Ecco alcune testimonianze e alcune ricostruzioni su di lui, pubblicate sul sito Politicaèresponsabilità.
di ENRICO ROSSI
Il 3 luglio di quindici anni fa moriva Alexander Langer lasciandoci il dolore di una perdita, ma anche un’eredità e una ricchezza di idee e progetti allora così lungimiranti da risultare oggi particolarmente urgenti. Sapremo seguirne almeno in parte le orme?
Nel modo di vedere l’ecologia e la protezione dell’ambiente di Langer alcuni temi importanti erano ricorrenti. Così, il fatto che si dovesse cominciare a “privilegiare la sussistenza rispetto al profitto, al mercato” faceva il paio con una virtù che riteneva particolarmente importante, quella di preferire “il valore d’uso al valore di scambio”. Per dare un valore a tutto quello che usiamo, non solo dal punto di vista del riciclaggio, ma proprio come cose dotate di un loro valore a priori, come l’acqua potabile o l’aria respirabile. Perché, diceva, “proprio la riduzione a puro valore di scambio (l’acqua per ora costa poco)” fa si che “ad esempio l’acqua si può anche lasciarla correre e buttarla via”. Oppure, altra virtù che considerava importante, era la cosidetta consapevolezza del limite, quando per esempio parlava degli animali creati per avere molta carne o con crescita precoce e resi per questo brevettabili. Di fronte a fatti di questo tipo auspicava un’auto-limitazione che facesse rinunciare a “tutto ciò che in qualche modo provoca conseguenze irreversibili generali”.
Ma a questa coscienza della necessità di un ritorno a un equilibrio, Langer univa la consapevolezza che la civiltà Occidentale “non può far finta semplicemente di tornare alla natura e sicuramente non può neanche arrestare di colpo la logica di sviluppo e di crescita”, cose queste fattibili solo da singoli individui o comunità ristrette. Ma, diceva, “è possibile forse un atterraggio morbido, rispetto al quale c’è molto da lavorare”. Anche il suo intervento ai Colloqui di Dobbiaco del 1994 aveva un titolo significativo, “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”.
Nell’approccio così pragmatico di Langer ai problemi, niente di tutto questo avrebbe potuto essere realizzato senza la consapevolezza individuale di ciascuna persona. Lui per primo. Che si spostava in macchina solo quando l’urgenza e l’incalzare dei suoi impegni non permettevano altrimenti. Che apprezzava gli alberghi dove per colazione si evitavano le confezioni monodose di burro e marmellate (“un non senso ecologico”), e che perfino negli interventi al Parlamento Europeo puntualizzava orgogliosamente queste cose.
Quando se ne va una persona così – scelta o destino che sia – rimane un grande vuoto, pieno di tutto ciò che quella persona ha fatto, ha seminato. E che forse sta a noi continuare (era questo anche il suo ultimo invito, “continuate in ciò che era giusto”) per il bene nostro e dei nostri figli. Sapremo seguirne almeno in parte le orme? Saremo capaci di creare uno spazio, uno stile, un modo di sviluppo realmente sostenibile che faccia del Trentino un modello esportabile?
Gli strumenti ci sono, chi ha avuto la fortuna di seguire l’incontro con Lester R. Brown poche settimane fa qui a Trento, se n’è potuto fare un’idea precisa. Il decano degli ambientalisti, fondatore nel 1974 del World Watch Institute e ora presidente e fondatore dell’Earth Policy Institute, ha dato qualche spunto del suo cosiddetto “Plan B”, giunto ormai al quarto aggiornamento. Un poderoso insieme di analisi dello stato di salute ambientale del pianeta e di pratiche possibili per un rientro in tempo utile, prima della scomparsa della nostra specie. Un piano e un metodo, un approccio che tiene conto tanto delle peculiarità locali quanto delle esigenze globali del pianeta. Riusciremo ad essere tra i primi a dare corpo e a realizzare concretamente idee di questo tipo?
In viaggio con Alex. La vita e gli incontri di Alexander Langer (1946-1995)