DOMANDE SCOMODE SUI PROFUGHI IN ARRIVO

Profughi2015Attendo spaventato, come tutti, gli sviluppi dell’ondata migratoria da sud e da est che si intensificherà con l’arrivo della bella stagione. A spaventarmi, più ancora dell’impatto di grandi masse di derelitti bisognosi di tutto e del tutto inconsapevoli delle complicazioni del contesto in cui cercheranno di entrare, sono le reazioni che tutto questo comporterà; potremmo essere preparatissimi dal punto di vista logistico (e non lo siamo) ma siamo totalmente disarmati psicologicamente, culturalmente, politicamente. Intimamente incerti – soprattutto il ceto medio riflessivo a cui ritengo di appartenere – se sia peggio fare paura o averne.

DAI POLITICI  SOLO BALBETTII O DEMAGOGIA

Dai politici – esclusa la contestatissima Merkel – ci arrivano balbettii che non spiegano cosa sta succedendo, non tranquillizzano i cittadini né disegnano una credibile e accettabile prospettiva futura, oppure i barriti dei demagoghi che invece di cercare soluzioni compatibili con la nostra umanità aizzano gli animi per i loro fini politici: tocca persino sentire il governatore del Veneto suggerire il ritiro del Nobel per la Pace all’Europa, senza chiedersi quanto il suo partito, i suoi compagni di strada e lui stesso in prima persona stiano contribuendo all’imbarbarimento della situazione rifiutando pervicacemente ogni contributo costruttivo alla gestione dell’emergenza profughi. Dagli intellettuali, e persino dai tecnici, arrivano invece mere spiegazioni del fenomeno, ma non uno straccio di proposta concreta per affrontarlo dignitosamente.

IL DILEMMA FRA ACCOGLIENZA E PAURA

La domande che mi assillano, naturalmente, sono le seguenti: cosa accadrà se alle migliaia di migranti provenienti dall’Africa si aggiungeranno nelle prossime settimane altre migliaia di profughi soprattutto siriani provenienti dall’Albania? E se contestualmente verranno sigillate, come annunciato, tutte le uscite al Nord, per l’Austria e la Francia, e dagli altri paesi della Ue non ci sarà alcuna disponibilità a ricevere quote di migranti? Come reagiranno gli italiani? Quanto reggerà il tessuto sociale e psicologico? Fino a quando prevarrà l’umanità, che considera doveroso accogliere almeno chi è in pericolo di vita, sulla paura che consiglia al contrario di impedire gli accessi, girando la testa, ovviamente, sulle tragedie, passate e future, di questi diseredati, o fingendo di credere che siano tutti, bambini compresi, dei pericolosi terroristi?

COME SI FANNO I RESPINGIMENTI VIA MARE?

La situazione italiana è più complicata delle altre per un motivo semplice ma ineludibile: da noi arrivano per mare; e se davanti a chi cerca di entrare in un paese via terra si possono erigere barriere, e sparare lacrimogeni e magari usare manganelli e proiettili di gomma, senza che questo significhi uccidere, respingere un gommone stracarico di esseri umani significa condannarli a morte certa: è questo che vogliamo? Oppure accettiamo tutti coloro che cercano di venire, e con quali conseguenze?

Vorrei che i sondaggisti, che già registrano il disagio crescente (vedi rilevazione Demos sul Gazzettino di martedì scorso) ponessero ai loro intervistati queste domande; al tempo stesso avrei molta paura delle risposte.

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BITONCI E LA FIERA DELLE PAROLE: UNA VISIONE AUTORITARIA DELLA CULTURA

FieraParoleLogoMa pensavate sul serio che il “sindaco di tutti” potesse tollerare che metà dei suoi concittadini (quelli che non lo votano) si sollazzassero in giro per la “sua” città per quasi una settimana, irridendo i “suoi” valori e ignorando i “suoi” desiderata, nelle “sue” sale e a “sue” spese?

C’è semmai da stupirsi che abbia graziosamente concesso di tenere la manifestazione lo scorso anno (forse non ha fatto in tempo a cancellarla, forse aveva – allora – un assessore che gli faceva argine).

Non intendo qui entrare nel merito del livello qualitativo della Fiera delle Parole e delle sue modalità organizzative, se non per dire che un’amministrazione pubblica che tira fuori dei soldi ha diritto di dire la sua (ovviamente in proporzione ai soldi che ci mette) sui criteri di fondo che la devono ispirare: poteva chiedere, in altre parole, una presenza più equilibrata degli ospiti (purché scelti per il loro rilievo culturale e non per l’appartenenza politica) ma non porre dei veti su chi dev’essere invitato e chi no; ma in questo purtroppo si esprime la natura autoritaria della Lega Nord (già notata sulla questione dei libri “gender”) e la sua concezione “padronale” della cultura.

COSTI E BENEFICI RISPETTO A PORDENONELEGGE

Vorrei soffermarmi piuttosto su altri due aspetti, i numeri della manifestazione e l’alternativa escogitata da Bitonci. Sul primo punto posso dire che il rapporto costi-benefici della Fiera delle Parole (coi suoi circa 100mila euro annui per 70mila presenze) è elevatissimo: Pordenonelegge, ad esempio, costa cinque-sei volte tanto, ma questo gli consente di richiamare un parterre di ospiti internazionali in grado di attirare molto pubblico da fuori provincia. A certe condizioni Padova (che già faceva registrare molte “prime” letterarie) sarebbe potuta diventare concorrenziale anche su questo terreno, con significative ricadute turistiche, ma Bitonci preferisce sistematicamente cassare iniziative positive per la città (lo si è già visto coi mediatori culturali) se non sono in linea col suo massimalismo ideologico.

L’INCOGNITA SGARBI PREFERITA ALLE RISORSE CITTADINE

sgarbiIl secondo punto è l’alternativa-Sgarbi, individuata dal Comune. Forse qualcuno dovrebbe spiegare a Bitonci & c. che la Sgarbi che si occupa di libri e organizza festival letterari, in famiglia, è la sorella, e non l’inflazionatissimo fratello critico d’arte. L’uomo è vulcanico, pieno di idee (e di impegni altrove), ma piuttosto inaffidabile (chiedere a Giustina Destro) e soprattutto non lavora gratis, a differenza di Bruna Coscia e dei suoi amici volontari: vedremo cosa riuscirà a escogitare nei pochi mesi che ci separano dall’autunno (data prevista per la manifestazione), quanto costerà alle casse comunali, quanto pubblico riuscirà ad attrarre, e se riuscirà a dialogare con le realtà padovane impegnate nella cultura.

E poi saranno contenti i padovani di farsi organizzare le proprie iniziative dall’alto, a caro prezzo, da un “vip” foresto per quanto famoso, mettendo da parte e mortificando le risorse umane che ci sono in città?

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IMMIGRATI, DIFESA DELLA NOSTRA IDENTITA’ E INTEGRAZIONE

ColoniaTorno a scrivere sul blog dopo mesi che mi era impedito da ragioni tecnologiche (e questo meriterebbe una riflessione a parte), e per coincidenza mi ritrovo a riflettere – dopo l’ultimo post dedicato alla Germania, l’estate scorsa – sui fatti di Colonia e sul dibattito forsennato suscitato dall’arrivo in quel paese di un milione di profughi. Fra tanti, troppi interventi caratterizzati da pressapochismo e demagogia, ho apprezzato quello che segue, di Ernesto Galli Della Loggia, che mette l’accento sulle caratteristiche che deve avere un processo di integrazione per essere in grado di assicurare insieme l’accoglienza degli immigrati e la tutela dei valori e delle consuetudini a cui non intendiamo rinunciare.

http://www.corriere.it/editoriali/16_gennaio_10/immigrrati-migranti-integrare-senza-sensi-colpa-editoriale-63e372c0-b764-11e5-8210-122afbd965bb.shtml

Ovviamente alla teoria devono fare seguito procedure e comportamenti adeguati, i quali diventano via via più complicati man mano che cresce il numero degli immigrati.

NON ESISTONO SOLUZIONI FACILI AL PROBLEMA

La questione richiede sì fermezza, ma anche umanità, pragmatismo, competenza, lucidità, per mettere a punto una serie di interventi di cui la repressione (di attività criminali o semplicemente inappropriate) è solo l’ultimo gradino di un percorso estremamente articolato, che passa dalla prevenzione e dalla formazione (ai nostri valori irrinunciabili), ma deve avere la sua origine in nuove politiche nei confronti dei paesi di origine dei flussi migratori.

Le “soluzioni facili”, sulle questioni migratorie, non esistono, checché ne dicano gli opinionisti da bar che alimentano la vulgata populista incarnata in Italia soprattutto dalla Lega, che lancia allarmi fin da quando gli immigrati erano poche migliaia e venivano soprattutto dal nostro Meridione e mostra interesse solo a sfruttare elettoralmente il problema, non certo a risolverlo: e anche quando le questioni sollevate da Salvini & c. hanno un fondo di realtà, le contromisure ipotizzate si rivelano impercorribili qualora venissero portate alle loro logiche conseguenze. E alla stessa categoria concettuale appartiene la proposta di referendum popolare su quanti stranieri possiamo permetterci, proposto nei giorni scorsi sul Gazzettino dal giudice Carlo Nordio.

LE ALTERNATIVE: SPARARE LORO ADDOSSO O LASCIARLI ANNEGARE

profughiQuand’anche si decidesse (per legge o per referendum) che in Italia non deve entrare più nessuno che non sia profugo e magari cristiano, come facciamo a fermare gli altri? A nessuno (ribadisco, nessuno) piacciono gli arrivi di massa col la loro scia di morti, organizzati e sfruttati dalla criminalità, incuranti delle nostre leggi, delle nostre consuetudini e dei nostri conti pubblici, che rischiano di intaccare pesantemente la nostra identità e disfare l’Europa; il problema è cercare modi praticabili (e umani) per bloccarli: a meno che non pensiamo che sia legittimo sparare loro addosso o lasciarli annegare nel Mediterraneo. E anche qualora – auspicabilmente – trovassimo formule giuridiche più snelle per aumentare i reimpatri di coloro che commettono reati o non hanno titoli per restare da noi, come si fa a riportare nel suo paese un libico, un afghano, un siriano che viene da una città bombardata o un territorio controllato dall’Isis?

UN’IPORESI DI LAVORO: PERMESSI TEMPORANEI E A PUNTI

Ripeto, ammesso che esistano delle soluzioni, sono tutt’altro che semplici: l’unica possibile proposta che mi viene in mente – oltre a promuovere la cooperazione e gli accordi di reimpatrio con i paesi africani da cui traggono origine una buona parte dei flussi che interessano il nostro paese – è cercare di attivare dei flussi migratori contrattati e contingentati: si accolgono solo, previa attivazione di centrali di smistamento in loco, immigrati con permesso temporaneo (magari per lavori stagionali), e si concedono loro dei punteggi annuali legati ai loro progressi nella conoscenza della lingua e della legislazione italiana. Al raggiungimento di un determinato punteggio essi possono ottenere il permesso di soggiorno, e successivamente (e solo a patto che diano rispettate alcune condizioni precise) la cittadinanza. Chi non rispetta queste procedure (o commette reati) deve sapere che resterà magari in Italia, se non potrà essere reimpatriato, ma rimarrà sempre un clandestino.

Dev’essere chiaro che questa o altre possibili misure comportano una forte assunzione di responsabilità della politica, e anche consistenti stanziamenti di risorse: ma anche tenersi per anni i profughi in attesa di riconoscimento, o mettere davvero in carcere i clandestini (come presupporrebbe il mantenimento del reato) avrebbe costi tutt’altro che contenuti.

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NOI E LA GERMANIA, TRA AMMIRAZIONE E INQUIETUDINE

foto-17Eccomi al ritorno da un viaggio a cavallo della faglia dell’Europa, Alsazia, Baden Wurttemberg e Renania, teatro di dispute secolari fra Germania e Francia, tra colli, cittadine, castelli, che sono passati di mano fino a sette volte, con inevitabile seguito di distruzioni, morte, pulizie etniche, migrazioni forzate. foto-15Quando sentiamo dire che l’unione europea non serve, basterebbe ricordare che solo da settant’anni e solo grazie all’Europa queste regioni sono in pace, divise soltanto dalla competizione economica ed… eno-gastronomica sulla qualità dei rispettivi vini.

Colpisce soprattutto la Germania, paese protagonista assoluto della scena europea anche in questi giorni, dalle questioni economiche all’accoglienza dei profughi. Ma avverto che si tratta solo di impressioni superficiali, frutto di osservazioni “visive” non mediate o approfondite da confronti reali, causa l’insuperabile barriera linguistica.foto-16

LA DIFESA DEL TERRITORIO E LA CURA DEL PAESAGGIO

La prima cosa è la cura assoluta del paesaggio, che avevo già notato visitando altri Land: si attraversano con una delle numerosissime autostrade le zone più industrializzate e densamente abitate del continente, e sembra di essere dentro un parco naturale: nessun capannone, nessun traliccio dell’alta tensione, infrastrutture ciclopiche schermate da file di alberi, qua e là un paesino pittoresco, una chiesetta, coltivazioni di vite o di luppolo… (i tedeschi a prima vista sembrano praticare solo due categorie estetiche, il pittoresco e il monumentale: le foto-18case a graticcio dei paesini sul Reno con le facciate trapuntate di geranei, e i maestosi castelli ricostruiti com’erano e dov’erano dopo essere stati distrutti ripetutamente nel corso delle guerre del passato; foto-19oppure i parchi e i giardini ricchi di fontane, ruscelli e fiori, e le maestose facciate del barocco germanico, o i memoriali di chissà quali vittorie). foto-20Quando ti riaffacci dall’autostrada del Brennero sulla caotica Val Padana il confronto è impietoso.

IL SENSO DI APPARTENENZA ALLA COMUNITÀ PREVALE SUL NARCISISMO INDIVIDUALE

Ma non si tratta solo di una questione estetica: i paesi ordinati, i boschi puliti, le coltivazioni, i prati che sembrano campi da golf rivelano da un lato la persistenza di un’attività agricola fiorente, foto-24dall’altro la consapevolezza che anche dalla cura del territorio e dalla sua messa in sicurezza deriva la qualità della vita delle comunità.

E comunità mi sembra l’altro concetto chiave del vivere sociale in questo paese: l’impressione è che il tedesco rifugga dall’esibizione del proprio individuale narcisismo (a noi italiani ben nota), preferendo rispecchiarsi nella tranquillità del benessere collettivo, in cui le case, le macchine, i divertimenti si assomigliano, nessuno si sogna di costruire un cottage alpino in campagna o una villetta provenzale sulle Alpi, e il massimo della realizzazione personale non è infrangere, ma rispettare le regole: se devi attraversare una strada e il semaforo è rosso, stai fermo ad aspettare il verde anche se non c’è nessuno intorno e non si vedono auto in arrivo…

IL SEGRETO AMMIREVOLE E INQUIETANTE DEL SUCCESSO TEDESCO

foto-25Io credo che – nel bene e nel male – questa sia la ragione ultima del successo tedesco, che tante cose mirabili e terribili ha saputo costruire negli ultimi due secoli, dopo un’unificazione nazionale conseguita nell’Ottocento col ferro e col sangue: e che ha consentito al paese di rinascere e riconquistare il primato economico e politico sul continente dopo due immani distruzioni, seguite a due conflitti dei quali porta le responsabilità maggiori.

Il primato dell’individuale sul collettivo che sta frantumando la società contemporanea a tutti i livelli, qui è temperato dal senso di appartenenza ad una comunità o a una nazione, dalla condivisione di un sistema di valori molto omogeneo, dal sacrosanto rispetto delle regole e dell’autorità: anche se magari le regole sono ingiuste e l’autorità iniqua, come in altre epoche storiche. Un mix ammirevole e inquietante, che ha a che vedere più con il controllo sociale che con la libertà individuale, con la sicurezza che con l’apertura solidale, anche se di fronte al problema dell’emigrazione produce integrazione e accoglienza più che altrove: una consapevolezza di sé che fa sì che nella Baviera conservatrice e identitaria circolino più donne col velo integrale (viso compreso) che ad Istanbul, senza che nessuno abbia alcunché da ridire.

Nell’attuale tentazione tedesca (riemersa nella gestione del “caso Grecia”, ma non solo) di difendere a oltranza il proprio modello, e di estenderlo anche ai partner europei, c’è probabilmente il riflesso condizionato della loro antica e radicata vocazione espansionista, ma soprattutto il fatto che esso funziona…

 

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UMBERTO MATINO, UN GIALLO STORICO NELLA PEDEMONTANA RIBELLE

MatinoLa Pedemontana veneta come una Vandea, sacrestia d’Italia retrograda e baciapile? Ci voleva un giallo – “Tutto è notte nera” (Ed. Biblioteca dell’Immagine, 400 pp., € 14) – per far scoprire al grande pubblico una storia dell’Alto Veneto assolutamente diversa. Lo ha scritto l’architetto scledense padovanizzato Umberto Matino, e sta diventando il caso letterario dell’estate, veleggiando verso le 10mila copie, che di questi tempi sono un’enormità soprattutto considerato che a pubblicarlo è un editore di Provincia (che pure nel passato ha tenuto a battesimo gli exploit di Mauro Corona). Matino, d’altro canto, ha sbancato le librerie già a partire dal 2007, con “La valle degli Orchi”, edito da Foschi e venduto in 20mila copie (anche in Germania) solo col passaparola, a cui è seguito nel 2011 “L’ultima Anguàna”.

UNA LUNGA SCIA DI DELITTI

L’”ultimo nato” dell’architetto, che nel frattempo Immagine 2ha lasciato la società di engineering mestrina di cui era direttore tecnico e fa il consulente per l’edilizia, ha un titolo che – maliziosamente occupandosi di cimbri – cita una filastroca del Salento: zona da cui è originario (oltre che la sua stssa famiglia) il maresciallo Piconese, comandante della stazione di Schio, che (siamo nel 1975) si trova a gestire le indagini su una scia di omicidi che avvengono nelle numerose e isolate contrade a nord-ovest della cittadina. La prima vittima è la giovane ospite di una comunità religiosa, che prima di morire con un coltello nella schiena affida delle carte a un geometra di passaggio, il quale ha buoni motivi per tenersi alla larga dai carabinieri. In quei documenti, risalenti al ’600, c’è il movente dell’omicidio, che si ammanta di religiosità ma punta al ritrovamento di un tesoro. Parallelamente all’indagine ufficiale, che deve districarsi fra archivi, sette religiose e le antiche comunità germanofone dell’Alto Vicentino, si dipana quella “informale” e molto avventurosa di un cronista del posto, coadiuvato suo malgrado dal geometra, da una giovane e intrigante postina e dal fratello di lei, dispettoso come un Salbanello.

LA PEDEMONTANA CIMBRA E PROTESTANTE

Ma intorno al giallo, che si dipana con trovate ingegnosissime e divertenti notazioni di colore, si palesa pagina dopo pagina una storia alternativa della Pedemontana e della Serenissima, fatta di ribellioni religiose e sociali soffocate nel sangue, di cui ci sono vaghe tracce nei resoconti degli storici perchè era usanza della Dominante “far morire segretamente chi merita” (lettera di Paolo Tiepolo, ambasciatore di Venezia, a papa Pio V, 1568), e comminare loro anche la condanna all’oblio. «E a morire – ricorda l’autore – furono migliaia di persone vicine all’anabattismo, che aveva trovato terreno fertile nella Pedemontana prossima per lingua e cultura al mondo protestante germanico e insofferente delle tasse di Venezia e dell’integralismo cattolico di stampo tridentino» (ma non nei Sette Comuni dell’Altopiano, fedeli alla Serenissima e sollevati dalle tasse per i loro servigi).

Tutto questo Matino riesce a impastarlo mirabilmente nella trama del giallo, senza rinunciare però all’acribia dello studioso, che scova negli archivi le cronache del tempo e nelle biblioteche saggi storici sconosciuti ai più, dedicando una sessantina di pagine in appendice per approfondire questi eventi fino ad elencare i nomi di 2200 veneti perseguitati o uccisi dall’Inquisizione nei territori della Serenissima tra il 16. e il 17. secolo.

I PIONIERI DEL MODELLO VENETO

Non solo, affiora da queste vicende anche il ruolo di queste comunità nello sviluppo economico del Veneto: «Non erano solo pastori e boscaioli – puntualizza lo scrittore – ma anche minatori, artigiani, tessitori, dotati di quello spirito di intrapresa che Weber fa derivare dall’etica protestante: ci si è mai chiesti perchè l’industria nasce soprattutto allo sbocco di quelle valli, tra Valdagno e Schio?»

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CIAO MARTIN, BUONA FORTUNA!

IMG_0189Martin è tornato a casa sua, in Togo. Era a Padova da sette anni, mandato qui dalla famiglia per studiare all’università. Appena due mesi dopo il suo arrivo in Italia è morto il padre, unico sostegno del nucleo familiare. Ad aiutarlo in questi anni siamo stati in tanti, in primis il coro il Bell’Humore, di cui Martin è stato un bravo tenore.

Oltre che alla musica si è appassionato al giardinaggio: “Prima non capivo perché in Italia gli uomini regalassero fiori alle donne – confessa – Ora voglio fare un giardino anche a casa mia”: in valigia porta con sé semi e bulbi.

Dopo essersi laureato in Farmacia e aver superato l’esame di stato, ora ha deciso di tornare. A casa lo aspettano la mamma, tre fratelli e uno stuolo di parenti. E’ pieno di idee e di progetti, ed è convinto che con i suoi studi e le esperienze acquisite in Italia riuscirà a a guadagnarsi da vivere e a rendersi utile al suo paese e alla sua famiglia.

IMG_3459Ci dispiace, naturalmente, e ci mancherà molto, ma è giusto così: averlo frequentato, averlo visto crescere e diventare uomo, superando molteplici difficoltà con eleganza e leggerezza, è stato molto bello, e il legame che abbiamo stretto con lui non si interromperà. Ci mancherà la quotidianità, ma continueremo a sostenerlo nei suoi progetti, ci saranno telefonate e scambi di visite. E lui sa che se le cose non dovessero funzionare (sette anni lontani dal proprio paese non sono pochi, e le differenze fra Italia e Togo sono abissali) saremo pronti a riaccoglierlo.

“ADOTTARE” I MIGRANTI INVECE DI CHIUDERE LORO LE PORTE IN FACCIA

In questi anni Martin ha assistito con perplessità, ma senza troppa sorpresa, all’alzata di scudi contro i profughi e i migranti che arrivano nel Veneto, e ha subito anche lui atti di razzismo. “Ma se alcuni mi hanno trattato male, ho incontrato molti altri che mi hanno voluto bene. D’altronde se vai all’estero devi aspettarti che ti guardino con ostilità. Per questo io dico ai miei coetanei africani: se riuscite a farcela, a guadagnarvi da vivere, non lasciate il vostro paese. Qui le cose possono essere molto difficili. Ma gran parte di quelli che vengono in Europa, anche se non fuggono dalla guerra o dalle persecuzioni, fuggono da una miseria che non consente loro di sperare nel futuro”.

Io credo che aiutare questi ragazzi anche a termine, IMG_0149 “adottarli” nelle nostre associazioni e nei nostri gruppi, consentire loro di farsi delle esperienze, di imparare qualcosa, di lavorare e mettere via qualche euro, magari anche andando e venendo stagionalmente dal loro paese, potrebbe servire ad alleggerire la pressione migratoria, a calmare la paura dell’invasione, e forse a far crescere economicamente i loro luoghi d’origine: senza contare che frequentarli, conoscerne le fragilità e le speranze, farebbe crescere in umanità e cultura tutti noi. Certo, è complicato farlo se loro arrivano a decine di migliaia: ma noi siamo decine di milioni, e pure nelle difficoltà rimaniamo incommensurabilmente più ricchi. Basterebbe che ognuno di noi facesse quello che può, invece di chiudere le porte in faccia a tutti, a priori.

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DOPO ATENE, MANIFESTIAMO A RIMINI

GreciaNon c’è Europa senza Grecia. Ma coloro che domenica sono andati a sostenere Tsipras ad Atene, oggi dovrebbero andare a manifestare davanti alle pensioni piene di turisti tedeschi sulla riviera romagnola, per convincerli ad aprire il portafogli. Oltre naturalmente a prepararsi ad aprire il proprio.tedeschi

Io ci sto, ma fra quelli che hanno esultato per il no di Atene sono troppi coloro che invece vogliono i greci fuori dall’Euro, e l’Euro fuori dall’Europa.

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PROFUGHI: IL SILENZIO DEGLI INDECENTI (GLI INTELLETTUALI FRANCESI)

Migrants in Ventimiglia Italian border with FranceSulla questione dei profughi un silenzio fragoroso accompagna i balbettii del solitamente ciarliero premier Renzi e le grida scomposte dei razzisti europei: quello degli intellettuali; non solo gli italiani, anche gli stranieri, soprattutto i francesi, colpiti da afasia proprio nel momento in cui dovrebbero far risuonare più alta la loro voce.

Zittiti dai numeri dell’”invasione” sembrano incapaci di conciliare il richiamo ai grandi valori ai quali riportano tradizionalmente i loro interventi (accoglienza, solidarietà, terzomondismo) con l’incalzare della cronaca e i conti che presenta a tutti noi la realtà: è come se fossero venuti a mancare i parametri di riferimento su cui fondare analisi capaci di arginare l’ondata di panico che ha invaso l’opinione pubblica, fomentata dalle leghe e dalle destre, ma anche di avanzare proposte credibili, in grado di parlare non solo alla mente, ma anche al cuore e alla pancia delle persone: che non vogliono veder affogare migliaia di immigrati nel mare di Sicilia, ma schizofrenicamente non ne vogliono sapere di ospitarne qualche decina nel proprio comune.

LA DEMAGOGIA DI CHI VUOLE SOLO SFRUTTARE IL PROBLEMA

E così si impongono nella “narrazione” quotidiana le esagerazioni statistiche, le semplificazioni colpevoli, le proposte irrealizzabili che neppure dall’opposizione una forza politica dovrebbe permettersi (ad esempio: come si può realizzare concretamente un blocco navale? Come si fa a costruire un campo di accoglienza in un territorio nemico o fuori controllo come la Libia?): avanzate evidentemente da chi non ha alcun interesse a dare un contributo reale alla risoluzione del problema, obbiettivamente enorme, ma vuole semplicemente sfruttarne le conseguenze a fini elettoralistici: il tracollo del Pd nelle recenti amministrative qualcosa dovrebbe insegnare ad un premier incapace a sua volta di trovare le parole giuste per inquadrare in maniera seria e lungimirante la questione.

LE QUESTIONI FONDAMENTALI ALLE QUALI NON RISPONDIAMO

Il silenzio di chi dovrebbe parlare – libero dalle logiche del tornaconto politico – consente a tutti (destra e sinistra, cattivisti e buonisti) di eludere le questioni fondamentali su cui si dovrebbe confrontare l’opinione pubblica e da cui si dovrebbe partire per cercare soluzioni che perseguano la nostra sicurezza senza rinunciare alla nostra umanità: lasciamo i profughi sotto le bombe o alle mercè degli sgozzatori, per non rischiare di accogliere gli immigrati economici che non hanno diritto di asilo? In base a quali parametri etici chiudiamo le nostre porte agli abitanti di paesi che il nostro continente ha spolpato e ridotto in miseria? E se vengono lo stesso sulle carrette del mare come li fermiamo, sparandogli addosso? Ma, ancora: possiamo-dobbiamo accogliere tutti coloro che vogliono venire? E se rispondiamo di no (e il buon senso ci dice che un argine deve essere alzato) come facciamo a rimandarli indietro?

È a queste domande che dovrebbero puntualmente rispondere non solo i politici, non solo gli intellettuali, ma ognuno di noi, di fronte alla propria coscienza: non è accettabile dire “non li vogliamo” e basta; “se li prenda qualcun altro” e basta, perché tanto vengono lo stesso, e uno Stato serio – comprese le sue articolazioni territoriali, Regioni e Comuni – deve assumersi delle responsabilità collettive.

FRANCIA E INGHILTERRA: CHI ROMPE NON PAGA

profughiXXMa se gli intellettuali italiani su questi temi balbettano, è decisamente indecente il silenzio di quelli francesi, e in subordine inglesi, i cui governi sono direttamente responsabili di buona parte dell’attuale catastrofe: sempre pronti a bacchettare le altrui inosservanze dei diritti umani, evitano accuratamente di ricordare ai propri governanti e alle proprie opinioni pubbliche che sono stati i rispettivi eserciti a distruggere lo Stato libico, lasciando al suo posto un deserto infestato dai tagliagole e aprendo un immenso corridoio senza filtri all’esodo dei disperati verso l’Europa. Assumersi le responsabilità di quanto sta accadendo oggi, chiedere ai rispettivi governi di contribuire a riparare i danni, almeno pronunciare un mea culpa, dev’essere un esercizio troppo banale per le menti brillanti degli Henry Levy e compagni, Levyora messi giustamente alla gogna da Madame Le Pen per il ruolo di consigliori svolto prima della campagna libica con Sarkozy: il quale ora si ripropone impunemente sulla scena pubblica come se fosse solo un omonimo di colui che – per megalomania o per personale interesse – ha abbattuto Gheddafi e provocato la catastrofe.

QUI SI GIOCA LA CREDIBILITA’ DELL’EUROPA E DELLA SINISTRA

Ma qui non è in ballo solo la dignità dei francesi, degli inglesi, dei loro governanti e dei loro maitre a penser, ma il destino stesso dell’Unione europea: se non si decideranno a patrocinare e ad assumere decisioni all’altezza dei sogni europei che ci hanno fatto accarezzare per decenni, finiremo tutti per convincerci che di questa Europa non ce ne facciamo nulla. E – nel caso della Francia – neppure di questa sinistra. E allora altro che praterie per i Le Pen, i Salvini e i loro anche peggiori epigoni…

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CARO ZAIA, “PRIMA I VENETI” O “PRIMA LA LEGA”?

CandidatiCinque anni fa ho scritto un libro (“Caro Zaia, vorrei essere leghista ma proprio non ci riesco”) che potrei riscrivere oggi parola per parola. È sempre odioso dire “io l’avevo detto”, persino per chi lo dice, visto che significa sancire la propria incapacità di incidere minimamente sulla realtà: ma ahimè è così, e la cosa riguarda sia il protagonista del mio libro che i suoi oppositori, i quali continuano a incamerare lezioni senza imparare niente.

CHI MERITA (E CHI NO) DI ESSERE ELETTO

Non so quale dei sei candidati alla guida della Regione Veneto meriterebbe più degli altri di diventare presidente, ma so di certo che a non meritarlo è quello che verosimilmente verrà eletto, cioè proprio Zaia. Fra i vari motivi ne cito un paio: nonostante un consenso ragguardevole (oltre il 60%), esclusa la “performance” post-alluvione nel suo mandato ha realizzato ben poco: lo ha detto meglio di tutti uno dei suoi più autorevoli alleati, Carlo Alberto Tesserin, quando ha sostenuto che “Zaia ha avuto la… fortuna di governare nella stagione della crisi”.

PRIMA LEGHISTA, POI PRESIDENTE

Ma soprattutto è venuto meno al suo ruolo di leader e di rappresentante di tutti i veneti, compresi quelli che non l’hanno votato: invece che “prima i veneti” il suo slogan reale è stato “prima la Lega”, perché la fedeltà alla linea del Carroccio è stata sempre prioritaria rispetto a tutto il resto. Citerò solo alcuni episodi, tra i tanti: è stato l’unico governatore a disimpegnare la sua regione dalle celebrazioni per l’unità nazionale, facendosi surrogare dal presidente del Consiglio Regionale; sulla questione dell’ospedale di Padova ha preferito smentire se stesso piuttosto che scontrarsi col sindaco del suo partito, Bitonci (col risultato di perdere non sappiamo quanti anni e quanti soldi); sulla scelta delle future alleanze invece che difendere la propria coalizione e i propri alleati centristi (se davvero avevano governato bene insieme, come sostiene) ha subito il diktat del suo segretario Salvini, che pure altrove collabora con loro; sui profughi fa campagna politica invece che cercare soluzioni, utilizzando la presenza degli immigrati nel tessuto produttivo e sociale del Veneto (preziosa, anche a suo dire) come scusa per dire “abbiamo già dato”; infine sulle vicende di malgoverno che pure sono avvenute sotto la sua gestione (come pure sulle questioni dell’indipendenza veneta o dell’adesione all’Unione Europea che il suo leader contesta, e su molte altre) fa il pesce in barile, nascondendo le proprie responsabilità politiche con la propria indiscussa irreprensibilità personale.

I MOTIVI PER VOTARLO

I motivi per cui i veneti probabilmente lo voteranno in massa anche oggi li ho spiegati nel mio libro cinque anni fa; ne aggiungerei uno: gli anni della crisi li hanno convinti che la politica “importante” si fa a Roma (o a Bruxelles) e l’amministrazione nel proprio Comune. A Venezia può stare qualcuno di poco ingombrante, che non è chiamato a risolvere i problemi, ma semmai a far sapere al mondo, di tanto in tanto, che abbiamo mal di pancia. E in questo Zaia è imbattibile.

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PROFUGHI SI O NO: ALCUNE DOMANDE SCOMODE ALLE DUE MANIFESTAZIONI PADOVANE

Stasera – per la prima volta dopo oltre trent’anni – parteciperò a una manifestazione, quella indetta da Padova Accoglie in piazza Garibaldi (ore 19) per testimoniare che – oltre a quella rappresentata dal sindaco Bitonci che sarà nella piazza del Comune – c’è anche un’altra Padova, capace di affrontare la difficile questione dei profughi senza isterie ma con razionalità e spirito solidale. Profughi2015

Non porterò con me la ramazza, come invitano i promotori, né griderò “razzisti” a chi parteciperà all’altra manifestazione: ognuno di noi ha il diritto di scegliere il livello di solidarietà umana a cui uniformare la propria vita, e di questi tempi questa non è – ahimè – una merce molto diffusa, in nessun angolo del mondo.

Non mancherò però di fare una capatina nell’altra piazza, quella dei commercianti anti-profughi: così d’ora in poi mi regolerò sul dove non fare acquisti, visto che questo è probabilmente un discorso a cui sono più sensibili.

UN SINDACO CHE METTE IN PERICOLO UNA SUA CITTADINA E DIVIDE LA SUA COMUNITA’

Quello che mi indigna, in tutta questa faccenda, è che a fomentarla ci sia un sindaco che pretende di essere “sindaco di tutti”, e che invece addita una sua cittadina – colpevole di ospitare a casa propria dei migranti – all’odio della piazza, esponendo lei e i suoi ospiti a una pressione feroce e (Dio non voglia) anche a possibili ritorsioni. BitoncicitofonoE mi impressiona e mi preoccupa che tante persone anche intellettualmente oneste che fanno parte o appoggiano questa amministrazione non si rendano conto del carico di violenza e di pericolosità che c’è in questa iniziativa.

E altrettanto mi indigna e mi fa vergognare l’essere amministrato da un sindaco che divide in due la propria comunità, aizzando una parte contro l’altra, invece di cercare con pazienza un minimo terreno di confronto. In tutto questo c’è soprattutto del calcolo politico (alimentare la paura del diverso per lucrare del consenso a basso costo), ma anche una voglia sfrenata e patologica di umiliare chi non condivide le proprie idee.

A CHI INTERESSA AFFRONTARE SERIAMENTE LA QUESTIONE IMMIGRAZIONE?

Quella che manca totalmente, invece, è la ricerca seria e concreta delle soluzioni per affrontare una questione tremendamente complicata nella sua semplicità: si continua ad alimentare piuttosto nei cittadini (la Lega è nata per questo) l’illusione che sia possibile ricacciare a casa loro profughi e migranti, e la convinzione che essi vengano da noi perché invitati da cattolici e comunisti, che sulle loro spalle lucrano soldi e consenso politico.

A GIUSEPPE E MARIA PRIMA DI ACCOGLIERLI AVREBBERO CHIESTO SE ERANO PADOVANI

Tutto questo rimuovendo – pur proponendosi come difensori della fede cristiana – le parole di accoglienza e condivisione che costituiscono l’essenza del messaggio cristiano su cui è basata la nostra civiltà (dubito che gli attuali anti-profughi avrebbero accolto a suo tempo Maria e Giuseppe FugaEgittoe che avrebbero diviso il loro mantello col derubato, come il Samaritano: “sio padovani?” si sarebbero informati prima); ma ignorando anche le situazioni di pericolo, miseria e ingiustizia da cui fuggono i migranti, di cui noi occidentali abbiamo colpe, o almeno responsabilità, precise, se non altro perché su quella miseria è costruito da secoli il nostro benessere. “Sono forse io il custode di mio fratello?”, rispose Caino a Dio subito dopo aver ammazzato Abele. Si, siamo noi i custodi di nostro fratello, anche se viene dall’Africa o dalla Siria.

TANTO ARRIVANO LO STESSO: IN VENT’ANNI LA LEGA LI HA FORSE FERMATI?

La vacuità propagandistica dei proclami leghisti è dimostrata, se non altro, dal fatto che pur occupando la Lega la scena politica da oltre vent’anni – spesso in posizioni di governo –l’immigrazione nello stesso periodo è cresciuta a livelli stratosferici, e non c’è traccia di misure in grado non si dice di contenere, ma almeno di governare il fenomeno. Non si tiene conto che gli immigrati arrivano da noi perché a spingerli sono due forze molto più possenti dei muri, dei blocchi navali e persino del timore di annegare: la fame e la paura.

LA BUFALA DELLA “SPECULAZIONE” DELLE COOPERATIVE DI ACCOGLIENZA

Ma per la Lega è redditizio politicamente gingillarsi con l’idea che esistano soluzioni semplici e rapide al problema, che non vengono messe in atto perché comunisti e cattolici devono lucrare sulle spalle di questi derelitti: come se il malaffare di qualche cooperativa romana potesse cancellare gli sforzi e la generosità di migliaia di lavoratori o di volontari che si spendono per garantire accoglienza e assistenza: sono nostri nipoti, nostri cugini, non mafiosi romani; li avete visti arricchirsi occupandosi degli immigrati? O non vogliamo assicurare un minimo di vitto e alloggio ai profughi, finché non si sistemano o non se ne vanno da un’altra parte?

DOMANDE SCOMODE/1: A BITONCI E COMMERCIANTI

Chi oggi sarà in piazza con Bitonci dovrebbe chiedersi CONCRETAMENTE cosa significa dire “no ai profughi”. Visto che nessuna comunità li vuole, in nessuna parte d’Europa (come ben pochi volevano, nel 1916, i profughi di guerra del Veneto, e negli anni ’50 i fuoriusciti da Istria e Dalmazia) la conseguenza logica diventa: restino nei loro paesi, sotto le bombe, alla mercè dei carnefici dell’Isis, della fame e delle malattie. E’ questo esattamente che volete? E cosa vorreste esattamente che fosse fatto per non farli arrivare in centro a Padova? Affondiamo i barconi: ma chi è a bordo lo si lascia annegare? E quelli che sono qui si deportano di nascosto in qualche deserto, visto che non si capisce perché il Nord Africa dovrebbe tenerseli?

E ancora: è vero che il governo non brilla per democraticità nell’assegnazione delle quote di immigrati ai comuni, ma ve lo vedete Renzi – con l’emergenza continua degli arrivi – mettersi a discutere con i migliaia di Bitonci d’Italia su dove sistemare i nuovi arrivati? E come pretendiamo che ne accolgano di più gli altri paesi europei, se noi non vogliamo farci carico di quelli bloccati in Sicilia e in Puglia?

DOMANDE SCOMODE/2: ALLA PIAZZA ANTI-RAZZISTA

A Padova Accoglie che occuperà Piazza Garibaldi vanno poste altre domande, ancor più angosciose: accoglierne quanti, visto che a premere ai nostri confini sono a milioni? E come, senza mettere a repentaglio la tenuta (economica, sociale, culturale) della nostra società? E come distinguere fra chi ha diritto di rimanere e chi no?

Qui ci vorrebbe un libro intero per rispondere, ammesso che sia possibile farlo. A me pare che la situazione non sia ancora così drammatica: siamo una società ricca, in cui funzionano il welfare e le reti parentali e amicali per chi è in difficoltà; possiamo ridurre di un minimo il nostro tenore di vita per occuparci anche degli ultimi: gli immigrati arrivati nel passato in gran parte si sono integrati e ora contribuiscono fattivamente alla nostra economia, anche se Zaia per motivare il suo rifiuto dei profughi continua ad annotarli fra i costi. Quelli che arrivano, in gran parte vogliono condividere il nostro modello di vita, non rapinare i nostri soldi e istituire un califfato in Italia.

Certo, meglio sarebbe aiutarli a casa loro, cioè creare le condizioni per non farli fuggire dai loro paesi: ma avete presente come funziona la cooperazione internazionale, e quanto sono generosi gli stati (Italia in primis) con i paesi sottosviluppati? Auguri!

Ma c’è un’altra questione scomoda da sottoporre alla piazza anti-razzista: siamo sicuri che non stiamo facendo i generosi con i soldi degli altri, i nostri concittadini “penultimi”? L’impatto dell’immigrazione non è uguale per tutti: per i benestanti è positivo (lavoro domestico a buon mercato, per dire), ma per gli italiani poveri è negativo, se non altro perché gli immigrati diventano loro vicini di casa (non nostri), loro concorrenti (non nostri), nelle graduatorie per le case pubbliche, nell’assistenza, nel lavoro. Bisogna farsi carico CONCRETAMENTE di questo, far capire ai più deboli fra i cittadini che non stiamo scaricando addosso a loro i problemi del mondo per tacitare le nostre coscienze, stare loro vicini e assicurare loro delle compensazioni.

Solo allora potremo legittimamente fare la paternale all’altra piazza.

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