LA SHOAH E NOI: COME CI SAREMMO COMPORTATI?

Auschwitz.jpegLa domanda che più mi inquieta, in merito alla Shoah, non riguarda tanto le radici prime e ultime del male, che come ci hanno mostrato numerosi pensatori a partire da Hannah Arendt sono a volte di una banalità sconcertante, ma come mi sarei comportato io in quel contesto, soprattutto se fossi stato un tedesco? Avrei saputo, per citare Vittorio Arrigoni, almeno rimanere umano? Oppure nella nostra umanità è compresa anche una quota inderogabile di malvagità? O invece sarei riuscito ad essere “giusto”, uno di coloro che decisero di mettere a rischio la loro posizione, se non addirittura la loro stessa vita, per salvare altri esseri umani? E cosa avrebbe determinato la mia scelta? Il carattere personale oppure il contesto familiare, le letture o le amicizie?

A me disturba molto, francamente, non riuscire a darmi una risposta certa. Né mi aiuta leggere come si sono comportati in quel momento la gran parte dei nostri padri e dei nostri nonni, normali cittadini per bene.


DUE LIBRI SCOMODI SUL FASCISMO E LA SHOAH NEL VENETO

Due libri usciti di recente non lasciano molti margini all’interpretazione: parlo, per restare dalle parti di Padova, di “Nessun giusto per Eva” di Francesco Selmin (Ed. Cierre, € 12.50) e di “Una città nel regime fascista” di Chiara Saonara fascismoPd.jpeg(Ed. Marsilio, € 42). Il secondo racconta come il regime sia riuscito, dopo la fase terroristica iniziale, a permeare della sua ideologia totalitaria la vita quotidiana, le istituzioni, i comportamenti e le stesse teste delle persone. Ma è il primo libro che – ricostruendo con accuratezza e sobria compassione le vicende della settantina di internati nel campo di concentramento di Villa Contarini Venier, a Vo’ nei colli Euganei – ci mette di fronte alle verità più scomode, soprattutto all’indifferenza con cui la Selmin.jpgpopolazione voltò la testa dall’altra parte, finse di non vedere, in ultima istanza, se non collaborò almeno lasciò fare.

LE RAGIONI DELL’INDIFFERENZA

Ferdinando Camon, nel recensire il libro, ha cercato le ragioni di tutto questo, individuandone almeno un paio: la prima rimanda al desiderio meschino ma molto umano di mettere le mani sui beni (o sulle carriere, in altri contesti) degli ebrei imprigionati, una delle motivazioni evidenziate anche da Antonia Arslan per il genocidio armeno ne “La strada di Smirne”. La seconda ragione è forse più complessa, e si basa invece sull’incapacità della nostra cultura, che si sente superiore, di accettare le altrui diversità (religiose, culturali, etniche etc), compresa quella di cui sono portatori gli ebrei.

LA RECENSIONE DI FERDINANDO CAMON

 Ecco un brano della recensione:

“I quasi cento ebrei, rastrellati a varie riprese a Padova e nel padovano, e prima riuniti nella villa Contarini Venier a Vo’, hanno avuto poca o nessuna comprensione da parte della popolazione che pure aveva spartito la vita con loro. L’immensa catastrofe si è svolta senza che le coscienze dei vicini ne vedessero l’ingiustificabilità.

Ho letto in passato, in un’altra fonte, che il parroco di Vo’, che ha prestato aiuto a queste vittime, alla loro domanda: “Ma cosa vogliono da noi?”, rispose con non stupida chiarezza: “Vogliono i vostri beni”. È una spiegazione marxiana: i beni, i soldi, gli ori, le case. Ma c’è anche una spiegazione freudiana. Col passar dei secoli gli ebrei venivan sentiti come irrimediabilmente “altri”, cioè nemici, e poiché si era in guerra, venivan trattati come nemici interni, perciò pericolosi, da eliminare. Chiamatela, se volete, spiegazione nicciana. Ma questo spiega il rapporto tedeschi-ebrei. E gli italiani? Noi cercavamo una terza posizione, che non c’era.

Gestito dai fascisti, il campo di concentramento di Vo’ non era un lager tedesco (com’era per esempio la Risiera di San Sabba a Trieste), non era un “mulino da ossa”, costruito per frantumare l’essere umano. Ma la ricerca di una terza posizione (per cui Vo’ ebbe anche un comandante “buono”), poiché lo spazio per una terza posizione non c’era, finisce per diventare collaborazionista, e cioè non evita il male, ma lo lascia accadere.

Sapevano, i nostri padri, il crimine che si compiva sotto i loro sguardi e con la loro, inerte o attiva, collaborazione? No, ma questo non li assolve. Allora come ora. Noi, euro-cristiani, non sappiamo riconoscere gli altri come uguali a noi. Né gli altri lontani (gli indigeni d’America, dopo Colombo), né gli altri colonizzati (che gasavamo o impiccavamo con crudele indifferenza), né gli altri in casa nostra, gli stranieri che arrivano ogni notte, morendo a decine.

Scambiamo la nostra superiorità tecnica ed economica per una superiorità umana. Gli altri sono diversi di pelle lingua costumi morale religione, e questa diversità noi la traduciamo in diversità di diritti. Non sono come noi, perciò non possono avere i nostri stessi diritti”.

Come si vede sono discorsi che, anche a settant’anni dalla Shoah, hanno ritrovato piena cittadinanza dalle nostre parti.

LA SHOAH E NOI: COME CI SAREMMO COMPORTATI?ultima modifica: 2012-01-27T16:36:00+01:00da sergiofrigo
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