L’allarme è di uno studioso molto rigoroso e molto popolare, quel Gianni Secco già fondatore dei dismessi Belumat ‘storici’ (2007) ed oggi presidente dell’Associazione Soraimar, una lunga carriera di ricercatore, saggista, poeta e cantautore.
LE DOLOMITI NON SONO UN UNICUM CULTURALE
Secco sottolinea che “le molte testimonianze sulla sostanza della tradizione dolomitica del versante veneto, che dimensionalmente è il maggiore, (peraltro ben testimoniata dagli studi della Nardo Cibele, dal Ronzon e da molti altri studiosi del Novecento) non hanno avuto abbastanza riconoscimento sul territorio, dove le nuove generazioni hanno ormai esaurito i narratori locali “veraci” ma si trovano oggi a disporre di testi che si propongono genericamente di illustrare le Leggende dolomitiche visto il richiamo universale dei mitici monti. Ciònonostante esistano alcune ottime pubblicazioni curate dal Museo etnografico provinciale o direttamente prodotte dalle scuole del posto coi materiali raccolti alla fonte”.
L’AMBIGUO SUCCESSO DI CARLO FELICE WOLFF
Secco indirizza la sua critica, o meglio constata il consenso ottenuto dall’opera del giornalista, scrittore e antropologo austriaco Carlo Felice Wolff, nato in Croazia nel 1879 e morto a Bolzano nel 1966, che scoprì, registrò e pubblicò (spesso stravolgendole alla luce della sua sensibilità e della sua cultura) le leggende delle valli dolomitiche del versante Nord. Proprio dal successo delle sue pubblicazioni hanno preso le mosse altri ricercatori, scrittori, artisti, fino a ricostruire un immaginario che – secondo Secco – ha ben poco da spartire con la realtà dolomitica, specie quella del versante Sud, che tuttavia ne rimane sempre più influenzata.
L’ultimo esempio di questa tendenza sarebbe lo spettacolo “I monti pallidi”, tratto proprio dalle leggende di Wolff e presentato il mese scorso a Belluno dalla cantautrice Erica Boschiero con l’attore Sandro Buzzatti, per la regia di Luca Zanetti. «Bello spettacolo, e ottima in particolare la prestazione di Erica – puntualizza Secco – ma il problema sta proprio nello stravolgimento operato da Wolff delle tradizioni cadorine (peraltro rilevata e sottolineata dagli studiosi locali, appena uscita la pubblicazione). La domanda che ci si pone è se è giusto e utile, in nome di una pur pregevole operazione artistica, proporre alle nuove generazioni, tradizioni abbondantemente inquinate e fuorvianti, offrendo esse valori tipici di altre aree, giacché i “nostri” monti pallidi non le prevedono”. In realtà non piace a Secco l’uso di “nostro” e “vostro” in contrapposizione, giacchè basterebbe rispettare le “diversità” che sono sale e ricchezza comune: sarebbe però opportuno, insiste lo studioso, specificare quando si attinge a tradizioni proprie del territorio, oppure quando si ricorre a un immaginario estraneo o romanzato. E questo anche perchè ormai “si vedono cose di dubbia sostanza anche in festival e rassegne inerenti promossi magari da enti pubblici la cui intenzione è esattamente opposta».
SOREGHINA E DOLASILLA CONTRO IL BASALISCO E I SANGUANEI
Fra gli esempi di leggende reinventate (non popolari) ci sono quelle di Soreghina e di Dolasilla
, mutuate dalla tradizione nordica e dalla “lezione” dei fratelli Grimm e “rivestite” da una forma letteraria che non è loro propria, e che ne svuota la forza intrinseca e la selvaggeria originaria; mentre rimangono assenti da queste narrazioni i nostri miti ancestrali: l’Uomo Selvaggio, il Basalisco, La Biscia Ladra, Mazaroi, Sanguanei, la Smara e i succhiasangue, che “servivano” ai nostri antenati per giustificare le realtà inspiegabili o per indurre alla prudenza impaurendo.
ERICA BOSCHIERO: “SECCO HA RAGIONE, MA LA MIA E’ UN’OPERAZIONE ARTISTICA, NON FILOLOGICA”