Ora che la guerra dei vent’anni fra i giudici e Berlusconi sta approdando al gran finale si può forse scriverne la storia in una maniera diversa, che guardandola da una certa distanza e cercando di depurarla dal contingente (e non è certo facile) possa persino ricavarne una morale in qualche misura condivisa fra le diverse parti in conflitto.
DUE VERITA’ CONTRAPPOSTE SULLA “RIVOLUZIONE” BERLUSCONIANA
Per questo è necessario a mio parere riformulare in forma diversa le accuse che giustizialisti (il “partito” dei giudici) e garantisti (filo Berlusconi) si scagliano addosso da sempre: per i primi il Cavaliere è il colpevole di tutti i mali dell’Italia e i giudici fanno solo il loro mestiere inquisendolo, per i secondi è (ancora!) il taumaturgo che può salvare il paese, e la magistratura vuole eliminarlo dalla scena politica (per conto della sinistra) con un vero e proprio colpo di stato in differita.
Quale di queste due posizioni è vera? Paradossalmente ci sono elementi di verità in entrambe. Io credo che ci sia stato effettivamente in questi anni un certo accanimento giudiziario contro Berlusconi, che alcune sentenze a suo carico siano un po’ stiracchiate, e soprattutto che da parte di qualche magistrato ci sia stato un uso strumentale delle inchieste. Giudici eversori, dunque?
Qui bisogna fare un passo indietro e chiedersi perché è avvenuto tutto questo, andando alla radice del “fenomeno Berlusconi”. Qual’è stata l’essenza del suo ventennio in politica? Ovviamente le risposte divergono radicalmente a seconda delle posizioni politiche (salvare le proprie aziende dal fallimento e se stesso dal carcere, oppure salvare il paese e assicurargli un futuro radioso), ma mi pare che un comune denominatore si possa trovare nell’ammettere da una parte che nel suo programma c’erano effettivamente elementi (magari propagandistici) di rinnovamento liberale, ma che erano inesorabilmente intrecciati con un formidabile conflitto di interesse; e soprattutto che per perseguire i propri fini (condivisibili o meno che fossero) Berlusconi ha messo in atto strategie politiche decisamente rivoluzionarie, o eversive, secondo i detrattori.
UN “ALIENO” CONTRO IL SISTEMA. PRO DOMO SUA
La sua visione del mondo non ha mai coinciso con quel complesso di valori repubblicani, assetti istituzionali, relazioni economiche ed equilibri sociali che erano scaturiti dalla Seconda Guerra Mondiale, e che hanno trovato nella Costituzione di volta in volta una cornice ideale, una barriera difensiva, un comodo alibi. E la sua prassi imprenditoriale essenzialmente individualista, unita all’ego smisurato di chi aspirava a lasciare il suo segno nella storia, non poteva accettare di farsi imprigionare dentro questa ragnatela (che frenava il suo stile spregiudicato e vittorioso che tanto successo gli aveva portato negli affari) senza cercare di lacerarla, per sostituirla con una nuova rete (di interessi, valori, relazioni, equilibri) di cui lui sarebbe stato inevitabilmente il centro. Piegando a questo scopo le regole del mercato (col suo enorme conflitto d’interesse), della comunicazione pubblica (con le televisioni) dello stesso equilibrio fra il potere politico e giudiziario (leggi ad personam, riforma della giustizia).
LA MAGISTRATURA HA DIFESO LA LEGGE MA ANCHE LO STATUS QUO
Io credo che sia stato a questo disegno (come si è visto in larga parte coincidente con quello di Gelli) che si è opposto – magari uscendo talvolta dal proprio alveo – la magistratura, a nome e per conto non della sinistra (ma quando mai!) ma di quel complesso politico-culturale-istituzionale e in parte anche economico a cui accennavo prima. È stato il “sistema” ad attivare le proprie difese contro l’anomalia Berlusconi, con l’avallo però (prima incerto, ora più convinto) della parte maggioritaria del paese (sinistra e non solo), che se non è stata quasi mai in grado di opporre un’alternativa politica credibile ai suoi disegni (ma quanto ha contato in questo il suo strapotere mediatico?), non ne ha quasi mai sposato in toto le parole d’ordine.
RACCOGLIERE GLI ASPETTI POSITIVI DELLA SFIDA DI BERLUSCONI
Ora che per Berlusconi sembra profilarsi una sconfitta definitiva (contano oltre che le sentenze il cambiamento culturale da crisi, la sua età e il logoramento della sua immagine personale presso l’opinione pubblica) viene da chiedersi se davvero quelli che stanno vincendo sono i “buoni”, cioè se questo esito è positivo per l’Italia. La mia risposta, da prudente conservatore di sinistra, è un si molto condizionato. L’esito della guerra dei vent’anni sarà positivo a due condizioni: che si riesca a neutralizzare l’intreccio di cieco fideismo nel leader e indifferenza al bene collettivo e alle regole comuni che potrebbe perpetuare il berlusconismo anche senza Berlusconi; ma soprattutto che si riesca a cogliere della sfida portata dal Cavaliere al sistema in questi vent’anni gli elementi positivi che ci sono, e che potrebbero contribuire a svecchiare, innovare, dare forza propulsiva e nuovi protagonisti a un paese ingessato non solo da questa guerra ma anche dall’assetto istituzionale, politico ed economico che si era dato in precedenza, e che continua a perpetuarsi, in un intreccio di veti e interessi che ci impedisce di crescere, e che dev’essere sciolto. Senza Berlusconi cadranno anche gli alibi per non farlo.