IL DOPO ELEZIONI E LA FINE DEL RAMPANTISMO DEGLI ANNI ’80: ANCHE DE RITA NE E’ CONVINTO

Dopo le elezioni Michele Serra e Massimo Gramellini (si veda il mio post di martedì) hanno sostenuto che l’esito favorevole al centro-sinistra e devastante per Berlusconi segna la fine degli anni ’80, il periodo rampante della soggettività e dell’individualismo. Giovedì De Rita ha rilanciato la questione, sulle pagine della Stampa, nell’intervista che vi propongo.

Prendo atto, ho qualche perplessità, ma spero proprio che abbiano ragione. È possibile in effetti che la gente cominci a trovare improponibile di questi tempi l’ottimismo a 64 denti (tutti acuminati) di Berlusconi, che tende a spacciare per successi di tutti quelli che sono solo i suoi interessi privati; e magari si stanno anche rivelando insostenibili i costi sociali (finora sempre rimasti nascosti) dell’individualismo spinto che caratterizza la nostra epoca, per primo la solitudine determinata dalla frammentazione delle relazioni sociali.

Pisapiavinc.jpgDa questo punto di vista lo slogan di Pisapia “Una città accogliente, una città affettuosa”, messo in pratica con la sua assidua frequentazione della periferie durante la campagna elettorale, potrebbe rivelarsi la parola d’ordine vincente.

La Stampa, 2 giugno


DE RITA: È FINITO IL CICLO POLITICO DEL “TUTTO È MIO”

di Martini Fabio

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Ha raccontato, talora con grande anticipo, i cambiamenti dell’Italia degli ultimi 40 anni, ha coniato neologisimi diventati proverbiali e ora Giuseppe De Rita fa una nuova previsione: «Il berlusconismo avrà una coda, ma è destinato ad esaurirsi perché sta finendo qualcosa che precede Berlusconi: il ciclo individualista del “tutto è mio”. La soggettività è stata la regina degli ultimi decenni, ma sta finendo e dunque i suoi interpreti, dopo averne tratto i benefici, sono destinati a cadere». Romano, classe 1932, fondatore del Censis, il primo centro di studi sociali di carattere privato, De Rita da «fenomenologo» quale si definisce, tende a non prender parte, ma le sue analisi sulla struttura sociale hanno sempre avuto un’implicazione politica.

 

Milano e Napoli sono città socialmente e psicologicamente distanti: il risultato convergente dice che sta cambiando qualcosa di profondo nel Paese o più semplicemente c’è un rigetto verso un leader stanco? «Da alcuni anni sembra essere entrato in scadenza il ciclo della soggettività ad oltranza. Il ciclo del “tutto è mio”: il partito è mio, la moglie è mia, la vita è mia, la morte è mia. L’onda era già bella gonfia dagli anni Settanta e Berlusconi l’ha cavalcata in modo, forse anche sincero. Quando disse: sono uno di voi, sono un piccolo imprenditore, sono uno che va a lavorare la mattina».

 

Un ciclo lungo che ha avuto una sua vitalità… «La soggettività – nata nell’Italia della censura con l’obiezione di coscienza di don Milani – è stata grande, perché ci ha liberato e ha liberato tante cose: l’energia della piccola impresa, i consumi, il sommerso. Ma ora il declino di Berlusconi fa da icona alla fine di quel lungo ciclo».

 

Ci sono i cicli, ma sembra non funzionare più il leader ansiolitico che cerca di tenere alto l’umore del Paese con promesse inevase… «Sì, c’è anche un declino più personalizzato, legato alla sua stanchezza, alla scarsa lucidità, ai suoi nervosismi contro i giudici. Questo ha prodotto la sua improvvisa incapacità di comunicare. L’immagine di Berlusconi con Obama hanno fatto il giro del mondo. E’ chiaro che se lui fosse stato ancora in Publitalia, non sarebbe andato da un potenziale acquirente dei suoi prodotti, mettendo una mano sulla spalla del suo interlocutore. Semmai gli avrebbe fatto una riverenza». Ma la personalizzazione le pare in esaurimento? «La personalizzazione su De Magi-stris, ma anche su Pisapia, è totale. Vendola e Renzi continueranno ad insistere. Da questo punto di vista il ciclo berlusconiano sembra proseguire. Ma quanto durerà? Sul livello comunale è molto probabile, ma a livello generale non si ripeteranno i duelli rusticani di questi anni».

 

Segni palpabili di un cambiamento cosi profondo? «L’ inizio di un ritorno alla logica politica tradizionale, al partito. Fino a due settimane fa si ripeteva: chi, come la Lega, sta sul territorio e fa il sindacato di territorio vince. Non è andata così. Non so se sia vero – come dice Enrico Letta – che il Pd ha vinto quasi ovunque, ma certamente l’etichetta partitica nazionale ha avuto proporzionalmente più effetto dell’etichetta territoriale».

 

Ma la credibilità dei partiti sembra ancora bassissima, o no? «Certo, la forma partito è molto screditata, impiccata sul nome del capo. Con partiti personali che sono corti più o meno servili. Ma la solitudine è la malattia di questo Paese e presto, non potendo più confidare sulle proprie forze e sul “tutto è mio”, si dovrà trovare un nuovo modo per stare assieme agli altri, siano essi gli immigrati o i condomini del tuo palazzo. Le associazioni di categoria si stanno già riunificando tutte, con un’aggregazione molto forte verso il collettivo. Torneremo alle parrocchie e alle sezioni di partito? Presumibilmente no, ma se andremo verso una nuova dimensione comunitaria – locale, di prossimità, professionale, di Facebook – la leadership sarà di un gruppo presuntivamente partitico. Ci saranno sempre più squadre e sempre meno soggettività emotiva. Certo, le elezioni dei 2013 le darei per perse: si gestiranno le code precedenti. Personalizzazione, partiti-personali. E peserà anche la coda del berlusconismo».

 

 

IL DOPO ELEZIONI E LA FINE DEL RAMPANTISMO DEGLI ANNI ’80: ANCHE DE RITA NE E’ CONVINTOultima modifica: 2011-06-04T00:05:00+02:00da sergiofrigo
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