IL PADIGIONE DI SGARBI ALLA BIENNALE: L’ITALIA DIETRO LE QUINTE, DOVE ANCHE I DURI E PURI “TENGONO FAMIGLIA”

Wojtyla.jpgDev’essere stato rovente, il telefono di Vittorio Sgarbi, da quando ha avuto l’incarico di curare la partecipazione italiana alla Biennale. Telefonate da amici, per segnalare questo o quell’artista, ma anche da nemici dichiarati, che in pubblico dicono peste e corna del Premier e del suo consigliere artistico, ma in privato gli chiedono favori: dal vecchio politologo che ha l’amica da piazzare, all’artista che si autopropone, al noto intellettuale engagè col nipote aspirante pittore: si va da Furio Colombo a Vanessa Beecroft, da Oliviero Rainaldi (l’autore della contestata statua a Wojtyla)  a Chia e Cucchi, che prima nicchiano ma poi accorrono, quando Sgarbi garantisce loro una mostra personale.

Così il Padiglione si rivela una perfetta rappresentazione dell’Italia odierna, più ancora che nelle opere esposte, nella ricostruzione della mappa delle relazioni che esse rivelano, un intreccio di amicizie, raccomandazioni, conflitti d’interesse che coinvolgono in maniera bipartisan intellettuali amici e accesi anti-berlusconiani, ognuno con famiglia, prole o amante da valorizzare.


UNA DICHIARAZIONE DI RESA E UNA SFIDA TEMERARIA
 Il Padiglione è anche, al tempo stesso, una dichiarazione di resa e una sfida temeraria: la presa d’atto che non è possibile definire cosa sia arte contemporanea oggi in Italia («e se non posso farlo io, non possono farlo neppure i miei critici», è la tacita convinzione del curatore), ma anche la scommessa che dalla selezione casuale affidata ai 200 intellettuali, quindi dal caos creativo, possa emergere tutto il meglio della produzione artistica italiana recente.
Così nel suo padiglione, che ieri pomeriggio ha lui stesso informalmente e tumultuosamente presentato alla stampa, coesistono la connivenza e la contestazione, il banale e l’originale, il triviale e il sublime. Come i ritratti dello stesso Sgarbi e di Berlusconi, di Weiner Vaccari, posizionati maliziosamente accanto a una foto di Donata Pizzi (“il fine del mondo”) che cita la scandalosa “Origine del mondo” di Courbet; come la parete «brutta e istituzionale» (Sgarbi dixit) con Giosetta Fioroni e Tobia Ravà, e la straordinaria “Italia in croce” di Gaetano Pesce Pesce.jpeg; come gli stralunati quadri del veronese Raimondo Lorenzetti («il nuovo Ligabue») e gli ironici Patroni d’Italia ribelli di Paolo Consorti (segnalati da Melograni) con Elio-San Francesco che il 3 si materializzerà nel Padiglione. Per non dire dell’inquietante Museo della mafia trasferito a Venezia da Salemi.

Il risultato è irritante e affascinante al tempo stesso, come in un bazar dove c’è di tutto, alla rinfusa e senza criteri riconoscibili, ma dove se hai pazienza e fortuna, puoi trovare piccoli tesori. Proprio come nel nostro confuso Paese.

 

IL PADIGIONE DI SGARBI ALLA BIENNALE: L’ITALIA DIETRO LE QUINTE, DOVE ANCHE I DURI E PURI “TENGONO FAMIGLIA”ultima modifica: 2011-06-01T03:09:35+02:00da sergiofrigo
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