TORNANO I GRANDI SCRITTORI VENETI: LE “CARTE” DI LUIGI MENEGHELLO

Meneghello.jpgE’ in atto una vera e propria riscoperta degli autori veneti del passato, le cui opere rivelano una straordinaria “tenuta” – di contenuti, di stile, di accenti – anche nel presente. Oggi alle 17 a Verona, alla società letteraria (in piazza Bra, Sala Montanari) si presenta l’Antologia di Verona della collana dedicata agli scrittori del Nordest dalla Biblioteca dell’Immagine e curata da Paola Tonussi. Con l’autrice (e Francesco Jori e il sottoscritto, direttori della collana per il Veneto) intervengono la presidente della Società Letteraria Daniela Brunelli e il vice presidente Ernesto Guidorizzi e il critico letterario Paola Azzolini, nonchè alcuni degli scrittori antologizzati.

Dalla granda fucina degli scrittori vicentini invece l’editore De Bastiani ha appena recuperato, a ottant’anni dalla pubblicazione, “La rua” (€ 15), di Gian Dauli (al secolo Giuseppe Ugo Virginio Quarto Nalato), estroso scrittore e intellettuale scomparso nel 1945 e ingiustamente dimenticato: questo racconto sarcastico della decadenza di una famiglia borghese vicentina fu paragonato alla sua uscita dalla critica anglosassone e francese ai capolavori di Joyce e Céline.
A Feltre invece si riscopre, a vent’anni dalla morte, il critico, docente, scrittore e politico Silvio Guarnieri: l’editore Manni ha ripubblicato i suoi racconti “Lavori d’autunno”, a cui lavorò per trent’anni (a cura di Pietro De Marchi) e gli atti del convegno organizzato sulla sua figura nell’ottobre del 2010, a cento anni dalla nascita.
Ma la riscoperta più attesa sono le “Carte” di Luigi Meneghello, a cui ho dedicato un articolo oggi sul Gazzettino.

TRA LE VECCHIE “CARTE” DI MENEGHELLO

I tre grandi scrittori veneti del secondo Novecento continuano a parlare e a far parlare di sè. Di Zanzotto si è appena celebrato l’anniversario della scomparsa, con la pubblicazione dei suoi haiku e del Filò; a Mario Rigoni Stern, che avrebbe compiuto gli anni giovedì, è dedicato un bel numero monografico della rivista Finnegans, con una ventina di firme, presentato venerdì a Treviso.Di Meneghello – a cinque anni dalla morte (il 26 giugno del 2007) – tornano invece ora le famose “carte”, quei foglietti di appunti riposti e dimenticati in un cassetto, con cui lo scrittore di Malo aveva confezionato nei suoi ultimi cinque anni preziosi articoli mensili per il Sole 24 Ore.

Meneghello2.jpgIl titolo – “L’apprendistato” (Ed. Rizzoli, € 20) – allude proprio (come spiega Riccardo Chiaberge nella prefazione) all’arduo processo che vide l’anziano scrittore, colto, sofisticato, anarcoide e perennemente a disagio con i media, «guadagnarsi in soli tre anni la patente di giornalista ad honorem».Fra i tanti spunti possibili, nelle nuove carte si possono individuare alcuni percorsi, come il suo rinnovato approccio con la sua regione, ritrovata definitivamente nel 2004 dopo tanti anni di lontananza interrotta da ritorni periodici; ma anche il difficile ma fecondo rapporto con l’Italia, di cui bisognava parlar male (ma solo fra italiani); le frecciate ai colleghi, strapazzati con divertita cattiveria; e le donne, da cui era continuamente (e pudicamente?) sedotto.

VENETO E SENSO DEL PUDORE: L’OMBELICO ESPOSTO IN CHIESA COME UN OSTENSORIO

Del Veneto che ritrovava (un po’) cambiato ogni volta lo colpivano, accanto alle trasformazioni sociali, la smania di ricchezza (che vede «un giovanotto… giustiziare papà e mamma a colpi di padella in testa, in pratica per comprarsi una macchina nuova»), ma soprattutto i mutamenti nel costume, nel senso del pudore: «Erano distintamente peccaminosi i gomiti scoperti delle donne, e peccaminosissimi in chiesa. E in così corto spazio di tempo questa peccaminosità è fuggita non solo dai gomiti o, diciamo, dalle ginocchia, ma dai più succosi luoghi del corpo, gli spazi interfemorali, gli spacchi deretani. Di peccaminoso non c’è quasi più niente, e in chiesa si potrà presto andare (…) con l’ombelico esposto come un ostensorio».

ITALIA DIFETTOSA E DA CAMBIARE

Sui rapporti fra gli italiani e l’Italia (e gli inglesi e l’Inghilterra) basterà l’osservazione che da azionista in dispatrio pensava alla nostra società come a «una struttura essenzialmente difettosa e da cambiare (…) Ma fin dai miei primi contatti con mondo inglese si profilò invece e alla fine prevalse l’opposta percezione chiave, che lì la società non era sentita come una cosa da cambiare: al contrario».

LE STILETTATE AI COLLEGHI: MONTALE, CASSOLA E I “BANDITI DI PADOVA”

Imperdibili i suoi perfidi riferimenti a letterati e colleghi universitari: ecco Montale, “massimo dei nostri poeti minori viventi”, oppure Cassola, che liquida, con una giornalista francese invadente, “quello delle sigarette”, perchè nei suoi libri i personaggi fumano spesso. Peccato non poter riconoscere invece i “banditi di Padova”, accademici “scadenti” che vanno a trovarlo a Reading su “una macchina cecoslovacca, vagamente mafiosa”, che si inventano discipline immaginarie per conquistarsi cattedre e girare il mondo; mentre si riconosce invece Mario Isnenghi, “estroso (e benevolo) critico”, come si riconoscono molti degli amici che Meneghello ebbe vicino all’Università, oppure sui monti, durante la Resistenza, o nei decenni successivi da Renato Ghiotto a Gigi Ghirotti, da Neri Pozza a Carlo Scarpa.

LE DONNE E LA SEDUZIONE: QUELLA FUGA D’AMORE MANCATA…

Infine le donne, che secondo Mengaldo descriveva in modo impareggiabile, forse perchè le amava molto: non solo la moglie Katia, scomparsa proprio nel 2004 del rientro in Italia, ma anche i piacevoli fantasmi che animavano i suoi ricordi, e qualche volta, purtroppo, tornavano in carne ed ossa. Come la vecchia fiamma che incontra a Padova, appesantita dagli anni, forse desiderosa di dare un altro esito alla mancata fuga d’amore di tanti anni prima; finisce che ognuno prende, ancora una volta, il proprio treno, “turbati e smonati”.

dal Gazzettino, 29 ottobre 2012

TORNANO I GRANDI SCRITTORI VENETI: LE “CARTE” DI LUIGI MENEGHELLOultima modifica: 2012-10-29T18:11:00+01:00da sergiofrigo
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