è che enfatizzando il lato noir se ne traccia un’immagine cupa e fuorviante?
Il mio genere è il pulp, più che il noir, e dunque il libro si nutre anche di esagerazioni. Certo, si dovrebbe parlare anche delle bellezze della regione, e lo faccio, o del volontariato. Ma come recita l’esergo, giusto un anno fa il giudice Mastelloni ha lanciato l’allarme sull’infiltrazione della mafia cinese nel Veneto. Nel libro tratto di questo».
Da dove nasce il personaggio di Mila?
Se devo pensare a dei riferimenti immEdiati penso a Nikita, di Luc Besson, o alla Sposa di “Kill Bill”, di Quentin Tarantino; ma nella letteratura straniera di figure così ce ne sono».