Certo, la politica di colpe ne ha molte, ha capito tardi e non ha fatto abbastanza, ma in questa situazione essa denuncia soprattutto la propria impotenza, perché nessun governo è in grado di creare lavoro per decreto, e i margini per redistribuire ricchezza (in favore dei più poveri) sono drammaticamente esigui.
A NON CAPIRE, A NON AIUTARE, SONO STATI ANCHE COLORO CHE ERANO VICINI ALLE VITTIME
Ma anche la società ha le sue colpe, e per società non intendo un agglomerato astratto e indistinto, ma l’insieme delle persone che stavano intorno ai tre morti, e che non hanno capito il loro dramma, o non hanno saputo o voluto aiutarli. Certo, siamo una società che si sta impoverendo, ma complessivamente non siamo ancora in miseria; certo, in molti faticano ad arrivare alla fine del mese, ma c’è anche chi nonostante la crisi non ha dovuto minimamente intaccare il proprio livello di vita. E se i primi si vergognano a chiedere, i secondi preferiscono ignorare, fare finta di niente, raccontarsi che non è di propria competenza occuparsi dei problemi degli altri.
Aprire gli occhi, informarsi sulla situazione del fratello licenziato, dell’amico o del vicino di casa in difficoltà, potrebbe in effetti risultate scomodo, costringerci a rinunciare magari a cambiare l’auto o a rinviare una vacanza per dare concretamente una mano. Molto più comodo pensare che debba provvedere lo Stato, e inveire contro i politici se lo Stato non ci arriva. Dimenticando che lo Stato siamo noi, e che esso prospera solo se noi – tutti – facciamo la nostra parte, paghiamo le nostre tasse, emettiamo i nostri scontrini, evitiamo di chiedere sconti a cui non abbiamo diritto. Dimenticando, soprattutto, che a mancare, in questo momento, più che il denaro è la solidarietà fra le persone.
Viene in mente la famosa frase di John Kennedy: “Non chiedetevi cosa può fare il paese per voi, ma quello che voi potete fare per il paese”.