UNA SOCIETA’ CHE PENSA DI POTER FARE A MENO DELLA CULTURA

Domani al Maxxi, a Roma, si riunisce l’assemblea generale di Federculture, l’associazione che riunisce enti e gestori di cultura e spettacolo: il tema dei lavori è “Sostenere la cultura per rilanciare il Paese”, ma il problema centrale, che unisce amministratori di tutte le parti politiche, è una norma della finanziaria che obbliga le amministrazioni pubbliche a non spendere più del 20% di quanto investito nel 2009 “per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità”. In pratica un taglio dell’80% al budget di questo settore, che si aggiunge alla probabile riduzione di oltre il 50% dei finanziamenti agli istituti di cultura, che in prima battuta il Governo voleva addirittura eliminare del tutto.images-19.jpeg

Su questo tema ho scritto per l’ultimo numero di Nordesteuropa.it una riflessione in cui osservo che a questo attacco al primato e al ruolo della cultura corrisponde da parte degli addetti ai lavori una reazione meramente difensiva: invece che percorrere nuovi territori e tentare nuove strade si punta a convincere i decisori che la cultura “serve” e arricchisce la produzione e il territorio.


 

UNA SOCIETÀ SENZA CULTURA

 

 

 

A volte un singolo evento riesce a rendere finalmente evidenti dei fenomeni che si stanno in realtà imponendo da anni sottotraccia nella società. Gli eventi in questo caso sono due – il taglio dei contributi statali agli istituti culturali e l’invito ai giovani del governatore Zaia a rivalutare il lavoro manuale e a lasciar perdere le facoltà umanistiche – mentre il fenomeno consolidato ma finora poco manifesto è la fine del primato della cultura nella società italiana e nel senso comune della gente.zanzotto.jpg

Fino a tempi recenti lo studiare era considerato un imperativo categorico nelle nostre famiglie, più ancora per il prestigio sociale che esso garantiva che per le ricadute economiche del “pezzo di carta”, che pure per lungo tempo ci sono state, e piuttosto significative.

Certo è da tempo che il guadagno di un idraulico supera lo stipendio di un insegnante, e che sono più gli intellettuali che ricorrono agli aiuti della Legge Bacchelli di quelli che si arricchiscono. Il laureato ha continuato però a mantenere per un po’ il suo prestigio, e a godere di stima e apprezzamento nella collettività; e a livello politico persino i contributi degli umanisti erano considerati essenziali – ancorché non immediatamente “remunerativi” – per uno sviluppo armonioso della società.

INTELLETTUALI SEMPRE PIU’ AI MARGINI DEI PROCESSI DECISIONALI

Possiamo dire che è ancora così? Direi proprio di no. La cultura oggi “riconosciuta” è soltanto quella “tecnica”, che è utile a far funzionare le cose, oppure quella che contribuisce a rafforzare l’identità e il prestigio del territorio e della comunità locale, e quella che serve a divertire la gente. Un’impostazione presente soprattutto nella Lega: movimento che ha fatto dell’anti-intellettualismo uno dei suoi elementi simbolici portanti, che quando ha degli intellettuali nelle proprie file tende a mantenerli ai margini, oppure a promuoverli in virtù delle loro doti politiche piuttosto che di quelle culturali, e che è anzi promotore di un rovesciamento dei principali paradigmi culturali consolidati (la lettura della storia nazionale, ad esempio), privilegiando alla cultura dei libri la “cultura del fare”, quella materiale piuttosto che quella del pensiero. Il risultato – fino a questo momento almeno – è che i suoi intellettuali di riferimento (per i temi affrontati) le sono in realtà politicamente estranei e ostili: citiamo Andrea Zanzotto, per dire del più prestigioso.

Ma non è solo la Lega: c’è dell’anti-intellettualismo nella recente campagna pubblicitaria della Diesel “be stupid”; oppure nella polemica di Brunettaimages-20.jpegcontro gli appassionati della lirica; o ancora nella potatura indiscriminata dei finanziamenti agli enti culturali decisa da Tremonti, poi solo parzialmente rientrata.

Al di à delle affermazioni di principio – venute di recente anche dall’assessore regionale Marino Zorzato in occasione della Conferenza delle regioni – sembra che questa società stia pensando di poter fare a meno della cultura. E non a caso, nonostante l’imponente apparato culturale gestito direttamente dalle aziende del presidente del consiglio, la stragrande maggioranza dei letterati, dei filosofi, degli artisti anche nel Nordest è politicamente e culturalmente all’opposizione, e non riesce più ad esercitare alcuna reale egemonia sulla società, a influenzarne i simboli e i valori: cosicché i pochi intellettuali più o meno organici al centro-destra (si veda Vittorio Sgarbi a Venezia) sono costretti al doppio e triplo lavoro per presenziare alle trasmissioni Rai, intervenire sui giornali e occupare i vertici degli enti culturali soggetti a nomina governativa.

UNA RISPOSTA TROPPO DIFENSIVA

E la cultura che fa? Qualche artista e intellettuale si crogiola ancora nella speranza di poter continuare a disturbare il manovratore, a porre domande scomode e battere territori impervi e sgraditi alle maggioranze, incurante delle aspettative del mercato e della quadratura dei conti; e qualcun altro (c’è stato proprio un convegno a Ca’ Foscari a metà giugno sul tema) si industria invece a dimostrare ai decisori che investire in cultura è remunerativo, perché ha ricadute positive sull’appeal dei prodotti, sull’innovazione dei processi e sull’offerta turistica del territorio.

La candidatura del Nordest a Capitale europea della cultura sarà certamente l’occasione per mettere a confronto queste due posizioni: la speranza però è che si riesca a far emergere una sintesi più avanzata, che magari recuperi una delle funzioni più preziose che dovrebbe svolgere la cultura: la capacità di parlare al presente e di scrutare nel futuro, piuttosto che la tentazione di far rivivere il passato.

Sergio Frigo

Nordesteuropa.it luglio-agosto 2010

 

UNA SOCIETA’ CHE PENSA DI POTER FARE A MENO DELLA CULTURAultima modifica: 2010-07-05T12:22:00+02:00da sergiofrigo
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