LA LEGA, IL GOVERNO DEL VENETO E LE CLASSI DIRIGENTI

CARO ZAIA DOVE VAI

SE LE ÉLITES NON CE L’HAI?

Di Sergio Frigo

Alto dirigente regionale, quota Pdl, area An. Gli chiedo cosa si dice in Regione dell’imminente cambio della guardia e del probabile arrivo di Luca Zaia alla presidenza, e la risposta è: “Come se stesse per cadere un regime, più che un semplice cambio di maggioranza”. Risposta rivelatrice sull’atteggiamento (e i timori) delle élites regionali, anche perché – esclusa l’Udc – con la staffetta Galan-Zaia a Palazzo Balbi la maggioranza non cambierebbe proprio.

Al di là del dibattito politico sul dopo 28 marzo – fra chi è convinto che con una presidenza Zaia la politica regionale non si modificherà di molto e coloro che al contrario si attendono, o temono, grandi cambiamenti – andrebbe dunque sollevato il problema delle relazioni fra la politica e le classi dirigenti, altrettanto significativo per il futuro della regione. Una questione che si fa stringente nel momento in cui si palesano nuovamente le reciproche insofferenze fra il movimento padano, col suo ribadito profilo “plebeo”, e le élites della politica, dell’economia e della cultura: ci riferiamo ai ripetuti contrasti con i vertici bancari, a Treviso come a Verona, ma più in particolare alle recenti vicende del prefetto di Venezia Lepri Gallerano, rimosso per lesa maestà nei confronti della Lega, o al cambio della guardia alla direzione artistica dell’Arena di Verona, dove l’agguerrito Gianni Tangucci ha lasciato il posto al più scolorito ma allineato Umberto Fanni.

Tale scollamento non riguarda solo le categorie più politicizzate e professionalizzate del ceto medio progressista e istruito, che dopo anni di insofferenza verso il governatore uscente Giancarlo Galan ora ha già cominciato a rimpiangerlo, ma anche larghi settori di vertice del centro-destra che vivono l’approssimarsi delle truppe di Bossi al potere regionale come l’invasione dei barbari, che metterà la parola fine a ruoli di prestigio e a sodalizi economici ramificati e consolidati.

Ora, è assai improbabile che questo fortuito ricompattamento di élites da tempo dislocate su fronti contrapposti riuscirà ad avere delle ricadute significative nell’urna, come ben sa anche il centro-sinistra veneto. Ma effetti politici di ben altro genere potrebbe averli alla lunga, al contrario, la messa in mora dei ceti in questione, che col loro know-how culturale, sociale, economico e professionale costituiscono l’humus indispensabile per assicurare la funzionalità della cosa pubblica, l’individuazione degli obiettivi di lungo termine della società veneta e il rilancio dello sviluppo economico.

La semplificazione culturale di cui è fautrice la Lega può infatti rendere ardua l’interpretazione di una società sempre più complessa e articolata come quella in cui ci troviamo a vivere. Non basta più, come un tempo, lavorare, guadagnare e consultarsi periodicamente l’ombelico, per reggere il passo con altri paesi più aperti al nuovo e più disponibili al confronto con l’esterno. Le nostre fortune saranno sempre più determinate dalla nostra capacità di coniugare insieme la nostra storia e le nostre tradizioni, che ci rendono attraenti nel mondo, con la ricerca più avanzata e con l’innovazione tecnologica. E per muoversi su questo terreno, bisogna che anche la Lega ne prenda atto, ci vogliono cultura di base, studio assiduo, elasticità intellettuale e la vocazione a confrontarsi liberamente con il mondo, al di fuori di anacronistici protezionismi. E questo devono fare le èlites, quando sono veramente tali e non meri cenacoli per assicurarsi l’auto-partenogenesi: persone che non si qualificano per l’appartenenza politica o la fedeltà al leader, ma per la loro capacità di far funzionare le situazioni complesse e di individuare scenari a lunga distanza.

Purtroppo però, nel nostro paese, nella svalutazione delle élites c’è piena consonanza fra i sedicenti plebei padani e il populismo mediatico di Berlusconi (per non dire del suo alfiere Brunetta): riconoscere il valore e la necessità delle élites significherebbe infatti frenare il narcisismo individuale e autoritario del Capo (che sa ciò che è bene e decide in splendida solitudine), ma anche contestare implicitamente la demagogica riluttanza del popolo ad ammettere che possa esistere qualcuno che per doti intellettuali e per applicazione allo studio sa fare le cose meglio degli altri.

C’è da sperare che il pragmatismo di cui ha fatto mostra Luca Zaia nei vari incarichi fin qui ricoperti sappia superare questa impasse per mobilitare le risorse umane disponibili anche fuori dai recinti padani: altrimenti assisteremo alla cooptazione nei ruoli pubblici di personaggi di spessore sempre più evanescente, con risultati sempre più modesti per la qualità del nostro sviluppo e delle nostra vita.

Pubblicato su Nordesteuropa.it di febbraio 2010

LA LEGA, IL GOVERNO DEL VENETO E LE CLASSI DIRIGENTIultima modifica: 2010-02-07T19:26:35+01:00da sergiofrigo
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