Ovviamente alla teoria devono fare seguito procedure e comportamenti adeguati, i quali diventano via via più complicati man mano che cresce il numero degli immigrati.
NON ESISTONO SOLUZIONI FACILI AL PROBLEMA
La questione richiede sì fermezza, ma anche umanità, pragmatismo, competenza, lucidità, per mettere a punto una serie di interventi di cui la repressione (di attività criminali o semplicemente inappropriate) è solo l’ultimo gradino di un percorso estremamente articolato, che passa dalla prevenzione e dalla formazione (ai nostri valori irrinunciabili), ma deve avere la sua origine in nuove politiche nei confronti dei paesi di origine dei flussi migratori.
Le “soluzioni facili”, sulle questioni migratorie, non esistono, checché ne dicano gli opinionisti da bar che alimentano la vulgata populista incarnata in Italia soprattutto dalla Lega, che lancia allarmi fin da quando gli immigrati erano poche migliaia e venivano soprattutto dal nostro Meridione e mostra interesse solo a sfruttare elettoralmente il problema, non certo a risolverlo: e anche quando le questioni sollevate da Salvini & c. hanno un fondo di realtà, le contromisure ipotizzate si rivelano impercorribili qualora venissero portate alle loro logiche conseguenze. E alla stessa categoria concettuale appartiene la proposta di referendum popolare su quanti stranieri possiamo permetterci, proposto nei giorni scorsi sul Gazzettino dal giudice Carlo Nordio.
LE ALTERNATIVE: SPARARE LORO ADDOSSO O LASCIARLI ANNEGARE
UN’IPORESI DI LAVORO: PERMESSI TEMPORANEI E A PUNTI
Ripeto, ammesso che esistano delle soluzioni, sono tutt’altro che semplici: l’unica possibile proposta che mi viene in mente – oltre a promuovere la cooperazione e gli accordi di reimpatrio con i paesi africani da cui traggono origine una buona parte dei flussi che interessano il nostro paese – è cercare di attivare dei flussi migratori contrattati e contingentati: si accolgono solo, previa attivazione di centrali di smistamento in loco, immigrati con permesso temporaneo (magari per lavori stagionali), e si concedono loro dei punteggi annuali legati ai loro progressi nella conoscenza della lingua e della legislazione italiana. Al raggiungimento di un determinato punteggio essi possono ottenere il permesso di soggiorno, e successivamente (e solo a patto che diano rispettate alcune condizioni precise) la cittadinanza. Chi non rispetta queste procedure (o commette reati) deve sapere che resterà magari in Italia, se non potrà essere reimpatriato, ma rimarrà sempre un clandestino.
Dev’essere chiaro che questa o altre possibili misure comportano una forte assunzione di responsabilità della politica, e anche consistenti stanziamenti di risorse: ma anche tenersi per anni i profughi in attesa di riconoscimento, o mettere davvero in carcere i clandestini (come presupporrebbe il mantenimento del reato) avrebbe costi tutt’altro che contenuti.