E SE NON ARRIVA IL FEDERALISMO? “Questi sono solo brandelli di autonomia. Ci vuole il comunitarismo”. INCHIESTA/6 (fine) Davide Lovat

Padania.jpgAnche se Calderoli annuncia un’accelerazione sui decreti per il federalismo, non si attenua nella dirigenza leghista il timore che quello che si sta realizzando sia un processo in tono minore, poco più un’etichetta di facciata appiccicata a misure di scarsa incidenza. Senza contare che gli ostacoli, soprattutto all’interno del Pdl, sono tutt’altro che rimossi, come testimonia l’attivismo di Fini.

Inquietudini espresse – nell’ultima puntata di questa inchiesta che ha interpellato intellettuali come Luca Ricolfi, Francesco Jori, Ferdinando Camon, Ilvo Diamanti, e l’assessore leghista della Provincia di Treviso Marzio Favero – da un altro intellettuale leghista, il vicentino Davide Lovat, responsabile degli enti locali del Carroccio berico e animatore del sito L’Altra Campana, fautore di un comunitarismo di ispirazione cristiana che rappresenta una delle diverse anime (non maggioritaria, mi sembra) del leghismo (o forse si potrebbe dire meglio il contrario, che il leghismo è una delle anime del comunitarismo). Anche le sue posizioni risultano piuttosto originali, nell’ambito dell’asfittico dibattito in corso su questi temi, che in genere si limita ad un arido conteggio fra il dare e l’avere delle diverse regioni del paese.

 

 

“FEDERALISMO QUESTO? SOLO PROPAGANDA”

Alla domanda che dà il titolo a questa inchiesta (“E se non arriva il federalismo?”) la risposta di Lovat è tranchant, davidelovat1[1].jpgoltre che del tutto disincantata: “Se parliamo di vero federalismo oggi sappiamo che non ci sono le condizioni per realizzarlo: più che le difficoltà economiche a bloccarlo ci sono troppe forze contrarie, a livello nazionale e anche dentro alla maggioranza: è chiaro a tutti che il Pdl si è accordato con la Lega, promettendole il federalismo, solo per averne i voti e vincere le elezioni al Nord, e quindi conquistare il governo: quanto poi a rispettare gli accordi, è tutto da vedere”.

E la Lega perché ci sta, allora?

“La Lega sta al governo per portare a casa brandelli di autonomia, come il federalismo a geometria variabile, che è in realtà soprattutto uno slogan propagandistico, in cui ogni regione contratta di volta in volta con il centro quali competenze può portarsi a casa. Il “vero federalismo” però è altra cosa, e richiederebbe non una semplice legge ordinaria, ma una vera e propria assemblea costituente, e un dibattito che investa l’intero paese. D’altra parte la Lega ha scelto di agire per via democratica, e di stare al governo anche ingoiando parecchi rospi per ottenere qualche risultato. Ma c’è anche un’altra strada per portare a casa il federalismo…”

E cioè quale?

“Penso a un’operazione culturale, a quel “leghismo senza Lega” di cui parlava Jori in queste interviste: si tratta di diffondere quei valori a monte della politica che si rifanno al pensiero comunitario, sempre più diffusi anche a livello europeo come reazione alla tendenza alla globalizzazione culturale che vuole omologare tutto, e ridurre l’essere umano a mero consumatore: a quel primato dell’economia sulla politica, per chiarirsi, che è uno dei mali dell’Occidente”.

I PERICOLI DI UN LEGHISMO SENZA LEGA E L’ALTERNATIVA DEL COMUNITARISMO

Jori però ne parlava in termini meno entusiastici…

“Certo, il leghismo senza Lega – positivo se permette di sviluppare certe idee fuori dai bizantinismi della politica – diventa pericoloso se viene meno una seria rappresentanza politica, strutturata e integrata nelle istituzioni come è la Lega Nord (che a scanso di equivoci bandisce nel suo statuto xenofobia e razzismo).  Se la Lega Nord domani implodesse la domanda politica del suo elettorato non guarderebbe certo alla sinistra (piuttosto i leghisti sopportano Berlusconi, pure detestandolo) ma rischierebbe di trovare approdi solo in formazioni che scimmiottano gli stereotipi del leghismo, oppure che seguono le forme deteriori del malcontento. Anche nel nostro interno, come si è visto nel recente caso di Breganze, ci sono leghisti dell’ultima ora che non frequentano la scuola politica interna ma vogliono essere più leghisti dei leghisti. Ma è per questo motivo che io promuovo invece un leghismo “buono”, per questo che cerco sponde e amicizie in ogni ambiente qualificato. Il leghismo è portatore di tanti valori meritevoli di sviluppo e di riflessione, ma la sua strumentalizzazione ad opera di persone ignoranti o senza scrupoli ne produce una caricatura pericolosa”.

Il “leghismo buono” sarebbe il comunitarismo di cui si parlava?

“Si, un modello di società alternativo a quello prodotto dall’omogenizzazione dell’offerta politica, all’americana, per capirsi, in cui due partiti – repubblicani e democratici, ma anche Pd e Pdl in Italia – sono semplicemente dei prodotti del capitalismo borghese che esprimono solo differenze minime. Noi invece abbiamo la presunzione di proporre un modello diverso, che sta nascendo dal basso, nei comuni, nelle città, nelle periferie dell’Europa, e che è ancorato al territorio e ai valori tipici della nostra storia”.

LE “PICCOLE PATRIE” DAVANTI ALLA SFIDA GLOBALE

Difficile però che le “piccole patrie”, spesso le une contro le altre armate, riescano a esprimere una politica e una cultura che siano all’altezza della complessità e della difficoltà delle sfide globali che ci stanno davanti…

“La soluzione è in un’Europa organizzata secondo il principio di sussidiarietà, che si tenga come competenza esclusiva la politica economica, gli esteri e la difesa, lasciando il resto – risorse comprese – alle periferie. Quanto alla cultura adeguata, bisognerebbe riconoscere che a costruire la civiltà europea è stata soprattutto la coscienza cristiana: e parlo della nostre radici, non di chi – anche fra i leghisti – vorrebbe utilizzare il crocifisso come una scimitarra. E invece assistiamo all’eterno conflitto fra il giusnaturalismo e un volontarismo di matrice razionalista che arriva al punto di relativizzare anche le leggi, che invece di rispondere a dei fondamenti assoluti si limitano ad esprimere di volta in volta le tendenze prevalenti in un dato momento nella società”.

IL FUTURO DELLA LEGA, FRA TROTE E SQUALI

Per tornare al futuro della Lega: non teme, come sostiene qualche analista, che di fronte alle difficoltà del federalismo essa potrebbe perdere molte adesioni?

“Il successo futuro della Lega Nord dipenderà molto da quanto l’elettorato settentrionale percepirà la regionalizzazione degli interessi dei partiti. Di fatto, oggi il PD è un partito appenninico (col cuore e la pancia in Emilia, col cervello purtroppo in Toscana, e con le viscere intestinali a Roma e Napoli); il PdL sta diventando sempre più il partito del Sud, soprattutto nelle aree ad alta concentrazione mafiosa. Se la gente del Nord capisce che oltre la propaganda ci sono gli interessi spiccioli e che la politica odierna è solo politichetta, voterà sempre di più il partito del Nord. Certo, bisognerà vedere cosa succederà quando Bossi si ritirerà dalla politica attiva, capire come si relazioneranno fra loro le diverse anime del movimento, come cresceranno politicamente i giovani. Non credo che basterà una “trota”, perché il carisma non si trasmette per via ereditaria, e una trota in mezzo agli squali viene mangiata non appena muove la coda. E la Lega è piena di squali, e anche di piranas…”

 

E SE NON ARRIVA IL FEDERALISMO? “Questi sono solo brandelli di autonomia. Ci vuole il comunitarismo”. INCHIESTA/6 (fine) Davide Lovatultima modifica: 2010-07-16T10:38:00+02:00da sergiofrigo
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