Confesso che scrivendo il mio post, ieri, sono stato tentato anch’io di mettere la parola uomo fra virgolette, parlando di lui. Poi ho pensato che se noi cediamo alla tentazione di “disumanizzare” il Misseri, non riusciamo a capire nulla della natura umana, e neppure della nostra storia. L’Uomo con i suoi gesti sublimi, con il suo altruismo generoso, con la capacità di creare meraviglie di pensiero, di arte, di bontà, è anche l’uomo che ha concepito l’Olocausto, le pulizie etniche, le torture gratuite, il sadismo individuale e collettivo. E, attenzione, non è che il bene e i male siano suddivisi nettamente fra le persone, in modo che sia possibile separare a priori i buoni dai cattivi. No, no, quasi sempre convivono, e si manifestano in un modo o nell’altro a seconda delle circostante, della consapevolezza dei soggetti, della loro formazione, delle persone che hanno avuto la fortuna o sfortuna di frequentare. Sul Misseri tutti, familiari compresi, avrebbero messo la mano sul fuoco. La giovane americana torturatrice di Abu Graib se fosse rimasta a casa sua a fare la parrucchiera, forse sarebbe stata una buona madre, una buona moglie, una buona cittadina per tutta la vita… Il nostro disagio di fronte a questo evento – l’uccisione ma soprattutto lo stupro della ragazzina dopo la morte – è insuperabile perché rivela tutto questo (e in questo la notizia è un’”epifania”, e dunque a mio parere non da nascondere), e ci mette come Uomini prima (e maschi poi) di fronte a un altro “io” che non vogliamo riconoscere come tale.
LE CONSEGUENZA DELLA DISUMANIZZAZIONE DELL’ALTRO
Ma sapete quando si manifesta il Male, prevalentemente? Proprio quando l’altro viene “disumanizzato”, cioè quando siamo incapaci di vedere in lui lo specchio di noi stessi, di sentire la sua umanità e di cogliere la sua sofferenza come patrimonio anche di noi stessi: allora è possibile deportare, stuprare, uccidere, discriminare, banalmente andare in giro per i treni a disinfettare i posti dove si sono sedute delle prostitute di colore, oppure frequentare un locale dalle nostre parti, per ridacchiare e mangiare tartine usando il corpo nudo di una ragazza come vassoio. Se l’altro è inferiore a noi, ci sentiamo legittimati a fargli qualsiasi cosa. Anche, altrettanto banalmente, fare una bella trasmissione televisiva sulle sue disgrazie, o scriverci su un bell’articolo. Ma fa tutto parte delle contraddizioni insite nell’essere uomini, e uomini di questo tempo.
Per tutti questi motivi bisogna che ognuno carichi sulle proprie spalle il suo fardello piccolo o grande di responsabilità, unico antidoto alla disumanizzazione dell’altro.
LE COLPE DELLA TV, E DEI TELESPETTATORI
Ad esempio, è stata criticata duramente la Sciarelli con la sua trasmissione, che ha dato in diretta la notizia della morte di Sarah alla madre. Non ho visto la trasmissione ma ho seguito l’intervista della Sciarelli ieri sera al Tg7: era chiaramente nella posizione in cui l’etica professionale confligge con quella personale, un dilemma che non è facile risolvere nel silenzio della propria coscienza, figurarsi in diretta davanti a milioni di spettatori. Ma di questi milioni, che si sono goduti la trasmissione sorseggiando un amaro sul divano di casa, non diciamo nulla? (A scanso di equivoci, io queste trasmissioni non le guardo, ma se l’altra sera mi fosse capitata l’occasione credo che l’avrei fatto, magari poi vergognandomene).
PENA DI MORTE?
E comunque: se uno è credente, mi dispiace, ma dare la morte a un altro uomo non è consentito: la religione prevede anche per il peggiore degli uomini la possibilità di redenzione fino all’ultimo istante della sua vita (vedi il ladrone sulla croce). Se invece uno non è credente deve invece augurarsi che il Misseri sconti fino in fondo la sua pena, anche essere certi non tenti di suicidarsi: deve vivere in carcere, portando per tutta la vita sulle spalle il peso di quello che ha fatto.