Così il Padiglione si rivela una perfetta rappresentazione dell’Italia odierna, più ancora che nelle opere esposte, nella ricostruzione della mappa delle relazioni che esse rivelano, un intreccio di amicizie, raccomandazioni, conflitti d’interesse che coinvolgono in maniera bipartisan intellettuali amici e accesi anti-berlusconiani, ognuno con famiglia, prole o amante da valorizzare.
UNA DICHIARAZIONE DI RESA E UNA SFIDA TEMERARIA
Il Padiglione è anche, al tempo stesso, una dichiarazione di resa e una sfida temeraria: la presa d’atto che non è possibile definire cosa sia arte contemporanea oggi in Italia («e se non posso farlo io, non possono farlo neppure i miei critici», è la tacita convinzione del curatore), ma anche la scommessa che dalla selezione casuale affidata ai 200 intellettuali, quindi dal caos creativo, possa emergere tutto il meglio della produzione artistica italiana recente.
Così nel suo padiglione, che ieri pomeriggio ha lui stesso informalmente e tumultuosamente presentato alla stampa, coesistono la connivenza e la contestazione, il banale e l’originale, il triviale e il sublime. Come i ritratti dello stesso Sgarbi e di Berlusconi, di Weiner Vaccari, posizionati maliziosamente accanto a una foto di Donata Pizzi (“il fine del mondo”) che cita la scandalosa “Origine del mondo” di Courbet; come la parete «brutta e istituzionale» (Sgarbi dixit) con Giosetta Fioroni e Tobia Ravà, e la straordinaria “Italia in croce” di Gaetano Pesce
Il risultato è irritante e affascinante al tempo stesso, come in un bazar dove c’è di tutto, alla rinfusa e senza criteri riconoscibili, ma dove se hai pazienza e fortuna, puoi trovare piccoli tesori. Proprio come nel nostro confuso Paese.