Fino a qualche giorno fa ero convinto che un’eventuale vittoria di Renzi alle primarie non sarebbe stata la gran disgrazia paventata dai maggiorenti del partito, anche se non ne sottovalutavo la portata. In particolare immaginavo uno slittamento significativo dell’elettorato, una specie di mini-mutazione genetica: via quelli più a sinistra, verso l’astensionismo o Fed o Grillo, dentro un po’ di delusi del centro e del Pdl, con un saldo elettorale probabilmente positivo.
Ora mi sto convincendo invece che – visto come si stanno mettendo le cose a sinistra – questo evento avrebbe conseguenze più deflagranti, anche indipendentemente dalla volontà di Renzi, anzi, più a causa dei suoi avversari che di lui stesso.
IN DISCUSSIONE LA COALIZIONE CON SEL MA ANCHE L’UNITA’ DEL PD
La prima questione è capire se riuscirebbe a reggere la coalizione fra Pd, Sel e Psi messa in piedi da Bersani. È pensabile un Vendola impegnato a sostenere Matteo Renzi, con la sua agenda prettamente montiana e le sue inedite amicizie nell’alta finanza (vedi la discussa cena milanese: o forse ha radunato i banchieri per derubarli e distribuire i loro averi ai poveri, come Robin Hood)? No, francamente. E anche se il leader d Sel mandasse giù l’amaro calice, cosa farebbero i suoi?
Ma i problemi investirebbe in pieno anche lo stesso Pd, di cui già da tempo Casini vede a rischio l’unità. Cosa farebbero infatti i Fassina, i D’Alema, la Cgil e le rispettive aree politico-culturali? Potrebbero turarsi il naso e votare Renzi? Tenderei ad escluderlo. Oggi Il Fatto quotidiano spiega che a quel punto D’Alema darebbe vita a un nuovo partito di sinistra (d’altra parte non è mai stato un convinto democrat), destinato a federare Sel e gli altri gruppi dissidenti. Seppellito dunque l’esperimento generoso (un po’ troppo, forse) del Pd, si aprirebbe la strada per uno slittamento massiccio di voti e una ricomposizione del centro, in cui il giovane Renzi avrebbe un ruolo da sicuro protagonista, si troverebbe Casini, Montezemolo e alcuni spezzoni del Pdl come compagni di strada, e Monti come padre nobile e nume ispiratore del futuro governo, sostenuto anche dai superstiti del Berlusconismo, se non già calamitati dall’alleanza con la Lega.
Insomma, una rivoluzione copernicana, con la spaccatura della sinistra e una sua probabile periferizzazione.
SE INVECE VINCE BERSANI: LE TANTE INCOGNITE
La vittoria di Bersani invece impedirebbe tutto questo, terrebbe insieme l’attuale quadro politico e manterrebbe il consenso degli elettori (o almeno quello che ne rimane, vista la sfiducia dilagante nei partiti) più o meno entro gli alvei tradizionali. Non per questo, comunque, le cose andrebbero lisce: anche ammesso che la coalizione di sinistra, attualmente accreditata del 35% dei consensi, riuscisse a confermarsi vittoriosa (ma solo tenendosi l’attuale Porcellum, che le assicurerebbe la maggioranza in Parlamento) potrebbe aspirare a governare il paese da sola? E Bersani ce la farebbe a tenere insieme, nell’azione di governo, in particolare sulle politiche del lavoro o sui diritti civili, Vendola e Renzi, o Fioroni? E come reagirebbero l’Europa e i mercati di fronte a un accantonamento dell’agenda Monti? E non parliamo nemmeno di cosa accadrebbe invece nel caso di una vittoria dimezzata del centrosinistra, senza una maggioranza parlamentare e quindi con la necessità di allearsi con Casini…
Tutte domande alle quali, lo confesso, non trovo risposte convincenti da nessuna parte.