Licata è un ex minatore che sostiene che il suo elisir di lunga vita è “Cantare e sorridere”. Ma qual’è invece la ricetta della longevità secondo gli studiosi? Semplicissimo: mangiare poco.
LA CONFERENZA DI VENEZIA SULLA LONGEVITÀ
MENO CALORIE PER VIVERE IL 30% DI PIU’
“Gli esperimenti sui topi – spiega il professor Fontana – hanno dimostrato che gli individui a dieta vivono fino a 4,5 anni, contro i 3 dei compagni pasciuti”.
Accade lo stesso agli uomini?
«Ovviamente ci vorrebbero due vite per appurarlo, dunque al momento stiamo studiando se la riduzione calorica ha sull’organismo umano gli stessi effetti che ha sui topi, e i risultati sono incoraggianti».
Quanto e cosa mangiano le sue cavie umane?
«Circa 1900 calorie i maschi (5-600 meno della media consigliata dai dietologi, ndr), raggiunte eliminando dolciumi e farine e assumendo piuttosto verdure (legumi), cereali integrali, yogurt magro, pesce e carne bianca. E anche un bicchiere di vino, se si vuole».
Sono… felici lo stesso? Non è che accade loro, come dice Woody Allen, che si smette di fumare e di bere, si vive una settimana di più, e quella settimana… piove?
«Si tratta di persone che puntano ad avere una vita lunga e sana anche nella vecchiaia, per godersi i nipoti, viaggiare, o magari iniziare un nuovo lavoro a 70 anni. In ogni caso si tratta di persone molto più sane della media, col cuore sano e colesterolo, pressione e glicemia di un quindicenne».
Gli economisti temono gli effetti sul welfare di un forte invecchiamento della società…
«Guardi, attualmente gli ultrasessantacinquenni sono il 20% della popolazione, nel 2050 saranno il 33: ovvio che il welfare andrà profondamente ripensato; inoltre l’80% di essi ha una malattia cronica, il 50% due o più. Quello che non possiamo permetterci sono anziani malati: ecco perché occorre intervenire fin d’ora per individuare e combattere le malattie prevedibili, che sono il 70% del totale. Purtroppo questa consapevolezza non è molto diffusa, considerata l’espansione dell’obesità, anche giovanile, da cattiva alimentazione
MA ANCHE L’INSERIMENTO SOCIALE CONTA MOLTO
E questo ci riporta ai successivi punti del decalogo ideale, che a Venezia saranno elencati da Howard S. Friedman, Professore di Psicologia dell’Università della California a Riverside, responsabile del “Longevity Project”, una ricerca durata 80 anni sulla durata della vita in più di 1.500 bambini, a partire dal 1921: «La maggior parte dei longevi non vive più a lungo perché ha sconfitto il cancro, le malattie cardiovascolari, la depressione o il diabete, ma piuttosto perché ha evitato gravi disturbi grazie a una serie di scelte che spesso si basano su durature e significative relazioni con il prossimo. Vive a lungo chi è coscienzioso, prudente, pianificatore e costante nei suoi piani; chi si è impegnato a fondo e con perseveranza in progetti di ampio respiro, senza mai demordere».
L’IMPORTANZA DELLA GENETICA E DELLA RICCHEZZA
Certo, non vanno sottovalutati altri aspetti, segnalati da altri studiosi: le origini familiari, in primis. Secondo gli studiosi il patrimonio genetico conta per il 20%, nella durata della vita, anche se può essere “corretto” dagli stili di vita; ma conta altrettanto anche il patrimonio più “tangibile” fatto dalla ricchezza di una persona: essere ricchi (e istruiti) può aumentare la speranza di vita anche di 3 o 4 anni.