LUCIANO CECCHINEL, L’EREDE DI ANDREA ZANZOTTO: IL NUOVO LIBRO E UNA POESIA (NON) NATALIZIA

IMG_0561.JPGLuciano Cecchinel, il poeta di Revine Lago che Andrea Zanzotto considerava il suo erede poetico, è una persona malinconica, riservata, apparentemente dimessa, segnato in profondità dal dolore, “tranciato”, dice lui ricordando l’enorme lutto che l’ha colpito, quando ha perso una figlia giovanissima. Eppure nella sua vita e nella sua poesia c’è un nucleo irriducibile di resistenza, che Zanzotto ha definito “ribelle speranza”.

L’ho conosciuto in occasione dei funerali del Maestro di Pieve di Soligo, ed è stato un incontro per me emozionante, considerata l’altissima stima di cui gode Cecchinel, ma soprattutto la sua grande umanità.

FRA I DUE POETI UN’AMICIZIA PRIMA COMPLICATA E POI TENERA E DIVERTITA

In concomitanza con l’attesissima uscita della sua nuova raccolta – “Sanjut de stran” (Singhiozzi di strame – Ed. Marsilio) – l’ho intervistato nei giorni scorsi per il Gazzettino (vedi sotto), chiedendogli di raccontare la sua amicizia con Zanzotto, piena di episodi toccanti, ma soprattutto ameni: è stato, il loro, l’incontro fortunato di due anime simili, ma anche una lunga e complessa trattativa fra prudenze, ritrosie, timidezze, soggezioni (da parte di Cecchinel), rimosse infine dalla insistente e amorevole disponibilità di Zanzotto, e da una consuetudine che col tempo è diventata amicizia.

Cecchinel mi ha parlato anche di questo suo nuovo libro, di cui il grande critico e filologo Cesare Segre scrive (nella prefazione) autentiche meraviglie.

E poi ho anche chiesto al poeta anche di leggere, fra le sue poesie, quella più vicina ai temi del Natale. Scelta difficile, perché non c’è nulla di consolatorio, nulla di edificante – se non la dimessa resistenza al dolore – nell’opera di Cecchinel. La registrazione è artigianale, ma la poesia (“Al pèdo mistier che Cristo l’à inventà” – il peggiore mestiere che Cristo ha inventato – da “Al tràgot jért, Scheiwiller, Milano 1999) è molto intensa. In tempi in cui le stalle, i buoi e gli asinelli tornano per un momento protagonisti, questo è il diverso punto di vista di chi nella stalla ci passa gran parte della vita…

Ecco il video, e sotto la traduzione. A seguire l’intervista dal Gazzettino.

 

IL PEGGIORE MESTIERE CHE CRISTO HA INVENTATO (traduzione)

Ingobbito nella tua stalla, / i tuoi sonni tra cumuli di carne e sterco / e gli occhi fissi delle bestie e dello strame / che frastornano in un vapore tutto attaccaticcio… / questo è il peggior mestiere che Cristo ha inventato.

Forse per una fessura della mente / in un ritaglio della terra laggiù, / in una nebbia, in un’oscurità sì che gli occhi la smarriscono, / la stalla col bue e l’asino e l’alito tiepido / e l’aureola che, come frammento di stella / fa santa la greppia ma anche / la carne e lo strame e il letame…

tutto quello poi che ha fatto di te, / nel nostro profumo, / nel nostro belletto quotidiano / uno di cui si dice povero Cristo.

 Il peggior mestiere che Cristo ha inventato.

Eppure tu, rigetto del tuo tempo, / te le vai un po’ come Lui, / solo un poco alla volta / come la luce cruda della stella che vien meno / sulla tua greppia intristita / e che ancora non vuole morire / e non si spegne / nella morsa maligna del freddo.

 E facesse Lui che il tuo malessere, / se non lo è oggi, fosse un giorno / una gran gloria, /  una stella intera e alta / che sciogliesse la nebbia, / che risplendesse / come una meta di fieno d’oro nell’oscurità, / che anche i re allora dovessero seguire.

L’INTERVISTA: “LA MIA AMICIZIA CON ZANZOTTO”

Zanzotto2.jpg«La mia vita ha incrociato quella di Andrea Zanzotto, e in qualche modo lui se n’è appropriato». In questa frase di Luciano Cecchinel c’è molto del suo affettuoso ma complicato rapporto col grande poeta che l’aveva nominato suo erede letterario, e insieme il vuoto che lo abita dallo scorso 18 ottobre, quando il maestro-padre-amico se n’è andato. Una lunga consuetudine fatta anche – si sorprenderà chi conosce la depressione che li ha accomunati – di scambi ironici, momenti ameni, scherzi ai danni di questo o quell’amico, che bisognerà prima o poi raccontare per esteso.
Quando gli si ricorda l’investitura a suo erede poetico fatta a più riprese da Zanzotto, Cecchinel, che ha 64 anni ed è stato giovanissimo sindaco del suo paese, Revine Lago, insegnante, studioso di tradizioni locali, e che ha quattro libri alle spalle, ricorda di aver provato, all’inizio, «contentezza e gratitudine», ma di essere subito dopo stato assalito dal peso della responsabilità e dal timore dell’inadeguatezza, e di aver detto al Maestro che lo sopravvalutava e lo sovraesponeva. «Zanzotto allora mi ha risposto in tre battute: “Par quant che me varde atorno… (per quanto mi guardi attorno…)”. Quando l’ha detto una seconda volta me ne sono lamentato di nuovo, e lui ha replicato: “Ma se ò da parlar ben, òe da parlar mal?” Poi, la terza volta, è sbottato: «Ma insoma, sarò paron de dir quel che pense!”»

RITROSIE, LUNGHE CONVERSAZIONI, SCHERZI AMENI

Ci sarebbe molto altro da dire, sui rapporti fra i due poeti, se lo spazio e la proverbiale ritrosia di Cecchinel non lo impedissero: come di certi pomeriggi davanti alla tv, a guardare il Tour de France (ma… per i paesaggi); come le conversazioni che diventavano presto lunghi monologhi del coltissimo Zanzotto su vari aspetti dello scibile umano, e il suo successivo commento, purtroppo a detta di Cecchinel scevro di ironia: “Abbiamo fatto proprio una bella conversazione”; oppure della soggezione del poeta di Revine,che ha continuato fino alla fine a dargli del lei, e del loro ultimo viaggio “insieme”, dall’inceneritore al cimitero, con la moglie e i figli del Maestro…

IL NUOVO LIBRO “SANJUT DE STRAN”.

Ma se parliamo di lui oggi non è solo per questa amicizia a cui la timidezza di Cecchinel non ha potuto sottrarsi, ma perché dopo qualche anno di silenzio (dovuto al lutto per la perdita di una figlia), ora arriva in libreria una sua nuova, attesissima raccolta di poesie, “Sanjut de stran” (Singhiozzi di strame), edita da Marsilio nella prestigiosa collana “Biblioteca Novecento”, con una prefazione di Cesare Segre a dir poco entusiastica. Una raccolta che – se è lecito dirlo – affranca Cecchinel dalla condizione di “erede”, e ce lo restituisce nella posizione di “grande artista, ma anche grande artefice” (come scrive Segre) che per una fortunata coincidenza di tempi e luoghi ha avuto la ventura di incontrare un altro grande artista. «Quello che vorrei ottenere – scrive infatti il grande critico e filologo – (scendendo anche sul terreno dell’analisi dei singoli testi) è di convincere i lettori che con Cecchinel siamo al livello più alto della poesia».

LA VOCE DI UNA NATURA E UNA CULTURA SCONFITTE

Non sono versi facili, sia chiaro, né consolatori, anche perché sono scritti nel duro dialetto di Revine, pure se corredati da belle traduzioni. Laddove altri grandi poeti, ad esempio, ritrovano a volte nell’esplorazione delle proprie radici nostalgici elementi di consolazione, scavando a mani nude in quel terreno Cecchinel porta invece a galla «residui e briciole di vegetali, con cortecce maciullate, con i prodotti ultimi delle combustioni» (sempre Segre) che riportano ai «residui della natura-cultura distrutta e divorata dai nemici del paesaggio vegetale e umano». Perché se l’ispirazione ecologica avvicina il poeta a Zanzotto, il disastro anche culturale, che il Maestro poteva osservare in atto, in Cecchinel è già avvenuto, «lasciando solo tracce e rovine», e di esso egli stesso si sente parte.

UNA POESIA DIMESSA, MA MAI DIMISSIONARIA, CHE SI RIBELLA

Eppure in fondo al disastro, vissuto anche con un profondo disagio esistenziale, resiste un nucleo di «ribelle speranza» (Zanzotto), cuore di una «poesia dimessa ma mai dimissionaria», che fronteggia il dolore e il disfacimento in chiave resistente e drammatica. E infatti il “sanjut sofegà del stran” del titolo «è quello di una “ànema che la ol restar viva”», come osserva Segre.
Dove si trova la forza per resistere? chiediamo a Cecchinel.
«Negli ideali fin qui coltivati – è la risposta – Mi tengo aggrappato ad essi per non disconoscere la mia vita passata, che sarebbe la peggiore forma di suicidio, e quindi anche per salvare la mia vita residua».

*da “Il Gazzettino” del 23 dicembre 2011

LUCIANO CECCHINEL, L’EREDE DI ANDREA ZANZOTTO: IL NUOVO LIBRO E UNA POESIA (NON) NATALIZIAultima modifica: 2011-12-23T12:18:00+01:00da sergiofrigo
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