LE VERITÀ DI MARCHIONNE, LA PERDITA DI COMPETITIVITÀ E L’IMPOVERIMENTO DELL’OCCIDENTE

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Non sono un cerchiobottista, lo sapete, ma credo che stavolta sia doveroso analizzare il discorso di Marchionne da Fazio al di fuori dello schema “ha ragione – non ha ragione” su cui si sono dislocati tutti i commenti, anche dei politici. Non che le numerose osservazioni in proposito venute dalle varie parti (magari tagliando trasversalmente i partiti) siano sbagliate, comprese quelle che ricordano che la Fiat non sarebbe quello che è senza i copiosi aiuti arrivati a più riprese dallo Stato in passato, quelle che sospettano che dietro le parole del manager ci sia un tentativo di tirare la corda nella trattativa col sindacato e col governo, quelle che ci vedono un tassello dell’eterna lotta di classe che oppone il capitale (sempre più aggressivo) al lavoro (sempre più indebolito); e ci stanno pure i rilievi per i suoi compensi stratosferici, a fronte degli scarsi redditi dei lavoratori, e le polemiche per la mancata riammissione in fabbrica dei tre operai di Melfi (a proposito del rispetto delle leggi), su cui Fazio avrebbe potuto spendere qualche domanda.

Il fatto è però che anche dando per buone tutte queste critiche, rimane sul tavolo un nocciolo duro di verità che mi pare non si riesca a scalfire né a rimuovere: e si tratta del fatto che – indipendentemente dalle colpe e dalle responsabilità – il sistema-Italia (e buona parte dell’Europa) sta drammaticamente perdendo tutte le sfide con la concorrenza internazionale sul costo del lavoro e sulla competitività. E che, di conseguenza, stiamo perdendo forza nel mondo e siamo destinati a impoverirci (in parte sta già avvenendo).

Tutto questo non riguarda solo il lavoro e la sua remunerazione, ma anche il welfare, la cultura, e in Italia sciaguratamente anche la formazione e la ricerca: gli Stati gravati dai debiti pubblici e impossibilitati a trovare ulteriori risorse nella società non riescono più a garantirli, e tagliano, tagliano, tagliano.

Cosa ci sta dicendo dunque in sostanza il manager globale Marchionne, magari con una rozzezza a cui non siamo abituati? Che per tornare competitivi e conservarci un futuro di relativo benessere dobbiamo o aumentare la produttività (anche al prezzo di peggiorare le condizioni di lavoro) oppure diminuire i costi, compreso quello del lavoro. Meglio entrambe le cose. A queste condizioni, e a fronte di una seria politica di sviluppo da parte del governo, la Fiat farebbe (speriamo!) la sua parte con nuovi investimenti. Un ricatto? Oppure uno scambio equo?

 

UN DRAMMATICO DILEMMA

Mi sembra innegabile che questo sia il drammatico dilemma a cui si trova davanti da tempo tutto l’Occidente, di fronte all’incontro fra globalizzazione e crisi economica: rinunciare a una parte consistente delle nostre conquiste sindacali, oppure buttare alle ortiche il nostro sistema industriale (e non solo). Ci sarebbe una terza via, quella della decrescita controllata e di un nuovo modello di vita, ma non mi pare che rientri nell’orizzonte di Marchionne, e neppure di gran parte dei nostri connazionali.

Marchionne dunque fa la sua sgradevole parte, quella del manager che deve salvaguardare l’azienda, il lavoro e i profitti dei suoi azionisti (e anche il suo); i sindacati fanno pure la loro parte, difendendo (seppure con diverse modalità e ambizioni) i diritti acquisiti dei lavoratori, e il loro stesso ruolo; i politici ricordano giustamente all’azienda i “debiti pregressi”, e promettono agli italiani che faranno il possibile per non farli “morire cinesi”; gli elettori infine  premiano le forze politiche che promettono meno sacrifici, protezionismo e chiusura delle frontiere; nel frattempo però i non garantiti (i giovani e gli immigrati in particolare) stanno già pagando pesantemente, con la precarizzazione massiccia del lavoro e la perdita verticale di introiti e sicurezze.

COSA SERVIREBBE PER USCIRNE

Il problema è che oggi non basta più che ognuno faccia la propria parte, le questioni sul tappeto richiedono, per farcela, che ognuno vada un po’ più in là dei propri compiti, si faccia carico di scelte e di responsabilità che in altri momenti non gli sarebbero state richieste.

Purtroppo non c’è attualmente in Italia – in nessun ambito – questa capacità di “andare oltre”, perché una parte dei padroni chiede sacrifici ai dipendenti per conservare o aumentare le proprie rendite, i dipendenti lo sanno e non vogliono cedere neppure un’unghia del poco che hanno strappato fin qui, il governo è in tutt’altre faccende affaccendato, e sa benissimo come dividere il paese, ma certo non promuovere una situazione di coesione e fiducia che sarebbe necessaria per affrontare questo difficile passaggio (in Germania pare che ci stiano riuscendo).

Bisognerebbe fare presto, perché ci vorranno decenni perché i vasi comunicanti del mercato globale portino anche in Cina, in Sud America e negli altri paesi emergenti salari più equi e condizioni di lavoro migliori, e quindi un aumento dei costi di produzione. Mentre per peggiorare le nostre condizioni generali di vita e indebolire irreparabilmente il nostro sistema produttivo bastano mesi.

Abbiamo per fortuna ancora notevoli riserve accumulate: ma chi detiene le chiavi di queste ricchezze si illude se pensa di potersele godere tranquillamente e in solitudine, magari continuando ad arricchirsi, mentre i vicini poveri lo stanno a guardare dalla finestra senza reagire.

 

 

LE VERITÀ DI MARCHIONNE, LA PERDITA DI COMPETITIVITÀ E L’IMPOVERIMENTO DELL’OCCIDENTEultima modifica: 2010-11-01T01:10:00+01:00da sergiofrigo
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