MA I TEDESCHI LO SANNO QUANTO SONO DIVENTATI ANTIPATICI NEL MONDO?

tedeschi, Germania, Europa, formiche, cicale, Merkel, Grecia, Fischer, odio, antipatiaIeri a Mestre ho fatto una gentilezza a una persona, che mi ha risposto “Danke”; scoprendo che si trattava di un tedesco ho avuto dentro di me un inaspettato moto di disagio: naturalmente mi sono un po’ stupito di me stesso, ma scavando un po’ più in profondità ho riscontrato nel mio atteggiamento un inequivocabile fondo di irritazione,  come a dire “ho fatto un piacere a uno che mi sta affossando”.

Magari l’anonimo Herr Müller non ha nessuna colpa, ma mi chiedo se lui e i suoi connazionali hanno sentore dell’ondata di irritazione che sta crescendo nei loro confronti in tutta Europa, e anche fuori (si vedano le accuse di Obama). Forse qualcuno dovrebbe dirglielo. Perché abbiamo un bel dare la colpa alla Merkel, ma mi pare sia chiaro che lei in fondo non fa che interpretare – solo troppo pedissequamente, come gli rimproverano dei veri statisti come Helmut Kohl e Joschka Fischer – i sentimenti profondi dei suoi connazionali: “Teniamoci stretto il nostro benessere, raggiunto a costo di lavoro e sacrifici, e non apriamo i cordoni della borsa per le cicale mediterranee, che ora piangono dopo aver a lungo cantato al sole”.tedeschi, Germania, Europa, formiche, cicale, Merkel, Grecia, Fischer, odio, antipatia

Messa in questi termini la cosa apparirebbe anche ragionevole, se non fosse che il benessere tedesco è costruito, in parte, anche sul malessere del resto dell’Europa; e che alla lunga il loro atteggiamento rischia non solo di far morire le cicale, ma anche di mettere a repentaglio la vita dell’intero formicaio.

Su questi temi segnalo un paio di articoli apparsi nei giorni scorsi sul Gazzettino (il primo, di Marco Fortis) e sulla Stampa (il secondo, di Paolo Mastrolilli): segnalando, di quest’ultimo, che l’intervistato, l’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale Simon Johnson, traccia la stessa analisi che è stata alla base della strategia secessionista della Lega: paradossale, no?, che il rischio secessione si materializzi quando il suo sponsor politico sta conoscendo la sua crisi peggiore.


DAL GAZZETTINO

L’ANALISI: La crisi Ue conviene alla Germania

Da quando è scoppiata la crisi della Grecia, l’attenzione del mondo si è spostata rapidamente dai debiti di americani e inglesi ai debiti dei Paesi dell’Eurozona. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno attuato con pragmatismo massicce iniezioni di liquidità che, almeno finora, hanno permesso loro di attenuare le rispettive posizioni finanziarie e di mantenere bassi i propri tassi di interesse. L’Eurozona, viceversa, si è trovata di colpo ingabbiata nei suoi rigidi schematismi: unica area al mondo a pretendere di continuare a pagare i propri creditori esclusivamente con moneta sonante già in circolazione, mentre gli altri Paesi per farlo ne hanno stampato liberamente di nuova.

In tali condizioni, l’Eurozona, per colpa principalmente della Germania che non ha assunto saldamente la guida del salvataggio di Atene, scegliendo invece di temporeggiare, è diventata in poco tempo un lazzaretto, con il contagio finanziario pronto a dilagare e con l’incubo degli spread dei Paesi più deboli fuori controllo. Né sono stati sufficienti i prestiti a tassi agevolati concessi sinora dalla Bce alle banche europee per riportare la fiducia sulla moneta unica.Dopo la crisi della Grecia, divenuta incurabile anche per le dure condizioni imposte da Berlino per il suo salvataggio (al punto ormai da sospingere Atene verso un’uscita dall’euro piena di incognite), sono divampati altri focolai: dapprima la piccola Irlanda (che è stata però rapidamente messa in parziale sicurezza non solo perché grande poco più della Puglia ma anche perché troppo prossima agli interessi delle multinazionali e della Gran Bretagna) e successivamente il Portogallo. Ben più grave appare la crisi odierna della Spagna, a lungo covata sotto la cenere.Il «mostro» Bankia dimostra una volta di più quanto rapidamente i debiti privati possano trasformarsi in debito pubblico (come già successo negli Usa, Gran Bretagna e Irlanda), al punto che si pensa persino che la banca iberica debba essere soccorsa dal Fondo Salva Stati europeo.Ma, per quanto sia acuta, nemmeno la crisi di Bankia sarebbe insuperabile per l’Eurozona se quest’ultima avesse una guida vera e una governance. La crisi dell’Eurozona nasce in realtà dal fatto che i mercati/la speculazione temono o vogliono far credere che quella dell’Eurozona è una malattia senza fine. Dopo la crisi di un Paese ne scaturisce subito un’altra, con l’Italia che potrebbe essere, dopo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, l’anello finale della catena, spezzato il quale tutto il sistema salterebbe definitivamente. Si attendono in queste ore miracolosi annunci dei dettagli di un piano (non confermato) per salvare l’Europa. Staremo a vedere. La realtà è che per invertire il gioco al massacro sull’Eurozona, basterebbe che la Germania desse finalmente un segnale concreto ai mercati di avere grande fiducia non solo nella Francia ma anche nell’Italia. Non si tratterebbe di un gesto di magnanima benevolenza verso di noi ma di un segnale motivato dal fatto che il nostro Paese sta oggettivamente governando i propri conti pubblici con un rigore persino superiore a quello della Germania stessa.La Germania, ad esempio, potrebbe dichiarare di essere disponibile a costruire con Francia e Italia un mini-sistema iniziale di EuroUnionbond a tre Paesi basato sul progetto lanciato nello scorso settembre da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio. Con ciò avvisando i mercati e la speculazione che i giochi contro l’euro sarebbero finiti per sempre perché i suoi tre grandi Paesi fondatori insieme diventerebbero inespugnabili. A quel punto, costruita una solida linea di difesa «al centro», si avrebbe più tempo per procedere ai salvataggi mirati delle «periferie» e dei loro sistemi bancari.Berlino invece temporeggia, un po’ per i calcoli elettorali della cancelliera Merkel, un po’ perché trae vantaggio egoisticamente dalla crisi del resto dell’Eurozona. Difficile è dire fino a che punto questo egoismo derivi da una semplice coincidenza fortuita di avvenimenti, da scarsa sensibilità o sia un’azzardata e fredda scommessa preordinata, che gioca sul filo del rasoio con il futuro dell’Europa stessa. La realtà è che l’Eurozona, bilancio finale alla mano, ha dato molto alla Germania senza avere altrettanto in cambio. Da quando è nato l’euro, infatti, la Germania ha potuto godere come economia esportatrice di uno status privilegiato: avere un surplus commerciale crescente senza dover sopportare una rivalutazione del cambio. Un po’ come la Cina, la cui moneta è da anni «ancorata» al dollaro, nonostante il grande e progressivo surplus commerciale di Pechino. Grazie al «dumping valutario» offertole dall’euro, la Germania ha potuto conseguire una gigantesca crescita del suo attivo (specie verso i suoi Paesi partner), che le ha permesso di portare la sua posizione finanziaria netta sull’estero dal 4,5% del Pil del 1999 al 38,4% nel 2010. Negli ultimi due anni, inoltre, la Germania ha anche potuto avvantaggiarsi, paradossalmente, della crisi greca e dei debiti sovrani dell’Eurozona, grazie alla fuga di capitali da altri Paesi, cioè al cosiddetto «flight to quality» verso i Bund e ai conseguenti bassi tassi di interesse. Sono stati questi ultimi, più della competitività e delle precedenti riforme, a spingere il Pil tedesco nel 2010-11, contrariamente a quello che molti pensano.È tempo che la Germania, se vuole essere davvero la nazione-guida dell’Eurozona e vuole evitare un nuovo giudizio severo della storia, dopo aver goduto dei vantaggi dell’euro si assuma anche le responsabilità che le competono in questa grave crisi.

Marco Fortis

DALLA STAMPA

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MA I TEDESCHI LO SANNO QUANTO SONO DIVENTATI ANTIPATICI NEL MONDO?ultima modifica: 2012-06-06T13:25:00+02:00da sergiofrigo
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