In Italia ci stanchiamo presto di tutto, anche delle primarie. “Un eccesso di democrazia”, commenta qualcuno, soprattutto dal centro-destra, in attesa della due giorni del Pd; “vinceranno i soliti, sostenuti dagli apparati del partito”, sostengono al contrario i “duri e puri” alla Grillo, auspicando un’eterna palingenesi della politica che non si capisce da dove debba arrivare.
DIETRO LE QUINTE LA “SOLITA POLITICA”
Certo, guardando dietro le quinte si registrano le “solite manovre” degli apparati e dei gruppi organizzati, che corrispondono ad un desiderio di misurare il proprio potere interno al partito; certo ci sono i bersaniani che vogliono capitalizzare la vittoria delle primarie per la premiership, e i renziani che cercano la rivincita; certo, c’è l’eterno conflitto tra personalità emergenti a livello locale, che cercano un posto al sole a scapito di altri, e giocano la loro battaglia con le candidature, per cercare di piazzare se stessi e i propri fedelissimi in testa alle liste, il che con questa legge significa un passaporto sicuro per Roma; certo, si incrinano sodalizi che sembrano destinati a durare per sempre, nel nome di una “nuova politica”, e invece durano solo fino a quando c’è un avversario comune con cui confrontarsi, per poi cadere inevitabilmente nella “vecchia politica”, fatta di sgambetti e compromessi; certo, ci sono strategie e tattiche che, una volta che non sono più condivise, si portano dietro inevitabilmente dolorose lacerazioni personali…
MA QUI C’È UN VERTICHE CHE CEDE ALLA BASE PARTE DEL PROPRIO POTERE
Fermandosi a questo si rischierebbe però di spingere in secondo piano la grande novità di questa consultazione: il vertice di un partito che cede una parte del proprio potere alle sue strutture inferiori, e in ultima istanza ai propri elettori, in quella che è una delle operazioni forse meno “nobili” ma certamente più decisive per la propria azione politica: la scelta della classe dirigente futura. In tempi di Porcellum la contendibilità dei posti di parlamentare è un “regalo” che gli iscritti del Pd (e per estensione di Sel e del Psi) farebbero bene a non sottovalutare (e a giocarsi molto bene), perché non risulta che altre forze politiche abbiano scelto di rinunciare alla cooptazione degli eletti direttamente dal vertice.
Tutto questo avviene anche attraverso operazioni opache, riposizionamenti strategici, do ut des gestiti da qualche maggiorente? Certo, in un mondo perfetto tutto questo non avrebbe diritto di cittadinanza, ma in questo mondo, scusate, come dovrebbe avvenire? “Prego, prima tu”, “no, io non mi merito quel posto”, “ma non c’è qualcuno di sconosciuto da candidare”? Oppure attraverso le risibili (e opacissime) Parlamentarie on line di Grillo? In quale altro modo dovrebbero formarsi le candidature, se non attraverso la strutture del partito oppure il farsi avanti di esponenti (necessariamente ambizioni, a volte anche narcisisti) della società civile? E se si tratta di rappresentanti di questa o quella associazione attiva nel sociale va anche bene, ma come si può pensare che personaggi anche eminenti in questa o quella disciplina, che fino a ieri si sono limitati a fare (bene) il proprio lavoro, possano avere la visibilità (e anche la forma mentis) necessaria per raccogliere il consenso degli iscritti di un partito?
L’UNICA ECCEZIONE CHE HO REGISTRATO…
Personalmente ho visto in un’unica occasione funzionare diversamente le procedure di selezione delle dirigenze, con l’accettazione (non la ricerca) del potere, la sua gestione con reale spirito di servizio per la comunità, la condivisione capillare delle scelte, e infine il gioioso ritorno alle proprie occupazioni precedenti alla fine del proprio mandato: parlo delle Comboniane, un’organizzazione femminile, missionaria e probabilmente… eterodiretta dallo Spirito Santo.