Lo stupore, poi! Eppure ha tutti quei soldi, tutte quelle televisioni, tutti quei parlamentari! – si dice – Dovrebbe rovesciare il Paese come un calzino con la sua rivoluzione liberale, e invece è sempre più impantanato. Peccato che per fare le rivoluzioni, o semplicemente per governare bene un Paese, ci vogliano un’idea e una passione, sociale, politica, etica… Ci vuole la dedizione ferrea a una classe, a una comunità di riferimento, a un grande progetto, persino a un’utopia, parola che non ha molto corso negli ambienti del Cavaliere, di questi tempi. E su queste parole d’ordine i leader veri riescono a mobilitare le masse, col proprio carisma.
Ma cosa possiamo pretendere da uno Zelig
Eppure c’è, questa idea, se ci pensate, e nella sua storia è di un’evidenza lampante: si tratta di una volontà smodata di autoaffermazione. Dopo aver guadagnato miliardi su miliardi, comprato tutto quello che c’era da comprare, uomini, donne e l’anima del Paese compresa, non è ancora sazio perché sente di non essere riuscito a entrare nella storia; e il suo ego smisurato non si schioda dalla figuretta un po’ bauscia del riccastro di provincia, circondato da adulatori e cortigiane, e sostenuto non dall’entusiasmo contagioso di un popolo che condivide un suo grande progetto per il futuro, ma dall’ammirazione di tanti individui che aspirano modestamente soltanto ad assomigliargli un po’.
È per questo motivo che il nostro paese è tanto frammentato e diviso, incapace di condividere un obbiettivo comune: col narcisismo individualista che è la cifra del berlusconismo (e ormai non più soltanto sua, purtroppo) non si va molto lontani.
Dal Corriere del 28 giugno 2010
La necessità di un colpo d’ala
Se però il futuro appare incerto, il presente invece non lo è per nulla. Dopo due anni alla testa di un’enorme maggioranza parlamentare il governo Berlusconi può vantare, al di là della gestione positiva della crisi economica, un elenco di risultati che dire insoddisfacente è dire poco. Inauguratosi con l’operazione «Napoli pulita» esso si trova oggi davanti ad un’altra capitale del Mezzogiorno, Palermo, coperta di rifiuti, ridotta ad un cumulo d’immondizia, mentre l’uomo del miracolo precedente e dell’emergenza terremoto, Bertolaso, è assediato dalle inchieste giudiziarie.
Il simbolo di un fallimento non potrebbe essere più evidente. Ma c’è ben altro. C’è l’elenco lunghissimo delle promesse non mantenute: elenco che la difficile situazione economica e i grandi successi nella lotta al crimine organizzato non sono certo in grado di compensare. C’è la riforma della giustizia con la separazione delle carriere dei magistrati ancora di là da venire; ci sono le liberalizzazioni (a cominciare da quella degli ordini professionali) di cui non si è vista traccia; c’è il piano casa e delle grandi infrastrutture pubbliche a tutt’oggi sulla carta; la costruzione dei termovalorizzatori, idem.
La promessa semplificazione delle norme e delle procedure amministrative è rimasta in gran parte una promessa; la riforma universitaria ha ancora davanti a sé un iter parlamentare lunghissimo e quanto mai incerto; delle norme sulle intercettazioni meglio non dire; e infine pesa sull’Italia come prima, come sempre, la vergogna della pressione e insieme dell’evasione fiscali più alte del continente.
Una tale inadempienza programmatica è il risultato in buona parte dell’incapacità di leadership da parte del premier.
Anziché governare le decisioni, il presidente del Consiglio sembra galleggiare sul mare senza fine delle diatribe interne al suo schieramento. E nel frattempo dalla cerchia dei fedelissimi, dove pure qualche intelligenza e qualche personalità autonoma esiste, continua a non venire mai alcun discorso d’ordine generale, continua a non venire mai nulla che abbia il tono alto e forte della politica vera. Il silenzio del Pdl che non si riconosce in Fini è impressionante. Ad occupare il proscenio rimangono così, oltre l’eterno conflitto d’interessi del premier, solo i ministri ridicoli (Scajola) o impresentabili (Brancher), il giro degli avidi vegliardi delle Authority, le inutili intolleranze verso gli avversari. Dov’è finita la rivoluzione liberale di cui il Paese ha bisogno?
Ernesto Galli della Loggia