IL NOBEL A MO YAN, L’UOMO CHE TACE: ANCHE SUL DISSENSO IN CINA?

moyan.jpgNon capita tutti i giorni di conoscere un Premio Nobel: proprio lui, non i suoi libri voglio dire. A me è capitato il 29 gennaio del 2005, quando Mo Yan (che sappiamo essere tra l’altro l’autore di “Sorgo rosso”, da cui è tratto l’omonimo film) vinse il Premio Nonino, a Percoto (un riconoscimento, tra l’altro, che è sempre una fucina di Nobel: anche Transtromer, vincitore del 2011, è stato premiato prima a Percoto).

Intervistando Mo Yan ne ho riportato, per la verità, un’impressione di freddezza e lontananza, non usuale in quella occasione, in cui si “scioglie” persino un altro Nobel particolarmente “sostenuto” come Naipaul, sempre presente a Percoto in quanto membro della giuria.

Mo Yan tende ad essere piuttosto elusivo, soprattutto sui temi più delicati come il dissenso. D’altra parte il suo nome, che è in realtà uno pseudonimo (si chiama Guan Moye), in cinese classico significa “non parlare”. Chissà se manterrà la consegna anche stavolta: la sedia vuota di Liu Xiaobo Nobelpacejpg.jpgalla consegna del Nobel per la Pace del 2010, pretenderebbe una presa di posizione: a meno che la scelta dell’Accademia svedese non sia essa stessa una risposta, ma non quella – forte e coraggiosa – che tutti vorremmo sentire.

Segue l’intervista e un brano della “autofiction” di Mo Yan, edita in Italia da Nottetempo.

29 GENNAIO 2005: MO YAN VINCE IL PREMIO NONINO
Percoto (Ud)
Guardi Mo Yan, con vestito elegante e sgargiante cravatta, placido e inaccessibile mentre aspetta le domande di rito in un angolo della distilleria che ribolle di rumori e di umori, e ti chiedi cosa penserà la sua antica saggezza cinese di questo occidente indeciso e sbracato, che conquista il mondo e perde se stesso. Ma al tempo stesso ti vengono in mente le immagini televisive di torme di ragazzini cinesi fanatici di musica techno, reality show, Coca Cola e McDonald, e ti chiedi quanto ci metteranno a smantellare fin dalle fondamenta quella antica saggezza, e poi dimenticarsene per sempre. E proprio da qui iniziamo la nostra intervista.
 
“NELLA CINA ODIERNA RISCHIAMO DI PERDERE LE NOSTRE TRADIZIONI”
«Certo, c’è fra i giovani cinesi una grande ammirazione per l’occidente e gli Stati Uniti, per l’abbigliamento, la musica, il cibo. Per le persone di cultura questo non è positivo. Anche nella globalizzazione ognuno dovrebbe cercare di mantenere le proprie caratteristiche nazionali. Noi stessi, scrittori, dovremmo scrivere opere ispirate alla nostra cultura popolare, e i cineasti rispecchiare la nostra realtà e così via.»
Ma pensa che possano coesistere la salvaguardia delle tradizioni e la modernizzazione economica?
«Io penso che siano due cose contrapposte. Gli intellettuali cinesi sono consapevoli che lo sviluppo economico mette in pericolo la conservazione delle culture originarie».
Aprendosi al mondo, che cosa si porta dietro di irriducibile la grande tradizione cinese?
«C’è una diversità profonda nella nostra cultura: il modo stesso in cui la gente riflette sui problemi della vita, la visione della famiglia, gli stessi concetti di felicità e di ricchezza e povertà».
A questo proposito: cos’è rimasto in Cina del comunismo?
«È una cosa che ormai non ha più nessun senso, anche nella concezione popolare».
 
“PASSI AVANTI SUI DIRITTI CIVILI, MA C’E’ ANCORA TANTO DA FARE”
E i diritti civili, in particolare la libertà di espressione?
«Da questo punto di vista abbiamo fatto degli enormi passi avanti, anche se non c’è paragone col livello di libertà che avete in Italia. Ad esempio i principali giornali sono sotto il controllo delle autorità, e quindi se gli intellettuali possono parlare, hanno difficoltà a pubblicare le loro considerazioni critiche».
 Ritiene che lo scrittore debba avere un impegno diretto nella vita sociale e civile?
«In generale oggi gli scrittori e gli intellettuali cinesi devono cercare di avere una mentalità indipendente e autonoma, e la capacità di esprimere opinioni diverse. E inoltre difendere gli interessi del popolo, e schierarsi dalla sua parte per ampliare i diritti».
Sergio Frigo (dal Gazzettino del 30/I/05)
 
DA “CAMBIAMENTI” Ed. Nottetempo
di Mo Yan
 
 
 Fin da piccolo sono sempre stato un povero infelice, un disgraziato a cui le furbizie si ritorcono sempre contro. Persino i tentativi di ingraziarmi i maestri venivano presi come macchinazioni ai loro danni. Piú di una volta, mia madre mi aveva detto sospirando: “Figlio mio! Sei come il gufo che annuncia buone nuove, per quanto si forzi non gli crederanno mai!” Proprio cosí, non c’era verso che nominassero me e una buona azione nella stessa frase, ma se si trattava di una bricconata allora il responsabile dovevo essere io. Chiunque abbia pensato che agivo per spirito di contraddizione, che ero privo di senso morale, che odiavo la scuola e tutti gli insegnanti, mi ha clamorosamente frainteso. In verità, per la mia scuola io provavo un attaccamento profondo, e al nostro maestro Liu Bocca Larga riservavo un sentimento ancor piú speciale. Perché anch’io avevo una bocca enorme.
IL NOBEL A MO YAN, L’UOMO CHE TACE: ANCHE SUL DISSENSO IN CINA?ultima modifica: 2012-10-11T15:58:13+02:00da sergiofrigo
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