IL NORDEST NEL NUOVO LIBRO DI TREVISAN: UNA POLEMICA CON PAOLINI (E CON I GIORNALI)

images-16.jpegÈ appena uscito il nuovo libro di Vitaliano Trevisan, “Tristissimi giardini” (Ed. Laterza, € 10) e naturalmente images-15.jpegfa già discutere molto, anche se non per i motivi giusti. Esso contiene infatti quattro pagine (su 140) che criticano duramente il teatro di Marco Paolini, e su questo aspetto si è focalizzata l’attenzione di alcuni dei primi recensori, non escluso il sottoscritto (en passant: credo che sulle critiche al “Sergente” di Paolini Trevisan abbia torto, non è una riduzione teatrale del libro di Rigoni Stern, ma qualcosa di diverso, che col capolavoro dello scrittore altopianese si confronta rispettosamente ma in autonomia).

 Tale approccio comunque non è piaciuto a Vitaliano, secondo cui in questo modo si svilisce il senso complessivo del libro. Gli ho replicato che non ha torto, ma che queste sono le attuali regole del giornalismo, che tendono a privilegiare le polemiche sui contenuti (meccanismi che peraltro lui ben conosce); ma gli ho anche fatto osservare che nell’articolo ho anche illustrato puntualmente  i contenuti e i meriti del libro, concentrandomi – più che sui personalismi – sul suo tema di fondo: come si rappresenta il Nordest, e come si può raccontare; e da questo punto di vista, nella sua radicalità, il libro costituisce sicuramente un punto di svolta, di cui dovrà tener conto chi si confronterà su questi temi in futuro. Oltre ad assicurare una lettura molto divertente.

Per il resto, giudicate voi.

 

 

Dal Gazzettino del 19 giugno

 

PG_32.jpgI libri dello scrittore vicentino Vitaliano Trevisan sono spesso un evento, sia per l’asprezza con cui affronta i temi della nostra (e sua) quotidianità del Nordest, sia per i duri attacchi che da un po’ di tempo porta ad alcuni dei più apprezzati registi e attori del panorama teatrale e cinematografico nazionale. Dopo Matteo Garrone e Toni Servillo stavolta tocca a Marco Paolini (non nominato esplicitamente ma riconoscibilissimo), accusato da Trevisan nel suo ultimo libro “Tristissimi giardini” (Ed. Laterza, € 10) di svilire col suo spettacolo il libro di Mario Rigoni Stern “Il sergente nella neve”, e più in generale di parlare come «il parroco della mia infanzia», in uno «pseudo dialetto con forti venature ruzantian-goldoniane» che fa tanto «volgare macchietta pseudo-veneta», e di portare in giro per il mondo, come altri artisti veneti, il «modello Lino Toffolo» che è esattamente «il gioco che il pubblico si aspetta da loro».

In realtà nel libro, che chiude la trilogia inaugurata dalla Laterza con Tiziano Scarpa e Romolo Bugaro, c’è molto di più (e di meglio): un tentativo molto articolato, con dati precisi e approfonditi e adeguati riferimenti storici, di raccontare se stesso e la sua terra al di fuori degli schemi e dei luoghi comuni, denunciandone la frammentazione, la sua irreversibile trasformazione in periferia (altro che “città diffusa”!), la sciatteria della vita quotidiana («non all’altezza dello sfondo storico in cui si svolge»), la crisi delle città e di chi le governa con cinica accettazione del reale, la distruzione del territorio (più che una locomotiva il Nordest è una betoniera), il consumo del paesaggio, come se ignorassimo che si tratta di un bene che «non si può consumare due volte». Nulla di diverso, in realtà, da quanto racconta lo stesso Paolini: salvo il modo, che nell’arte è l’essenziale. Se l’uno racconta, indigna e castiga sorridendo, l’altro scarnifica, gratta e scava fino a fare/farsi male. Se Paolini si propone come il terminale di una rete di riflessioni comuni ad altri amici intellettuali, Trevisan dentro il suo ambiente radiografa soprattutto se stesso.

Alla radice di tutto (e dunque anche della polemica verso il lavoro dell’attore-autore “avversario”) c’è dunque la persistente difficoltà del Nordest di raccontarsi, a se stesso e agli estranei: «Pensandosi come si pensa un territorio non riesce a rappresentarsi in modo adeguato, o forse si rifiuta di farlo», dice Trevisan. Una difficoltà a cui si sono ritrovati davanti in tanti, in questi anni, segnalata a suo tempo da Ilvo Diamanti, ma sperimentata da Carlo Sgorlon, da Fernando Camon, da Gianmario Villalta, solo per citare alcuni autori.

Della querelle un giornalista celebre come Gian Antonio Stella, compaesano di Mario Rigoni Stern, sottolinea solo che lo scrittore dell’altopiano aveva gradito il lavoro fatto da Paolini sul suo Sergente: «A meno che Trevisan non pensi di essere più “rigonisterniano” dello stesso scrittore…»

Va oltre invece Cesare De Michelis, che non ha ancora letto il libro (in distribuzione da ieri) ma istintivamente parteggia per Trevisan (e antipatizza per Paolini): «Certo i suoi spettacoli sono belli e coinvolgenti, ma il Nordest, quello vero, non c’è. Paolini ripropone una sorta di commedia dell’arte, con stereotipi anche divertenti, ma senza una riflessione complessa che abbia un rapporto con l’esperienza collettiva. E poi ha sempre bisogno di qualche disgrazia per poter scrivere sulla sua lavagna i buoni e i cattivi. Io devo dire poi che trovo insopportabile il teatro di denuncia: cercare di capire il Vajont partendo da Paolini equivale a cercare di capire la Camorra partendo da Saviano. Trevisan invece – che pure è segnato da un pessimismo che non condivido – aggredisce la realtà per farla parlare».

Ilvo Diamanti è invece fraterno amico e ammiratore di Paolini, ma anche estimatore di Trevisan, di cui apprezza soprattutto il primo libro “I quindicimila passi”, che trova «una radiografia perfetta e inquietante di quanto accaduto in questi anni nella nostra provincia». Il sociologo sottolinea poi «il rispetto e l’attenzione quasi maniacale con cui Paolini si è messo sulle tracce di Rigoni Stern non per rifare il Sergente, ma per trarre da quel lavoro e da quel confronto un’opera “sua”».

«Peraltro i due modi di fare teatro di Trevisan e Paolini sono agli antipodi: il primo pratica una sorta di microfisica, di microantropologia culturale, il secondo racconta un’epopena, quasi da West, costruisce degli idealtipi, delle maschere, e questo inevitabilmente posta alla stereotipizzazione: ma con queste maschere parla anche di se stesso e grazie ad un linguaggio straordinario che mescola italiano e dialetto raggiunge anche un publico universale. Con tutto questo raccontare un Nordest che si rappresenta come perennemente arrabbiato non è certo facile. Trevisan a questo proposito aveva delle riserve anche sul lavoro di Gigi Meneghello».

 

IL NORDEST NEL NUOVO LIBRO DI TREVISAN: UNA POLEMICA CON PAOLINI (E CON I GIORNALI)ultima modifica: 2010-06-20T14:45:00+02:00da sergiofrigo
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