“FEN” DI MARCO PAOLINI ALLA BIENNALE: LA MEMORIA DEL LAVORO MANUALE NELL’ERA DELLA SCIENZA

 

foto-37.JPGDallo Spazio che l’architetto portoghese Alvaro Siza ha lasciato in eredità a Venezia, al Giardino Vergini dell’Arsenale, esce la voce di Marco Paolini e un forte odore di fieno. Dentro mezzo mappamondo di ferro riempito di fieno, sormontato dal modellino del trattore dei fratelli Cervi e da antichi arnesi contadini che, sfiorati, fanno partire la registrazione della voce dell’attore. E poi arriva lui…

DA ARISTOTELE A GALILEO, DA NEWTON A EINSTEIN

Ma cosa c’entra Paolini con la Biennale? Lo si capisce bene seguendo il suo monologo “Fén”, in programma almeno 12 volte nel corso dell’esposizione (il programma qui http://www.labiennale.org/it/arte/esposizione/meetings/, per chi non lo intercetta c’è la registrazione attivabile dal mappamondo di fieno) e che ha presentato ieri alle 16 (il bis sabato). Si tratta di un excursus tra il colto e il divertito sul come la scienza ha cercato di spiegare il mondo, nel corso dei secoli, da Copernico e Galilei che hanno demolito la visione geocentrica di Aristotele e Tolomeo, a Newton, che «ha ricostruito il “palazzo della conoscenza” coi suoi studi sulla gravitazione universale», a Einstein che l’ha ridemolito con la teoria della relatività. E che cos’è questo se non una rilettura del “Palazzo Enciclopedico” a cui è dedicata la Biennale di Gioni? foto-36.JPG

In mezzo ci sono le storie degli astronomi, a partire da Galileo o Keplero, che per riscaldarsi nelle lunghe notti di studio bevevano quantità industriali di vino, col secondo addirittura che nel suo studio di Praga aveva una cannuccia attaccata direttamente alla botte, per non dover perdere tempo per alzarsi e andare a mescere… Oppure Einstein, che dopo aver formulato in un articolo la sua teoria rivoluzionarianon scrisse più niente per undici anni, “il tempo necessario per capire che cosa aveva scoperto”…

AVANZA LA SCIENZA, NON PASSA LA FAME

Ma questi grandi avanzamenti scientifici non sempre hanno prodotto ricadute concrete sulla qualità della vita della gente, tutt’altro: “Ai tempi di Galileo i campi producevano due volte meno che ai tempi dei romani – spiega Paolini – e fino a Einstein la situazione è addirittura peggiorata”. Ecco dunque l’altro corno del suo racconto: quale è il rapporto fra scienza e società, e come la prima incide concretamente sulla seconda? La risposta è che non basta affidarsi alla tecnologia, c’è la necessità di salvaguardare anche la memoria, in particolare quella del lavoro manuale, che abbiamo nel nostro Dna, e anche quell’arte negletta intesa come capacità di operare concretamente, che nobilità «le persone a cui una parte del cervello è scesa nelle mani».

“FEN” DI MARCO PAOLINI ALLA BIENNALE: LA MEMORIA DEL LAVORO MANUALE NELL’ERA DELLA SCIENZAultima modifica: 2013-05-30T02:53:01+02:00da sergiofrigo
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